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Siria & Co. distruzione totale (Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana a cura di Yehudit Weisz)
Mordechai Kedar Anche se in genere non è mia abitudine, inizio con una barzelletta araba, perché anche nel mondo arabo (come altrove) la gente spesso usa l’umorismo per dire la verità sulla realtà. "nel 2003, il presidente George W. Bush, aveva inviato una delegazione a cercare armi di distruzione di massa in tutto il mondo arabo, e aveva autorizzato i suoi membri a cercarle ovunque fosse possibile. La delegazione aveva indagato in tutta l’area per un anno intero, ma non aveva trovato nessuna arma di distruzione di massa. Rientrata a Washington, riferì a Bush nella ‘Sala Ovale’ della Casa Bianca: “Abbiamo controllato ogni luogo in tutto il Medio Oriente, ispezionato dappertutto e non abbiamo trovato armi di distruzione di massa”. Il presidente chiese: “ E che cosa avete trovato?”. I membri della delegazione gli risposero: “Distruzione totale”. Il significato di questa storiella è che il mondo arabo non ha bisogno di “armi di distruzione totale”, perché anche senza, tutta l’area è totalmente distrutta. La Siria di Assad, di Hafez come di Bashar, aveva impersonato l’immagine del paese quale rappresentante del nazionalismo arabo, un centro di fedeltà agli interessi arabi e la punta di diamante della lotta araba contro l’Occidente in generale, e contro Israele in particolare. La situazione in Siria si sta deteriorando rapidamente, e lo Stato sta letteralmente disintegrandosi. Le crepe nel governo si stanno ampliando: ambasciatori, generali, soldati stanno abbandonando il paese, alcuni rami del partito Ba’ath si separano dal governo, i consiglieri russi stanno fuggendo per mettersi in salvo e la sensazione che la fine è vicina sta diffondendosi sempre di più. Il secondo gruppo è composto da musulmani sunniti stranieri infiltrati in Siria attraverso Iraq, Giordania, Turchia e Libano; in genere si dichiarano parte della Jihad Globale o di al-Qaeda. Si tratta di terroristi che non hanno una sede stabile, si uovono per il mondo musulmano in luoghi dove non esistono nè legge nè ordine, e prendono parte alla jihad contro gli ‘infedeli’. Il terzo gruppo è composto di milizie locali che si appoggiano ad associazioni tribali, il cui compito è difendere il villaggio o la città in cui la tribù ancora vive. Queste milizie non hanno alcuna ideologia specifica, e la loro ragion d’essere è quella di difendere la popolazione del villaggio da qualsiasi eventuale pericolo, sia che provenga da parte del regime sia dall’ “Esercito Siriano Libero”. In totale, compresi tutti i quattro tipi di gruppi armati, sono centinaia le unità combattenti in Siria, tutte schierate contro il regime, ma in guerra anche tra loro, indeboliti da divisioni e polemiche, ma il peggio è che anche dopo il crollo del regime di Assad, queste milizie continueranno a lottare tra loro, a causa di programmi diversi e obiettivi contrastanti. Parallelamente, vi è un fenomeno che abbiamo analizzato fin di quando nel marzo del 2011 sono iniziati i disordini in Siria: l’aumento e il manifestarsi dell’opposizione, rimasta fino ad allora nascosta. A questo punto è chiaro che quando il regime crollerà, gli alawiti che vivono nelle città sunnite - Damasco, Homs, Hama, Aleppo e altre - dovranno fuggire per salvarsi la vita. Chi rimane potrebbe essere massacrato al grido di “Allahu Akbar”, che esce dalle gole dei carnefici. Gli alawiti hanno concentrato armi e munizioni sulle montagne di Ansaria nella zona occidentale dello Stato, al fine di difendere l’area che era stata loro assegnata a propria protezione in quanto ritenuti ‘infedeli’ dalla maggioranza della popolazione. I curdi, dal canto loro, controllano ampie aree nel distretto nord-est della Siria, con l’aiuto dei loro fratelli che vivono nel Kurdistan iracheno, e, sembra, con il sostegno dei curdi che vivono in Turchia. La maggior parte di loro non ha la cittadinanza siriana poiché il regime li considera infiltrati provenienti dalla Turchia. La Siria non li riconosce nemmeno come un gruppo distinto con una lingua non araba, tale da meritarsi il diritto di istituire proprie scuole nelle aree in cui vivono. I Drusi nel sud della Siria vivono a Jabal al-Druz, il Monte dei drusi, una zona vulcanica ricoperta di massi di dimensioni immense, in un distretto che dalla sua capitale prende il nome al-Suida. Il Mandato francese aveva costretto i drusi a unirsi con la Siria nella guerra sanguinosa che iniziò nel mese di agosto del 1925. Al fine di cancellare la loro diversa identità religiosa, il regime siriano aveva cambiato il nome della montagna in Jabal al-Arab “Monte degli arabi”, ma i Drusi sono rimasti fedeli alla loro identità e alla tradizione tribale, e potrebbero creare un proprio stato separato. I Beduini, che vivono nel quartiere orientale di Dir a-Zur, hanno sempre avuto problemi con gli altri abitanti della città, a cause delle diversità culturali. E’ ragionevole supporre che anche loro aspirino a crearsi un’entità politica separata. Non è mai esistita una grande intesa tra le due città principali, Damasco e Aleppo, e quindi potrebbe accadere che questi due centri decidano di separarsi in seguito al collasso della Siria. Il futuro della Siria ci richiama alla mente il passato della Jugoslavia, così come l’attuale situazione in Iraq e in Libano, perché i problemi fondamentali di questi Stati sono identici. Ci vorranno anni perché si verifichi una qualche stabilità a livello politico e di governo fra le diverse parti separate. In questo processo molto sangue verrà sparso in conflitti senza fine tra i vari gruppi fondati su etnia, tribù, religione e setta. Il presidente è morto, lunga vita al nuovo emiro! Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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