Riportiamo dalla STAMPA del 14/07/2012, a pag. 32, l'intervista di Sergio Trombetta al coreografo israeliano Barak Marshall dal titolo "La mia danza, un mix tra arabo e yiddish".
Barak Marshall
Segnaliamo che il 12 e il 13 novembre sarà presente a Torinodanza Ohad Naharin con la Bathseva Dance Company.
Ecco l'intervista:
Il mix è ardito: il mondo crepuscolare dell’Europa orientale descritto da Bruno Shultz, le dinamiche sadomaso delle Serve di Jean Genet, la musica klezmer declinata in varie salse e allargata alla tradizione dei Balcani, le melodie della cultura ebraica yemenita. Esce dal frullatore dove saranno stati inseriti tutti questi ingredienti Monger (il venditore) lo spettacolo del coreografo israeliano Barak Marshall in scena in prima nazionale al Castello di Racconigi oggi per il Festival Teatro a Corte. Personalità fra le più effervescenti della scena coreografia israeliana, cresciuto fra Tel Aviv e la California, figlio della grande danzatrice e coreografa Margalit Oved, scoperto e lanciato da Ohad Naharin, Marshall parla del suo lavoro.
Come è nato Monger ? ?
«Quando affronto un lavoro nuovo non parto da una storia già esistente da mettere in danza. Il brano prende forma da molte fonti. Mi lascio influenzare da diversi spunti. Le Serve di Genet per esempio sono un lavoro molto dark, uno scontro di classe, distruttivo, una vendetta contro la signora, una piccola rivoluzione, contro le norme della società. In Monger ci sono dieci servi intrappolati in un seminterrato con una padrona che li tortura, li maltratta».
Ma cosa c’entrano Bruno Shultz e le amatissime anche in Italia Botteghe color cannella ? ?
«C’è qualche cosa di simile nella prosa di Bruno Shultz, al di là della natura fantastica e bellissima delle sue storie. C’è molto di simile nella sua biografia: ha passato in un seminterrato l’ultima parte della sua vita, a catalogare libri mentre la guerra portava distruzione nella sua Galizia. Ho voluto paragonare la situazione dei dieci servi e quella di Shultz».
La tradizione della danza e la musica yemenita le vengono da sua madre, ma il mondo ebraico dell’Est Europa?
«Tutto questo mi deriva da mio padre che è austro ungherese. La lingua yiddish fa parte della nostra cultura di famiglia. Israele è un posto dove si sono mescolate moltissime diverse tradizioni. Mia nonna, tutte le mie zie parlavano solamente arabo. Da parte di mia madre, che è nata nel protettorato inglese di Aden, mi derivano le influenze della musica yemenita e della musica egiziana, di una grande cantante come Oum Kalsunm, della danza indiana. Molta della energia e il tipo di movimento dei miei spettacoli arrivano di lì».
Insomma un bel cocktail
«E non dimentichiamo che sono nato a Los Angeles e quindi mi porto dietro anche la cultura americana. Ho un’eredità complessa».
Il suo stile è diverso da quello di altri coreografi israeliani, come Yasmeen Godder o Yuval Pick. Ognuno di voi ha un mondo a parteocisonocarattericostanti?
«Le nostre sono voci individuali e differenti. Questo è tipico della cultura israeliana. Ciascuno sente il bisogno di esprimere se stesso senza cadere nei luoghi comuni. E poi non dimentichiamo che Israele non ha una tradizione secolare di danza come la si intende in Europa. Tutto è molto giovane. Succede che molti di noi non abbiano un training di danza da ragazzini. Molti uomini cominciano tardi, spesso mancano punti di riferimento, non c’è un linguaggio assodato, ciascuno deve inventare il suo».
Il suo lavoro è coprodotto dal Suzanne Dellal Centre di Tel Aviv. È una realtà molto importante per la danza?
«Fondamentale. Il più importante centro che produce e sostiene la danza. Quasi tutti i coreografi israeliani sono passati dal Suzanne Dellal. Senza non ci sarebbe danza in Israele. Un altro grande punto di riferimento è il lavoro di Ohad Naharin con la Bathseva Dance Company (sarà a Torinodanza il 12 e 13 novembre ndr). Una personalità fortissima e seducente. Per cui ognuno di noi cerca di andare in altre direzioni per non trovarsi a fare gli stessi percorsi. Per non essere tutti sue pallide copie».
Per inviare la propria opinione alla Stampa, cliccare sull'e-mail sottostante