Sulla STAMPA di oggi, 17/07/2012, a pag.16, con il titolo "Gaza, visite ai detenuti dopo sei anni", Aldo Baquis racconta la visita in una prigione israeliana dei parenti di detenuti di Gaza.
Dal pezzo appare evidente la diversa idea di giustizia che caratterizza le due società, israeliana e palestinese.
Quando Gilad Shalit rimase rinchiuso per più di cinque anni in un luogo sconosciuto della Striscia, nessuno, sottolineiamo nessuno, potè verificare in quali condizioni si trovasse. Alla Croce Rossa Internazionale venne impedito di vederlo. Va detto che non elevò mai alcuna protesta, mentre Israele non ha problemi ad ospitare indagini di qualunque organismo internazionale, CRI compresa.
Ecco l'articolo:
a destra, per Gilad Shalit, mai nessuna visita
a sinistra, detenuti in un carcere israeliano
Gaza era ancora immersa nelle tenebre quando, presso gli uffici della Croce rossa internazionale, si sono radunate alcune decine di persone. Dopo una puntigliosa verifica delle liste messe a punto con laboriose trattative internazionali, i passeggeri sono stati fatti salire su un torpedone che li avrebbe portati, 20 chilometri più a Nord, al valico di Erez, porta di accesso di Israele.
Erano sei anni che i passeggeri attendevano di intraprendere quel viaggio, non certo meno. Nel 2006, con il rapimento da parte di Hamas del soldato Ghilad Shalit, Israele aveva sospeso le visite ai palestinesi originari di Gaza detenuti nelle sue prigioni per attività legate all’Intifada armata. L’anno successivo, con il colpo di mano di Hamas contro Abu Mazen a Gaza, la misura era apparsa definitiva. Solo adesso – dopo la liberazione del soldato di Israele e dopo un lungo sciopero della fame dei detenuti palestinesi – si è creata una convergenza che ha consentito alla Croce rossa di tornare ad organizzare le visite per i familiari dei 500 detenuti originari di Gaza rinchiusi nelle prigioni israeliane.
E così, proprio nel giorno in cui Hillary Clinton - per la prima volta dopo due anni - visitava Israele e ne incontrava i leader - è partita la prima visita dopo sei anni. Per dieci ore i prescelti (avrebbero incontrato 25 detenuti nel carcere di Nafha, nel Neghev, ad alcune decine di chilometri di distanza) si sono visti trascinati in un vortice di emozioni: presi fra la commozione per il tanto atteso incontro con i loro congiunti e le snervanti procedure di sicurezza imposte alla visita. Fin dai giorni scorsi avevano appreso che bambini al di sotto dei 18 anni non sarebbero stati ammessi in Israele, per ragioni non ben comprese a Gaza. Poi, arrivati al valico di Erez, i controlli si sono prolungati per due ore. Una volta arrivata nel carcere, la comitiva è stata costretta a nuove perquisizioni.
Un ulteriore momento di amarezza è giunto quando i membri della comitiva dei parenti si sono resi conto che la speranza di un abbraccio, di una carezza, di un bacio con i loro congiunti non si sarebbe materializzata: perché, per rigide ragioni di sicurezza, i detenuti erano stati disposti dietro a una spessa vetrata. Con loro si poteva comunicare solo mediante telefoni.
A quel punto il cronometro ha preso a scandire implacabile i minuti: quaranta per l’esattezza. Testimoni riferiscono che sia i reclusi sia i loro congiunti sono scoppiati spesso in lacrime, sopraffatti dall’emozione. Il tempo, hanno aggiunto, è volato. Poi la comitiva dei parenti è stata fatta salire sull’autobus ed è rientrata a Gaza nel pomeriggio. «Dieci ore di viaggio per un incontro di 40 minuti» hanno lamentato alcuni. «Comunque ne valeva la pena», hanno aggiunto. La settimana prossima lo stesso tragitto sarà percorso da una nuova comitiva.
A Gaza, intanto, Hamas da un lato protesta per le modalità imposte da Israele alla visita, ma dall’altro canta vittoria. «Questa visita – ha stabilito un dirigente dell’organizzazione al potere nella Striscia – è stata resa possibile solo grazie alla determinazione dei nostri prigionieri».
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