Sul FOGLIO di oggi, 17/07/2012, con il titolo "Tutti gli scandali politico-sessuali s'incrociano al Cairo", Mattia Ferraresi e Daniele Raineri fanno una godibile analisi politica gaurdala dal buco delle serratura.
Ecco il pezzo:
Daniele Raineri, Mattia Ferraresi
Sono passati tre anni dal discorso al Cairo di Barack Obama del 4 giugno 2009. Il presidente americano aveva scelto la capitale egiziana come luogo simbolo e come ponte tra America, mondo arabo e islam, ma quel senso di inaugurazione di un nuovo corso è ormai scomparso. Domenica le automobili su cui viaggiavano il segretario di stato americano, Hillary Clinton, e il suo staff sono state bersagliate da pomodori e da scarpe da un gruppo di contestatori che gridava “Monica! Monica”, con riferimento irridente allo scandalo Lewinsky. Erano laici e liberali, che accusano Washington di avere voluto la vittoria dei Fratelli musulmani e di averli finanziati con un miliardo e mezzo di dollari – una voce assurda, ma che al Cairo è creduta fermamente. La fonte del rumor è un pezzo del giornalista britannico Robert Fisk, sul quotidiano Independent, che con tono allusivo (“Una volpe dalla coda folta mi ha detto che…”, è l’incipit) sostiene che la vittoria degli islamisti è stata propiziata dalla Casa Bianca. I pezzi giornalistici fondati su bizzarrie impossibili da confermare sono da tempo il marchio di fabbrica di Fisk, decano degli inviati in medio oriente, ma questa volta le conseguenze potrebbero essere più gravi del solito. Domenica Clinton ha tentato di convincere il capo dei generali, Hossein Tantawi, a un compromesso politico con i Fratelli. E’ stata ascoltata? Per nulla. Già un’ora dopo il generale in un comizio pubblico pronunciava parole di fuoco contro quel “certo gruppo”. In programma c’era anche un incontro con i cristiani egiziani, ma con queste premesse è stato un fiasco. Durante l’incontro con i leader cristiani – boicottato da alcune figure di riferimento, vedi il businessman Naguib Sawiris – un astante ha detto a Hillary quello che tutti nella comunità più o meno segretamente pensano: l’Amministrazione americana è piena di islamisti infiltrati. Per dare forza all’affermazione, l’accusatore ha citato Huma Abedin, vicecapo di gabinetto di Clinton nata in Michigan da genitori pachistani. Oltre a considerare Huma una “figlia adottiva”, Hillary sa che l’appartenenza alla comunità musulmana e l’allure multietnico della sua protetta sono una chiave per accedere al mondo arabo in subbuglio, dunque la coltiva come un esemplare protetto. Da dove viene la convinzione che la Abedin sia un’islamista infiltrata? “Da Michele Bachmann”, ha risposto a voce molto bassa l’autore dell’accusa, in riferimento a una lettera mandata qualche tempo fa dall’effervescente deputata americana (che ha pure assaggiato le primarie presidenziali) per chiedere chiarezza sulle amicizie di Huma. Si è scoperto così che la madre, la professoressa Saleha Mahmood Abedin, è una delle 63 fondatrici della versione femminile della Fratellanza musulmana (la Sorellanza, naturalmente) e fra le compagne d’avventura c’è anche una signora di nome Najla Ali Mahmoud, ovvero la moglie del presidente egiziano, Mohammed Morsi. Ed ecco servita la connessione fra Clinton e gli islamisti, per interposta Bachmann. Per sua fortuna, Huma è entrata nel consesso dei dissenzienti copti giusto un paio di minuti dopo che la velenosa insinuazione era stata pronunciata ad alta voce. Huma è nota anche per la faccenda in cui è incappato il marito, il deputato democratico Anthony Weiner, proprio mentre lei era incinta del loro primogenito. Weiner, com’è noto, ha scattato fotografie al proprio armamentario più intimo e le ha inviate a sconosciute ammiratrici pescate su Twitter. Non il modo più saggio per conservare moglie e scranno. La promettente carriera politica s’è polverizzata nel giro di qualche settimana, ma con la paziente comprensione di lei, le ripetute ammende di lui e l’abbraccio amorevole della famiglia Clinton, il matrimonio ha retto in qualche modo. Il New York Post, foglio conservatore e pettegolo, sostiene che Weiner stia lavorando a una spettacolare riabilitazione che lo possa lanciare alla corsa per il posto da sindaco di New York nel 2013. Weiner ha già in cassa 4,5 milioni di dollari per la campagna prema sull’Obamacare ha fatto la sua prima, timida dichiarazione che esulasse dalle scuse e dai gesti di contrizione. Le fonti del Post giurano che Weiner stia lavorando a un ritorno in politica, con il sostegno di investitori e compagni di partito che gli avrebbero perdonato gli eccessi ormonali. Se ci fosse qualcosa di vero nella soffiata, sarebbe lecito chiedersi: chi se la passa meglio, il deputato disgraziato ma in risalita o la moglie indulgente in sospetto peccato di Sorellanza musulmana? Dopo il caso del parlamentare salafita sorpreso in una posa sconveniente in macchina su una buia stradina di campagna con quella che lui disse prima essere la sua fidanzata, poi sua nipote bisognosa di un passaggio e che infine si rivelò essere una studentessa di 19 anni – di certo non sua moglie –, ieri un nuovo scandalo sessuale ha colpito un politico islamista. Un leader di Libertà e giustizia, il partito paravento della Fratellanza musulmana che ha consentito all’organizzazione islamista di vincere alle elezioni parlamentari e a quelle presidenziali, appare in un video esplicito con un’amante. Il video è sgranato e senz’audio, ma non lascia dubbi su quello che sta accadendo. I dubbi vengono invece dal fatto che le telecamere che riprendono il politico sono due, una più vicina e l’altra più lontana, da un altro angolo, e questo spande sulla faccenda l’aroma inconfondibile di uno scandalo pianificato a tavolino da qualche nemico – o personale del leader incastrato o generale dei Fratelli musulmani. Gli scandali di letto tagliano le gambe ai politici in tutto il mondo, ma l’effetto contrappasso sui partiti islamisti è ancor più devastante per colpa delle loro campagne politiche ferocemente aggressive contro la libertà sessuale.
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