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La Stampa Rassegna Stampa
25.07.2012 Romney: politica estera e sicurezza. Dalla parte di Israele
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 25 luglio 2012
Pagina: 16
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «'Questo secolo sarà americano'»

Sulla STAMPA di oggi, 25/07/2012, a pag.16, con il titolo "Questo secolo sarà americano'', Maurizio Molinari racconta il candidato repubblicano alla vigilia del tour europeo. Da tenere a mente le sue affermazioni su Israele.
Ecco l'articolo:

Maurizio Molinari      Valori e visione condivisi

Nessuna vergogna per la potenza dell’America, fermezza contro gli avversari e rispetto per gli alleati: sono i pilastri della politica estera di Mitt Romney che il candidato repubblicano illustra a Reno, Nevada, all’Associazione dei veterani alla vigilia della partenza per un viaggio in Gran Bretagna, Israele e Polonia teso ad accrescere il suo profilo internazionale ed a raccogliere voti in patria. «Da Berlino al Cairo il presidente Obama ha illustrato la sua idea dell’America, sono qui per spiegarvi la mia» esordisce Romney definendosi un «credente nella grandezza dell’America» che «non si vergogna della sua potenza». L’intento è ribadire il valore dell’«eccezione americana» che Obama è accusato di aver dimenticato: «L’America è la più grande forza del Bene che il mondo abbia conosciuto, a guidarmi è la convinzione che questo secolo debba essere americano» come lo è stato il Novecento. L’accusa a Obama è di «pensare che la fermezza in politica estera possa portare conflitti» mentre è vero l’opposto: «Sono debolezza e indecisione a generare pericoli, la forza porta la pace». Il richiamo alla generazione che sconfisse il nazifascismo e il comunismo serve per esprimere la sicurezza che «anche in questo secolo iniziato con l’11 settembre, le guerre e l’incertezza economica», l’America può guidare il mondo.

La ricetta per farlo deve molto ai suggerimenti dei consiglieri più stretti: gli ex segretari di Stato Henry Kissinger, James Baker, George Schultz e Condoleezza Rice come i veterani dell’amministrazione di George W. Bush, da John Bolton a Eliot Cohen e Paula Dobriansky. Romney promette rispetto per gli alleati e nessuno sconto agli avversari. Da qui i molti rimproveri a Obama perché «ha abbandonato Polonia e Repubblica Ceca che ci avevano promesso basi antimissili solo al fine di far piacere alla Russia» e ha «criticato Israele all’Onu raccogliendo l’applauso dei nemici del nostro più stretto alleato in Medio Oriente». Per Romney gli alleati «meritano meglio di questo» così come gli avversari, se sarà lui a vincere a novembre, non avranno più un presidente da umiliare: «Obama ha promesso flessibilità a Putin, non considera Chavez una minaccia sebbene abbia portato Hezbollah nel nostro Emisfero, consente alla Cina di ingannare sulla valuta e sui diritti umani, e non ha levato la voce in favore del popolo iraniano quando si è ribellato nel 2009 contro il regime». Ciò che serve invece è un presidente che «confronta ovunque la jihad, ottiene dall’Iran l’immediato stop al programma nucleare» e sull’Afghanistan «ascolta i comandi militari» prima di annunciare la date del ritiro.

L’ultimo affondo è sulle fughe di notizie dalla Casa Bianca sulla sicurezza nazionale: la democratica Dianne Feinstein, capo della commissione Intelligence al Senato le imputa allo staff del presidente, e Romney la cita per concludere che «i responsabili sono dei traditori». Gli attacchi a Obama sono duri ma Romney promette di «non ripeterli all’estero» per rispetto al presidente. Il viaggio servirà invece per sottolineare valori e politiche con cui punta a mietere voti in patria: la tappa olimpica a Londra evoca il successo avuto nei Giochi di Salt Lake City del 2002 come le soste in Israele e Polonia puntano ad accattivarsi due settori dell’elettorato che possono rivelarsi decisivi, dagli ebrei in Florida ai polacchi nel Midwest.

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