Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/08/2012, a pag. 12, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo "Aleppo, gli insorti respingono l’attacco".
Domenico Quirico
La rivoluzione siriana si decide a Salaheddine, quartiere povero della periferia Ovest di Aleppo. Lo sanno i giovani ribelli; lo sanno i combattenti delle milizie radicali con le bandiere nere e la scritta «non c’è altro Dio che Dio», truppe d’assalto votate alla prima linea, alla bomba assassina; e i mujaheddin ceceni che non parlano una parola d’arabo ma sono venuti a battersi a fianco dei fratelli siriani. Lo sanno Assad e i suoi generali, che ieri hanno scatenato l’annunciato assalto finale al quartiere e alla città che li sfida dal 20 luglio, giorno dopo giorno, morto dopo morto, una Stalingrado gonfia di epopea, di sacrifico, di leggenda.
Hanno attaccato, i governativi, rabbiosamente, lungo la prima linea che passa per un pugno di strade parallele che i ribelli hanno ribattezzato con i numeri da cinque a dieci. Per l’assalto sono stati raccolti ventimila uomini nei grandi campi militari che circondano la città, e truppe corazzate, blindati per il trasporto dei soldati saliti nei giorni scorsi dalla capitale; e poi aerei e elicotteri per aprire la strada e martirizzare i difensori che non hanno contraerea.
È battaglia strada per strada, in queste ore, edificio per edificio, che nella notte diventerà agguato di cecchini, guerra in cui le macerie degli edifici bombardati diventato esse stesse arma, trincea o trappola mortale. Le esplosioni, le bombe degli obici e degli aeroplani in mezzo alle case dalle pareti bolse sembrano salire dalla terra. La mitraglia assorda come se liberasse una rabbia che cova. Ci vuole animo saldo e nervi di acciaio per resistere qualche ora a Salaheddine e ci sono ragazzi che vi combattono ormai da settimane.
Non hanno divise, il cibo è scarso, spesso solo pane ammuffito, l’acqua è quella che gocciola dalla tubature disfatte dai bombardamenti, il kalashnikov, le granate contate, le mitragliatrici sono quelle prese ai carri nemici e montate sul cassone dei pick-up; si spara senza protezione, in piedi, esposti al tiro nemico, il capo nudo, le scarpe sono ciabatte. Non sono stati addestrati per la guerra, non hanno voglia di fare la guerra, hanno istinti e affetti e l’istinto di conservarsi per rivedere il loro quartiere, la loro città di nuovo in pace che rinasce. Eppure anche ieri mattina sono usciti dalla scuola bombardata che serve da caserma e comando e hanno atteso il nemico.
Lo hanno ammesso, hanno dovuto ripiegare sotto l’urto dei professionisti di Assad. Al mattino uno dei loro comandanti ha annunciato che il 15% del quartiere era perduto. Ma a sera un altro comandante, Wassel Ayub, ha corretto trionfante: avevano riguadagnato almeno parte del terreno perduto grazie ai rinforzi di 700 combattenti arrivati dai quartieri vicini. I rivoluzionari siriani si battono così: ognuno per la sua parte di città, ma quando il pericolo incombe accorre, si schiera con le altre «katiba», muore al loro fianco.
A metà pomeriggio la televisione di Stato siriana ha annunciato trionfante che il quartiere «era stato ripulito» e che «i terroristi che vi si trovavano annientati». Il colonnello Abdel Jabar Oqeidi, che comanda la difesa, ha subito smentito: «C’è stato un attacco selvaggio e barbaro ma è falso dire che l’armata del regime ha il controllo del quartiere». A tarda sera i ribelli dell’armata siriana libera tenevano saldamente la zona e avevano respinto gli attacchi nemici. Inferociti per l’insuccesso, i soldati di Bashar hanno esteso i bombardamenti a tutti i quartieri della città in mano ai rivoltosi.
Intanto cresce la tensione tra Damasco e la Turchia, ormai al limite del conflitto aperto: Assad accusa Ankara di rifornire i ribelli dei missili terraaria Stinger.
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