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Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2012 Netanyahu vuole Romney alla casa Bianca prima che sia troppo tardi
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 31 luglio 2012
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Netanyahu vuole Romney alla casa Bianca prima che sia troppo tardi»

Già ieri, con praticamente la sola eccezione di Maurizio Molinari sulla STAMPA, il viaggio di Mitt Romney in Israele è stato ignorato dai media italiani, Tv e giornali. Anche oggi, 31/07/2012,l'unico articolo è quello di Giulio Meotti sul FOGLIO, a pag.2 con il titolo "Netanyahu vuole Romney alla casa Bianca prima che sia troppo tardi ". Comprendiamo l'imbarazzo di chi è abituato ad applaudire Obama, ma l'informazione non dovrebbe esssere separata dalle opinioni ? Evidentemente, in Italia, no. Che dire poi di GIORNALE e LIBERO, che su questo tema dovrebbero essere più attenti ? Possibile che ai loro direttori, Sallusti e Belpietro, non sia venuto in mente che la notizia valeva un commento ? Invece, niente di niente.
Ecco l'articolo:

Giulio Meotti      l'incontro a Gerusalemme

Roma. “Per Netanyahu e Barak, la presidenza Romney potrebbe arrivare troppo tardi”. L’editoriale di David Horowitz, direttore di Times of Israel, riassume bene il sentimento della leadership dello stato ebraico sulle prossime elezioni presidenziali americane e, sullo sfondo, lo strike preventivo contro le installazioni nucleari dell’Iran. In Israele non si dimenticano le scarpe sulla scrivania dello Studio Ovale con cui Barack Obama si è fatto fotografare lo scorso anno mentre era al telefono con Benjamin Netanyahu. E’ impossibile nascondere che il premier israeliano veda a dir poco con favore la vittoria del candidato repubblicano, reduce da una visita fastosa a Gerusalemme. L’amicizia fra “Bibi” e Romney risale al 1976, al sedicesimo piano del Boston Consulting Group, dove entrambi lavoravano come corporate adviser. Nei giorni scorsi Sheldon Adelson, magnate dei casinò di Las Vegas, ottavo uomo più ricco d’America e storico finanziatore di Netanyahu, ha promesso di investire cento milioni di dollari nella campagna elettorale repubblicana. Il principale interesse di Netanyahu in una Casa Bianca con Romney è la questione atomica iraniana: il leader repubblicano ha infatti una linea più interventista rispetto a quella diplomatica di Obama. E Romney sta già usando l’Iran a fini elettorali– per esempio con un editoriale sul Washington Post, dove ha scritto che “se Obama viene rieletto l’Iran otterrà le armi atomiche”. A Gerusalemme l’ex governatore del Massachusetts nel weekend ha promesso di sostenere un eventuale attacco israeliano contro gli ayatollah. Il problema per la leadership israeliana è che Romney non guida l’America. Non ancora almeno. E nel tempo che potrebbe impiegare per entrare alla Casa Bianca e rendersi operativo l’Iran potrebbe aver già superato il “punto di non ritorno”, ovvero lo stadio di proliferazione atomica in cui diventa futile anche un attacco dal cielo. Da una parte Washington insiste sul fatto che il tempo della diplomazia “non è scaduto” e che le sanzioni sortiranno l’effetto previsto, dall’altra Gerusalemme replica che questa politica non ha smosso di un millimetro i mullah nella loro corsa al nucleare. Shaul Mofaz, capo di Kadima e critico dello strike, è appena uscito dal governo accusando Netanyahu di preparare “un’avventura che metterà a rischio il futuro dei cittadini d’Israele”. Tutti gli occhi sono oggi puntati su Ehud Barak. Il ministro della Difesa, ex capo di stato maggiore, il soldato più decorato della storia d’Israele oltre che “la mente” e “il braccio” dell’eventuale strike, alla fine del 2011 ha introdotto nel discorso pubblico il concetto di “zona di immunità”, facendo innervosire non poco la Casa Bianca. L’idea, formulata dall’Idf Intelligence Corps, vede il regime iraniano fortificare sottoterra il programma atomico, che oltre un certo punto diventa immune a un attacco. Secondo fonti vicine a Barak, gli iraniani stanno superando questa fase, tanto che da aprile il ministro della Difesa non la nomina più, come se la ritenesse irrilevante. La scorsa settimana Barak è tornato a dire in pubblico che lo strike militare è preferibile e meno costoso della gestione di un Iran nuclearizzato e domani a Gerusalemme arriverà il segretario alla Difesa americano, Leon Panetta (rivela Debka che discuteranno di eventuali piani di attacco). Ieri l’esperto militare Ron Ben Yishai ha spiegato sul giornale Yedioth Ahronoth che a gennaio l’Iran potrebbe aver raggiunto lo stadio di potenza atomica. Per produrre la bomba di Hiroshima servono 25 chili di uranio U-235 arricchito al novanta per cento. La fase più delicata è l’arricchimento a bassa concentrazione, di cui Teheran dispone di sette tonnellate, sufficienti per cinque ordigni nucleari. “Se gli iraniani continuano così avranno 260 chili di uranio al venti per cento nel gennaio 2013”, scrive Ben Yishai. “Con questa quantità all’Iran basterebbero due mesi per produrre armi atomiche”. Per questo anche un’eventuale elezione di Romney, che non entrerebbe in carica prima del gennaio 2013, potrebbe rivelarsi tardiva.

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