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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Amos Oz, Tra amici 16/07/2012

Tra amici                                              Amos Oz
Traduzione di Elena Loewenthal
Feltrinelli                                               euro 14


Amos Oz dice che quando scrive racconti brevi si sente come un viaggiatore abituato a molte valigie, improvvisamente deciso a portarsi solo il bagaglio a mano: deve compattare tutto quel che prova. Tra amici, il suo ultimo libro, è un bauletto perfetto: man mano che si squadernano i personaggi delle singole storie, quello che era il sogno e la realtà del kibbutz negli anni ' 50 si ricompone come un puzzle coinvolgente e veloce. Da un lato l' incontenibile utopia di una società giusta, perfetta, spartana, collettiva, di un' umanità trasformata, di un ebreo nuovo, abbronzato, lontano dalle fragilità e dai compromessi - dalle sconfitte - che avevano caratterizzato la diaspora, dall' altro le solitudini, le debolezze e gli egoismi entrati in clandestinità in un microcosmo rigido che si proponeva di cancellare il lato oscuro, e ancora la tenerezza, talvolta la voglia di fuga, le ferite, i tradimenti, uomini e donne nella loro concretezza. Un mondo che Oz, classe 1939, ha sperimentato per 30 anni, da quando, 15enne, dopo il suicidio della madre, volle andare a viverci, da solo, nel kibbutz Hulda, cambiando il cognome Klausner, scuola la mattina e trattore il pomeriggio, cercando di essere il contrario di suo padre, un bibliotecario schivo, erudito, di destra, così come l' abbiamo conosciuto nello stupendo Storia di amore e di tenebra. Amos Oz aveva già narrato il kibbutz con i racconti de La terra dello sciacallo del ' 65, un ritratto a tinte forti di quel che avveniva nei retroscena e all' esterno della vita collettiva. Questa volta lo sguardo è più disteso, fortemente empatico, concentrato sulle rinunce e i desideri dei singoli, sulla loro vulnerabilità e la forza, anche la spietatezza, di una speranza cronica. Un tessuto da cui emergono di volta in volta delle figure, che poi ricompaiono in brevi flash in altri episodi dando il senso dell' affresco di insieme. Ecco Zvi Provizor, giardiniere solitario e pessimista, sempre pronto a dare brutte notizie, di morti e terremoti, perfetto nel suo lavoro ma incapace di amare. Ecco Osnat lasciata da un giorno all' altro dal marito Boaz inseguita dalla nuova amante Ariela che le chiede scusa. Ecco i pettegoli. Ricorre spesso David Degan, fascinoso 60enne capo popolo carico di fede marxista, senza scrupoli con le donne, convinto assertore delle regole più ferree, dell' educazione collettiva da dare ai bambini separandoli dalle famiglie per esempio. E intanto arrivano nei racconti le "vittime" di quel sistema: la ragazzina di 17 anni sedotta da Degan e il mite padre Nahum che non sa darsene ragione, il bambino Yuval che non vuole passare la notte nel dormitorio dove i compagni lo prendono di mira, Yotam, un ragazzo a cui lo zio ricco offre di pagare gli studi in Italia, mentre gli altri glielo vogliono impedire e lui stesso non sa se ne avrebbe il coraggio. Vite spinte in un angolo metafora dell' umanità, comunque vite ardimentose. Come Martin, una biblioteca in sei lingue, calzolaio, anarchico: vecchio e malato, ha ancora una cosa da insegnare agli altri prima di lasciarli, l' Esperanto, per abbattere ogni incomprensione.

Susanna Nirenstein
La Repubblica


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