Due storie e una sindrome
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Prima storia. Avete presente Ariel? Non l'eroina di Shakespeare nè il personaggio di Disney, non il nome di un cortile del tempio di Gerusalemme, ma la città in Samaria (http://en.wikipedia.org/wiki/Ariel_%28city%29), fondata dunque da un governo socialista, che ha un prestigioso centro universitario (http://en.wikipedia.org/wiki/Ariel_University_Center_of_Samaria), frequentato da un paio di decine di migliaia di studenti, fra cui molti arabi. Nella classificazine universitaria israeliane però il centro universitario di Ariel non ha il titolo di università, riservato in tutto a solo otto atenei, è un college, come molte decine d'altri, alcuni seri altri strampalati. Comprensibile che voglia la promozione, dato che funziona come un'università, ha diverse facoltà e dipartimenti, un'ottima didattica e una ricerca di eccellenza.
E' da anni che quelli di Ariel ci provano, sempre bloccati dalla sinistra, che evidentemente ha paura che se nelle colonie ci sarà un'università, non potranno più trattarli da analfabeti. Pensate che c'è stato anche un boicottaggio di attori che si sono rifiutati di andare a recitare al teatro di Ariel...
E non sono mancati 165 professori universitari - non un gran numero, bisogna dire (http://www.huffingtonpost.com/2011/01/10/israeli-academics-to-boyc_n_806598.html) Comunque quest'anno sembra che la combattiva università ce l'abbia fatta finalmente a conquistare l'ambito titolo (http://www.jpost.com/NationalNews/Article.aspx?id=277826). Il consiglio universitario nazionale, dominato com'è ovvio da accademici dalle vedute larghe come le pagine di Haaretz, aveva rifiutato l'approvazione, ma poi si è scoperto che l'istruzione in Giudea e Samaria dipende da un consiglio apposito, che invece l'ha concesso, con grande scandalo del presidente del primo consiglio che ha accusato l'altro di “conflitto di interessi”, perché esprime la comunità locale interessata allo sviluppo della nuova università (http://www.jpost.com/NationalNews/Article.aspx?id=277750).
Perché parlarvi di queste miserie accademiche? Perché, a parte l'odio ideologico e la gelosia professionale, sotto c'è un ragionamento che è stato reso esplicito dal presidente dell'Istituto Weizmann, Professor Daniel Zajfman, che ha minacciato un paio di settimane fa di boicottare la nuova università se mai fosse stata definita tale (http://www.timesofisrael.com/university-chiefs-gang-up-against-proposed-ariel-university/). Il punto fondamentale è la ragione offerta per questo boicottaggio da parte di uno degli istituti all'avanguardia nel mondo nella ricerca biologica: la promozione di Ariel, “università delle colonie” farà sì che noi veniamo boicottati; dunque dobbiamo impedirla e boicottare noi Ariel. Non è un semplice caso di vigliaccheria, è collaborazione con i nemici di Israele.
Storia numero due. Qualche giorno fa, come vi ho già raccontato, è stata approvata la relazione Levy, che dice in maniera chiara e convincente che lo stato della Giudea e Samaria (i cosiddetti “territori palestinesi”) non è affatto una occupazione. Non lo è perché dopo la Turchia non c'è mai stato uno stato titolare legittimo di quelle terre, perché per esse vale ancora la decisione della Società delle Nazioni del 1922 di affidarle alla Gran Bretagna al fine della costituzione di una sede nazionale ebraica (e questo aveva senso perché tutte le terre intorno a Israele dovevano essere arabe, come sono diventate); perché la spartizione decisa dall'Assemblea dell'Onu nel '48 non è mai diventata effettiva a causa del rifiuto e poi dell'aggressione militare araba; perché l'occupazione Giordana non è mai stata riconosciuta dai paesi del mondo (salvo gli stati arabi... e la Gran Bretagna).
In sostanza non c'è alcuna base giuridica per dire che si tratti di territori occupati, nel senso tecnico del termine. Apriti cielo! Haaretz prima, il Dipartimento di Stato americano dopo, per ultimi 20 dirigenti ebrei americani molto noti non hanno contraddetto gli argomenti della commissione Levy, si sono limitati a dire che la loro idea era intollerabile, distruttiva, che scardinava in processo di pace, eccetera eccetera (http://www.carolineglick.com/e/2012/07/obamas-spectacular-failure.php). Anche qui, al cuore della faccenda sta il fatto che un certo numero di ebrei americani (un po' meno gli europei, pochissimi ma molto rumorosi gli israeliani) hanno semplicemente assunto il punto di vista dei nemici: quella è terra araba, nei bizzarri limiti della linea di confine del '49, dev'essere assegnata loro previa eliminazione di ogni singolo ebreo, punto e basta.
La sindrome di Stoccolma è quella strana perversione mentale che ha preso il nome della capitale svedese perché è stata studiata prendendo come caso tipico le circostanze di una rapina a una banca con presa di ostaggi. Quel che successe è che rapidamente gli ostaggi si “innamorarono” dei loro rapitori, ne presero le parti e li aiutarono attivamente per contrastare l'assedio delle forze di polizia.
Si capisce bene che un popolo preso a ostaggio e duramente perseguitato da duemila anni possa sviluppare, in alcuni suoi membri, una sindrome di Stoccolma, cioè che possa accadere che alcuni ebrei e israeliani più o meno illustri assumano i principi i valori e gli interessi dei propri nemici come principi indiscutibili e guida per l'azione.
E' quel che è accaduto, credo, nei due casi che ho citato e in infiniti altri: vi sono stati ebrei nelle flottiglie, ebrei che partecipano alle manifestazioni palestinesi, ex ministri israeliani che consigliano i palestinesi su come danneggiare meglio Israele nella competizione politica, eccetera, eccetera.
Si parla in questi casi spesso di “odio di sé”. Be', è qualcosa di più e qualcosa di meno. Non odiano se stessi, questi signori, semmai i loro fratelli, o magari neanche li odiano, pensano di guidarli alla salvezza. E non si tratta di un semplice sentimento come l'odio, è una forma psichiatrica pericolosa, un vero e proprio delirio schizofrenico. Sarebbe utile fermarli, nel loro stesso interesse, e sottoporli a una bella cura psichiatrica.
Ugo Volli