Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/08/2012, a pag. 33, l'articolo di Alessandro Alviani dal titolo "I tedeschi ancora antisemiti? Un libro divide la Germania".
Tuvia Tenenbom
La Germania è «un Paese che non è cambiato dai tempi in cui Hitler era al potere», «l’odio di allora per gli ebrei e l’odio di oggi per gli ebrei, così come descritto in questo libro, sono esattamente gli stessi». Parola di Tuvia Tenenbom, figlio di un rabbino di Gerusalemme e oggi drammaturgo e giornalista a New York, che tra maggio e settembre 2010 se n’è andato in giro per la Repubblica federale, infiltrandosi in un locale neonazista di Neumünster chiamato Club 88 (88 sta per Heil Hitler) , marciando il primo maggio ad Amburgo al fianco dei militanti della sinistra radicale, girando per strade e birrerie di Monaco o Francoforte, incontrando l’ex cancelliere Helmut Schmidt o il direttore della Bild, Kai Diekmann. Un viaggio condensato in Ich bin Deutschland! (Io sono la Germania!) - un libro mai apparso in Germania. Almeno finora. Era stato annunciato per l’aprile del 2011 dalla casa editrice tedesca Rowohlt, che aveva elogiato il «meraviglioso spirito d’osservazione» e lo spiccato «humour nero» di Tenenbom, capace di svelare «in maniera al tempo stesso intelligente e comica l’anima del Paese e dei suoi abitanti». E invece il libro non ha più raggiunto gli scaffali delle librerie tedesche, né virtuali, né reali. Il rapporto tra la Rowohlt – che aveva garantito un contratto e un anticipo a Tenenbom – e l’autore erano ormai talmente incrinati che la comunicazione avveniva solo in forma scritta. Alla fine il contratto è stato rescisso, la Rowohlt ha rinunciato a due terzi dell’anticipo e Tenenbom è andato avanti per conto suo, pubblicando lo stesso testo in formato e-book sulla versione statunitense di Amazon col titolo I Sleep in Hitler’s Room . A settembre il libro uscirà anche in Germania, con un nuovo titolo - Allein unter Deutschen (Solo in mezzo ai tedeschi) - e soprattutto presso un’altra casa editrice, Suhrkamp, concorrente della Rowohlt. Un cambio più unico che raro nel mondo editoriale tedesco.
Sui motivi che hanno portato alla rottura tra l’autore e Rowohlt esistono due versioni. La prima è quella che lo stesso Tenenbom affida alla prefazione di I Sleep in Hitler’s Room e si riassume tutta in una parola: censura. Il drammaturgo accusa il numero uno della Rowohlt, Alexander Fest – figlio dello storico Joachim Fest, autore di una famosa biografia di Hitler – di aver tentato di cancellare o sfumare tutti i passaggi da cui emerge con più evidenza l’antisemitismo latente in Germania. «Quello che ha fatto è stata censura pura, adatta agli editori iraniani sotto gli ayatollah», attacca Tenenbom. «A un certo punto mi hanno detto di essere un “ebreo isterico”, come “il patrono di tutti loro, Woody Allen”». E ancora: «mi hanno strillato addosso, mentito continuamente», sono stato «trattato come uno schiavo dalla razza superiore». «In privato mi hanno detto che nessun editore tedesco pubblicherebbe un libro che dipinge i tedeschi come antisemiti». Una frase smentita ora dalla prestigiosa Suhrkamp.
Alla Rowohlt la raccontano in modo ben diverso. «Non abbiamo tentato in nessun momento di praticare una qualsiasi censura», ha detto Alexander Fest alla Süddeutsche Zeitung . Secondo il quotidiano, che dispone dell’intera corrispondenza tra editore e autore, non ci sono indizi che sostanzino le accuse di Tenenbom e le correzioni richieste dalla redazione editoriale corrispondono a quelle usuali in Germania. Rowohlt ha proposto tra l’altro modifiche a lunghezza, struttura e registro linguistico del testo. Il nodo centrale, però, è stato di tipo giuridico: per le sue ricerche Tenenbom si è calato in differenti ruoli e non sempre ha spiegato ai suoi interlocutori che intendeva usare le loro frasi per un libro. Un problema non da poco in Germania, dove le citazioni dirette possono essere pubblicate in un testo solo se c’è l’autorizzazione esplicita dell’interessato. E qui sorgono i guai: una dipendente della Suhrkamp ha contattato la Rowohlt, spiegando che una sua amica aveva parlato a cena con Tenenbom, ma non voleva essere citata nel libro ed era pronta a querelarlo in caso contrario. A quel punto Rowohlt ha ordinato diverse perizie giuridiche. Il testo è «esageratamente offensivo, poco serio» e danneggia il suo stesso obiettivo di svelare l’onnipresente antisemitismo tedesco, si legge in una perizia, in cui Tenenbom viene chiamato sì un «isterico ebreo» - ma a mo’ di complimento, per paragonarlo a Woody Allen. In un’altra perizia Martin Bauer dell’Istituto di Amburgo di ricerche sociali ricorda che il 22% dei tedeschi nutre idee antisemite, ma precisa che il testo rappresenta «una collezione di impressioni personali messe insieme in modo arbitrario» e che il suo autore «non è né divertente, né illuminante, ma maligno e sarcastico».
La Germania descritta nel libro, sintetizza la Süddeutsche , è un Paese cupo, pieno di nazisti e antisemiti. «Se i tedeschi hanno un’ossessione, sono gli ebrei. Non possono smetterla di parlare di o pensare all’Ebreo», scrive Tenenbom. «Non tutte le persone in Germania sono cattive, ci sono eccezioni, ma purtroppo non molte». O ancora: «Odio i tedeschi. Odio loro, le loro grandi maschere, le loro infinite discussioni, le loro costanti prediche, il loro odio implicito o esplicito per gli ebrei, la loro mancanza di spina dorsale, i loro modi esatti, le loro esatte bugie, la loro testardaggine, il loro razzismo nascosto, il loro costante bisogno di essere amati e lodati, la loro presunzione».
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