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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.07.2012 Rischio contagio: il Libano può implodere
di Maurizio Caprara

Testata: Corriere della Sera
Data: 31 luglio 2012
Pagina: 15
Autore: Maurizio Caprara
Titolo: «Rischio contagio: il Libano può implodere»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 31/07/2012, a pag.15, con il titolo " Rischio contagio: il Libano può implodere ", Maurizio Caprara esamina la situazione libanese.

DAL NOSTRO INVIATO SHAMA (Libano) — Alle volte in certe parti del mondo la routine si capovolge. Per andare da Beirut alla fascia meridionale del Libano segnata nel 2006 dalla guerra con Israele, i soldati della forza multinazionale Unifil2 devono indossare giubbotti antiproiettile ed elmetti lungo tutto il tragitto considerato dai libanesi ordinario. Così i giornalisti in viaggio con loro. Dopo un'ora in un convoglio aperto da un blindato, appena superato il fiume Litani, che separa dal resto del Paese il Sud nel quale hanno solide radici i fondamentalisti sciiti di Hezbollah, le regole autorizzano a viaggiare senza le versioni moderne di corazza ed elmo. «Si entra nella "bolla di sicurezza" controllata da noi», spiegava l'altra notte il capitano Marco Di Lorenzo, uno dei 1.100 italiani tra le 12 mila persone in divisa di Unifil2, provenienti da 39 Stati. È da qui che Israele ha avuto e ha motivo di temere batterie di razzi nascoste. E il paradosso del capovolgimento delle condizioni di sicurezza tra Nord e Sud per i militari stranieri si deve da circa un anno alle turbolenze siriane, ormai una guerra civile. Gli attentati contro Unifil2 sono considerati più possibili lungo la strada tra Beirut, Tiro, Sidone che fra i bananeti meridionali nei quali il «Partito di Dio» appoggiato da Iran e Siria nasconde armi. E non per un'improvvisa filantropia degli integralisti. Perché i fattori nuovi di tensione adesso derivano dalla frontiera nord-orientale, quella con una Siria dominata meno di prima da Bashar Assad, insidiato dalla guerriglia. «Grazie alla presenza di Unifil, tutti i miei interlocutori a Beirut, non scherzando, mi hanno detto: se vuoi stare tranquillo, vai al Sud del Libano», raccontava ieri nella base di Shama della forza dell'Onu il ministro della Difesa italiano Giampaolo Di Paola. Per «una convergenza di interessi saggia» tra libanesi, militari stranieri e Israele, ha constatato, i pericoli maggiori risultano altrove. Senza essere pochi. «C'è il rischio di una implosione del Libano e va evitata. Le autorità libanesi chiedono: stateci vicini», ha affermato Di Paola. «Sui rifugiati arrivati dalla Siria mi hanno dato stime tra 50 e 100 mila», ha riferito. Cifre superiori a quelle circolate. «Per il commercio il Libano è la porta d'Oriente, e con la crisi siriana si è chiusa. Il turismo ne risente. C'è la morsa della crisi economica (…). Qui si è riusciti a trovare un accordo tra un mosaico di componenti: sunniti, sciti, maroniti... Un suo successo ha valore per tutti i Paesi dell'area», ha riassunto Di Paola. Se l'equilibrio salta, «è un guaio per tutti». Nel frattempo sono fatte saltare tre mine antiuomo, ieri, a Marwain, in un punto dei 119 chilometri della approssimativa «Blue line» che divide Libano e Israele senza costituire un confine formale. A farle brillare e a offrirci le loro tute protettive pesanti una decina di chili per vederne altre sono stati gli artificieri del 10° guastatori di Cremona della base di Shama, non lontano dalle bandiere di Hezbollah che affiancano quelle di esercito libanese e Unifil su un colle di fronte a un'altura sulla quale ne sventola una con la stella di David. Le mine erano state messe da Israele negli anni 70, sarebbe bastata una pressione di otto chili a farle esplodere. Agli italiani spetta individuarle e disinnescarle affinché si piantino due nuovi piloni blu dei 400 necessari per rendere la linea riconoscibile. Ne sono in piedi 120, e ogni punto va definito con Israele e Libano, non collegati da relazioni diplomatiche. Dalle cinque e mezza del mattino, alternando 40 minuti di attività e 40 di pausa, a cercare altre mine nell'afa scavando con tatto in ginocchio c'era per esempio una caporalmaggiore con una coda di capelli annodata dietro al casco, Roberta Micoli, 22 anni. «Un lavoro faticoso, ma dà soddisfazione», diceva. Anche di questo può essere fatta una routine italiana. Non soltanto di camorra, mafia, crisi e spread.

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