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La Stampa Rassegna Stampa
18.07.2012 Una protesi High-Tech per tornare a vedere sperimentata a Gerusalemme
La cronaca di Viviana Kasam

Testata: La Stampa
Data: 18 luglio 2012
Pagina: 5
Autore: Viviana Kasam
Titolo: «I ciechi tornano a vedere con le sinfonie di suoni»

" I ciechi tornano a vedere con le sinfonie di suoni ", è il titolo dell'articolo di Viviana Kasam sulla STAMPA di oggi, 18/07/2012, nell'inserto TUTTO/SCIENZE, la storia della scoperta dello scienzato israeliano Amir Amedi.
Ecco l'articolo:

in alto Viviana Kasam, in basso Amir Amedi

È cominciato tutto con i pipistrelli. Da bambino, guardandoli volare nel cielo stellato sopra il Monte Scopus, Amir Amedi, giovane neuroscienziato israeliano, Phd alla Hebrew University di Gerusalemme, e post-doc a Harvard, si chiedeva come fanno a orientarsi e a non sbattere contro gli oggetti, essendo notoriamente ciechi.

E così, da adulto, si è messo a studiare il rapporto nel cervello tra visione e suoni, e ha sviluppato apparecchiature avveniristiche che consentono ai ciechi, anche congeniti, di «vedere» attraverso stimoli sonori, riconoscere le espressioni facciali, leggere, localizzare oggetti complessi nello spazio.

«All’inizio il mio lavoro era teorico - racconta -: attraverso la Risonanza magnetica funzionale ho scoperto un’area nel cervello che integra l’informazione tra visione e tatto ed è localizzata nel mezzo della corteccia visiva». L’area si chiama «Lotv», «lateral-occipital tactile-visual area». Poi - continua - «ho dimostrato che questa esiste anche nei ciechi congeniti, precede cioè la visione, non ne è una conseguenza. Il cervello, insomma, è organizzato secondo un modello cross-sensoriale e non, come si pensa, per aree specializzate, ciascuna per un senso».

Lavorando con i ciechi per verificare la teoria, quindi, Amir iniziò a chiedersi se non era possibile sviluppare qualcosa per aiutarli. «Sono 45 milioni nel mondo e 100 milioni le persone con gravi handicap alla vista: migliorare la loro quotidianità è un compito di grande valore sociale». E’ nato così «Ssd» («Sensory substitution device»), una scatola non più grande di un pacchetto di sigarette, che sostituisce la tradizionale canna, «oggetto medioevale», sostiene Amir. Il suo «Ssd», brevettato dalla Yissum, l'agenzia della Hebrew University per il «technology transfer» - funziona secondo il principio dei sensori delle auto e dei sonar dei delfini.

Si è rivelato l’uovo di Colombo. Emette da uno a quattro raggi verso gli ostacoli per un raggio di 180˚ e un’altezza fino a due metri, convertendo l’informazione in suoni, che sono gravi o acuti, ascendenti o discendenti, brevi o lunghi, a seconda di posizione, distanza e consistenza dell’oggetto. Bastano pochi minuti di pratica per utilizzarlo. Dovrebbe arrivare entro un anno o due sul mercato, a circa 100-150 euro.

Ma è solo l’inizio. Ciò che Amir sta sviluppando all’Edmond and Lily Safra Center for Brain Sciences - il centro dedicato al cervello e che è il gioiello della Hebrew University - è una protesi video-acustica. In pratica, una microtelecamera montata su un paio di occhiali, collegata a un minicomputer tascabile, o anche a uno smartphone, e dotata di cuffia stereofonica che trasforma le immagini in ambienti sonori, grazie a un «algoritmo magico», come lo definisce Amir (che non per nulla è un bravo sassofonista jazz). Non un singolo suono, perciò, ma una sinfonia, che, decodificata grazie a un addestramento che dura da 20 a 70 ore, consente di sapere quante persone ci sono in una stanza e dove si trovano, di interpretare la loro espressione, di trovare le scarpe sotto il tavolo, di leggere delle parole, di riconoscere i colori. I filmati (su Youtube, digitando «Amir Amedi») sono mozzafiato: sono stati presentati in Italia il 6 luglio scorso a Pisa, in un incontro organizzato dalla Fondazione Andrea Bocelli.

«Il mio lavoro con i ciechi è interattivo - dice il giovane scienziato, 34 anni -. Stiamo imparando molto sul funzionamento del cervello di chi utilizza gli “Ssd” e siamo arrivati a conclusioni che sovvertono alcuni principi delle neuroscienze». E’ noto - aggiunge - «che l’elaborazione visiva segue due percorsi: quello ventrale è collegato alla decodifica della forma, dell’identità degli oggetti e del colore, mentre quello dorsale analizza le informazioni spaziali, attivando la pianificazione viso-motoria». Sebbene la dissociazione sia largamente provata, rimane poco chiaro il ruolo dell’esperienza visiva nel modellare l’architettura funzionale del cervello. Vale a dire: quanto dipende dall’esperienza del vedere? Le ricerche di Amedi hanno dimostrato che anche il cervello dei ciechi dalla nascita ha un’analoga suddivisione della corteccia visiva e che i due percorsi si attivano anche in presenza di stimoli diversi, purché collegati all’identificazione degli oggetti.

Tutto ciò significa, quindi, che la natura della visione non è collegata esclusivamente alla vista! Non solo. Altre ricerche di laboratorio hanno evidenziato che ci sono aree nel cervello che non sono specifiche per un solo senso, ma che sono collegate e si possono attivare in seguito a input sensoriali diversi. «E’ ipotizzabile che il cervello sia una “task machine”, una macchina organizzata per compiti», sostiene Amir. E allora lo si potrebbe «risvegliare» alla vista: per esempio con protesi della retina o interfacce uomo-computer, capaci di aumentare le capacità cognitive e sensoriali, creando abilità sovrumane.

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