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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2012 Iran e l'atomica: quando l'esperto è un cretinetti
Lo racconta Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2012
Pagina: 14
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Se l'atomica iraniana aiuta la stabilità»

Sulla STAMPA di oggi, 26/07/2012, a pag.14, con il titolo "Se l'atomica iraniana aiuta la stabilità", Maurizio Molinari riporta le opinioni di Kenneth Waltz, un 'esperto' che ha scritto su Foreign Affairs le cretinate che Molinari riporta fedelmente nel suo pezzo. E' utile sapere che esistono 'esperti' simili, speriamo solo che siano pochi nelle alte sfere americane a dargli retta. Qualcuno dovrebbe ricordare al cretinetti che è esistito un certo Adolf Hitler, del quale molti 'esperti' negli anni '30 scrivevano le stesse cose  che scrive adesso Waltz sull'Iran.
Ecco l'articolo:

Kenneth Waltz         Ahmadinejad                              Maurizio Molinari

Ecco perché l’Iran deve avere l’atomica»: a campeggiare sulla copertina della rivista «Foreign Affairs» è un titoloprovocazione che introduce l’articolo con cui Kenneth Waltz sostiene che la soluzione migliore della crisi sul nucleare iraniano è nel consentire a Teheran di raggiungere la bomba. Waltz, 78 anni, insegna Scienze Politiche all’Università di Berkeley in California e alla Columbia di New York, ed è considerato il fondatore della teoria del neorealismo nelle relazioni internazionali, secondo la quale le azioni degli Stati si spiegano con la pressione della competizione, che però ne riduce di molto le scelte. É proprio declinando tale approccio al Medio Oriente che Waltz spiega la corsa al nucleare di Teheran come un bilanciamento della bomba posseduta da Israele dagli anni 60, prevedendo che se l’Iran centrerà l’obiettivo «non avrà comportamenti irrazionali e suicidi» ma al contrario creerà un equilibrio destinato a generale stabilità in una regione segnata dalle guerre. Waltz cita l’equilibrio nucleare Usa-Urss come esempio di stabilità fra avversari dotati di atomiche e ricorda che i timori sulla bomba cinese foriera di disastri planetari si dissiparono quando Mao dimostrò che l’avrebbe usata per accrescere, non indebolire, la credibilità di Pechino. L’altro esempio che il politologo ricorda è quello di India e Pakistan, acerrimi rivali strategici che nel 1991 firmarono un accordo di «non aggressione nucleare» che potrebbe suggerire una strada analoga per sancire l’equilibrio nucleare fra Teheran e Gerusalemme. Alla base della tesi di Waltz c’è la convinzione che gli ayatollah iraniani non sono irrazionali e, come ogni altro leader politico, non perseguono l’autodistruzione. Dunque, entrando in possesso dell’atomica, non la lancerebbero contro Israele sapendo di andare incontro a una massiccia rappresaglia nucleare. Ad avvalorare tale interpretazione sulla «razionalità» dei leader iraniani c’è, per Walz, come si sono comportati in occasione delle recenti sanzioni petrolifere: dopo aver minacciato di chiudere gli Stretti di Hormuz, per bloccare il commercio mondiale di greggio, in realtà si sono ben guardati dal farlo nel timore di uno scontro con gli Usa e delle conseguenze di una crisi che avrebbe danneggiato proprio l’Iran, incapace di sopravvivere finanziariamente senza le entrate energetiche.

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