Iran nucleare: le sanzioni a che cosa sono servite ? Giulio Meotti intervista Efraim Inbar, capo del Begin-Sadat Center for Strategic Studies
Testata: Il Foglio Data: 03 agosto 2012 Pagina: 3 Autore: Giulio Meotti Titolo: «'Israele potrebbe colpire l’Iran prima di novembre'. Parla Inbar»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/08/2012, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "'Israele potrebbe colpire l’Iran prima di novembre'. Parla Inbar".
Giulio Meotti, Efraim Inbar
Roma. “Se fossi un iraniano, avrei molta paura nelle prossime dodici settimane”. Consegnata alle colonne del New York Times, la previsione sul possibile strike israeliano contro Teheran è affidata alle parole dell’ex capo del Mossad, Efraim Halevy. Fra Washington e Gerusalemme non si era mai visto un simile viavai di ufficiali e funzionari per la sicurezza quanto nell’ultimo semestre. Israele attaccherà l’Iran prima delle elezioni statunitensi di novembre o aspetterà la primavera, quando il cielo sopra Qom e Natanz tornerà sereno, affidandosi poi agli Stati Uniti? Yaakov Katz, analista del Jerusalem Post, scriveva ieri che il punto non è più “se” attaccare, ma “quando”. E che nel caso di un rinvio dell’operazione israeliana al prossimo anno le domande assillanti sono: “Può Israele aspettare così a lungo? Potrà poi veramente contare sugli Stati Uniti?”. Debka, sito vicino all’intelligence israeliana, ieri rivelava che lo scorso 27 luglio l’ayatollah Ali Khamenei avrebbe riunito i capi militari in un consiglio di guerra. “Saremo in guerra nelle prossime settimane”, avrebbe detto la Guida suprema dell’Iran. Ne parliamo con Efraim Inbar, capo del Begin-Sadat Center for Strategic Studies (massimo pensatoio oggi in Israele), autorità internazionale e fra i consiglieri informali del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. “Il periodo prima delle elezioni americane è il più prezioso per un attacco all’Iran, perché abbiamo più potere sugli Stati Uniti”, dice Inbar, classe 1947, nato in Romania e allievo a Chicago di Albert Wohlstetter, padrino intellettuale dei neoconservatori americani. “I talks sono falliti, le sanzioni non funzionano, resta soltanto un intervento militare per fermare il programma atomico di Teheran. Uno strike chirurgico è possibile ed è stato preparato da tempo. Gli americani oggi sono riluttanti a usare la forza, non vogliono una nuova guerra dopo Iraq e Afghanistan e il margine di sicurezza per loro è molto maggiore che per Israele”. Il professor Inbar critica la posizione della Casa Bianca, secondo cui un intervento si rende necessario soltanto se Teheran ordina di assemblare un ordigno atomico. “E’ una ‘red line’ bizzarra, aspettare l’ordine dell’ayatollah Khamenei per la costruzione della bomba atomica significa rendere l’Iran immune a un attacco”. In caso di strike, Gerusalemme non teme un’ondata di delegittimazione mondiale. “Non conta l’opinione pubblica, quando mai gli ebrei sono stati popolari? Conta soltanto la nostra sicurezza e la sopravvivenza ebraica. Abbiamo fermato i piani atomici di Iraq e Siria, e chi ha protestato? E’ il nostro destino fare il lavoro sporco. Un Iran nuclearizzato sarebbe un pericolo militare, psicologico ed economico immenso per Israele, potrebbero passare armi atomiche ai terroristi. Cosa significa poi che l’Iran è ‘razionale’? Dipende tutto dai valori. E’ razionale uccidere ebrei? E’ razionale assassinare l’ambasciatore saudita a Washington?”. Dura la critica all’Europa, che in questi mesi di colloqui con gli iraniani, più che a fermare il loro programma nucleare, è sembrata interessata a sabotare la minaccia militare israeliana. “E’ peggio di Monaco 1938, allora almeno l’Europa non era contro la guerra, oggi invece vive in un paradiso immaginario dove nessuno vuole più combattere”. Di certo nessuno in Israele, conclude Inbar, crede che al momento si possa trovare una soluzione pacifica al conflitto con gli iraniani. “Nessuno crede che le sanzioni possano fermare l’Iran, ci sono invece quelli come Meir Dagan (ex capo del Mossad, ndr) che hanno creduto che l’Iran potesse essere fermato con le operazioni clandestine. Gli americani vogliono essere i nostri babysitter, ma attaccare o meno sarà una decisione tutta israeliana, non sarà facile, ma tutto sarà deciso da due persone a Gerusalemme: Ehud Barak e Benjamin Netanyahu”.
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