I premi, l'etnicità e il territorio
Hannah Arendt
a destra, Yfaat Weiss
Cari amici,
che cosa pensate dei premi letterari e affini? Vorreste vincere il Nobel della letteratura o almeno lo Strega o il Campiello? Magari solo il premio del vostro paesello? In Italia ce n'è uno per comune almeno e non si negano a nessuno: lasciatelo dire a me che un po' ne ho avuti (ma molto, molto secondari, vi assicuro) e ho fatto il giurato in molti altri... C'è un po' di fama in gioco, qual "quarto d'ora di celebrità" che non si nega a nessuno, come ha spiegato Andy Warhol, e certe volte anche un po' di soldi, o un po' più di un po' in casi come il Nobel.
Ma c'è un altro modo di leggere i premi e vederli come fenomeni di costume. di ideologia, di cooptazione intellettuale. E' di questo che voglio parlarvi oggi, a partire dalla lettera di una lettrice che ha segnalato a IC il fatto che un premio Hannah Arendt assegnato a Brema è andato quest'anno alla professoressa Yfaat Weiss: nella descrizione della lettrice essa "apparterrebbe alla giovane generazione di storici israeliani che 'studiano la storia di Israele e della Palestina approfonditamente e senza pregiudizi' e che 'mette in dubbio la linea ufficiale di considerare l'Olocausto l'unica misura per la convivenza tra le etnie in Israele' ecc. ecc." Ho dato un'occhiata alla bio-bibliografia della premiata (per esempio qui: http://www.hum.huji.ac.il/english/templates/staff_details.php?cat=2893&incat=777&id=5161&act=view&tui=776).
Se volete capire un po' di più come la pensa, potete leggere il suo riassunto del libro che ha scritto sulla storia di un quartiere povero di Haifa qui: http://www.juancole.com/2012/04/amnesia-and-awakening-israel-and-the-nakba-weiss.html. Sotto l'apparenza della correttezza politica, è un capolavoro di ipocrisia. Gli israeliani sono accusati di amnesia della "Nakba", la "catastrofe" araba; per quanto riguarda Haifa si riconosce che oggi i palestinesi stanno bene e che i rapporti sono distesi e paritari, ma si rievoca l'abbandono di parte della popolazione araba nel '48 "sotto la pressione" ebraica, che suggerisce senza dirlo un uso della forza militare che in città non ci fu, mentre intorno i combattimenti furono numerosi per il tentativo arabo di tagliar fuori Haifa dal territorio centrale israeliano. Gli ebrei del Maghreb che sostituirono la popolazione araba nei quartieri poveri della città sono descritti invece come emigranti "in seguito al processo di decolonizzazione del Marocco", come se fossero stati essi i colonizzatori e non invece una popolazione residente da più di un millennio, brutalmente cacciata in pogrom antisemiti.
Insomma, la professoressa Weiss è la tipica intellettuale israeliana post-sionista, stile Haaretz, che ha scoperto come nelle università israeliane ed europee si faccia carriera molto meglio parlando male di Israele e magari si vincano anche dei premi per questo. Ma bisogna scandalizzarsi del fatto che Brema assegni a un tipo così il premio Arendt? Io direi proprio di no. Innanzitutto perché i premiati non c'entrano affatto con la Arendt (come del resto non c'entra la città di Brema, che non ha certo un posto speciale nella vita della filosofa originaria di Koenigsberg e studentessa fra Marburgo e Heidelberg, prima del lungo esilio americano). Nel 2002 per esempio vinse il premio Gianni Vattimo, nel 2007 Toni Judt, nel 1995 Agnes Helle (http://www.boell-bremen.de/arendt/home.html); insomma un certo grado di pregiudizio nei confronti di Israele sembra indispensabile per piacere nella città anseatica.
Ma soprattutto è la figura stessa di Arendt che andrebbe messa in questione. Non si tratta tanto di essere stata amante di Heidegger in gioventù; un po' di più di averlo difeso e aver continuato in un'affettuosa amicizia - diciamo così - dopo la guerra, quando le sue pubbliche prese di posizione in favore del nazismo erano note a tutti. Ma soprattutto le sue posizioni nei confronti del processo Eichmann, la sua teoria della "banalità del male", che in qualche modo denazificava la Shoà (significativamente ripresa quest'anno nel tema di maturità), quel rifiuto esplicito e ostentato dell'"amore per Israele" su cui si ruppe l'amicizia con Scholem - tutto questo disegna la figura di una donna che certamente ebbe a subire la pesante discriminazione degli ebrei del suo tempo e però non ne ricavò affatto il senso dell'appartenenza e l'orgoglio dell'identità, ma invece la rivendicazione di una teoria politica classica esplicitamente anacronistica. Non è questo il luogo di discutere adeguatamente la figura intellettuale di Arendt, che certamente è grande, ma perturbante e non si è formata certamente sull'idea di una lealtà alla sua tradizione. Vale però la pena di dire che gli intellettuali ebrei che piacciono e sono onorati nell'Europa attuale (in Germania, nel luogo dove settant'anni fa si lavorava alla "soluzione finale del problema ebraico") sono proprio quelli che a modo loro lavorano per mettere in luce "l'insolubile disparità fra percezione etnica e territoriale della cittadinanza", come si esprime Weiss nello scritto che ho citato, naturalmente optando per la seconda, il che significa operare per de-ebraicizzare Israele. In questo c'è una coerenza con l'opera di Arendt, bisogna ammettere. Che la Germania e non solo la Germania, tutta l'Europa, onori gli ebrei che non amano Israele o gli israeliani che non amano l'ebraismo nel loro stato - be' sarò uno che pensa male, ma a me appare molto significativo.
Ugo Volli