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Informazione Corretta Rassegna Stampa
13.07.2012 Il Mali e il fallimento della 'primavera araba' visto da Londra
sfumature della stampa britannica. Analisi di Annalisa Robinson

Testata: Informazione Corretta
Data: 13 luglio 2012
Pagina: 1
Autore: Annalisa Robinson
Titolo: «Il Mali e il fallimento della primavera araba visto da Londra: sfumature della stampa britannica»

Il Mali e il fallimento della primavera araba visto da Londra: sfumature della stampa britannica
di Annalisa Robinson


Annalisa Robinson
a destra, Timbuctu

Fino a qualche giorno fa, leggendo certa stampa inglese, si aveva l'impressione che i recenti sviluppi in Mali avessero un significato prevalentemente culturale, anzi artistico. La stragrande maggioranza dei titoli metteva l'accento sulla distruzione di mausolei plurisecolari, delle  antiche tombe dei santi sufi e di una moschea del Quattrocento a Timbuktu (una delle città più mistiche della Terra, chiamata anche “la città dei 333 santi”), nonché sullo sdegno dell'UNESCO, che ha parlato di azioni “terribili e irreversibili” e ha prontamente sollecitato l'immediata interruzione dei vandalismi in questione; mentre, dal Senegal, il nuovo procuratore generale della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, la gambiana Fatou Bensouda, tuonava che  la distruzione del patrimonio culturale di Timbuktu costituisce un “possibile crimine di guerra”.  La Francia ha naturalmente espresso la propria condanna.

Per quanto orribile, tuttavia, questo aspetto è solo una delle tante facce di una situazione molto articolata e molto più tragica, uno dei tanti frutti avvelenati prodotti dai fragili fiori della primavera araba. Nel Mali settentrionale, confinante con l'Algeria, gruppi legati ad Al Qaeda, in particolare AQIM (che sta per “Al-Qaeda in the Islamic Maghreb”, già coinvolta nel rapimento e nell'uccisione di turisti occidentali) controllano un'area pari a tre volte quella del Regno Unito, con tanto di aeroporti, basi militari, campi di addestramento e promettenti opportunità economiche. Infatti la zona, già nota come luogo di reclutamento e addestramento islamista, si trova su una rotta trans-sahariana di contrabbando che alimenta il traffico di cocaina verso l'Europa. AQIM agisce soprattutto attraverso gli Islamisti di Ansar Dine (letteralmente “difensori della fede”), di tendenza salafita, la cui forza militare si deve a combattenti reclutati nel Sahel e in altri Paesi, compreso il Pakistan, e bene addestrati; ma vi sono anche altri gruppi alleati, alcuni di nuova formazione, come il Movement for Unity and Jihad in West Africa. Gli Islamisti sono in possesso di armi, veicoli militari e supporti tecnologici forniti al Mali dagli USA proprio per combattere Al-Qaeda, oltre a materiali bellici abbandonati nelle loro mani dall'esercito in fuga. Il governo del Mali controlla solo un terzo del territorio nazionale, ma occorre tenere presente che dal colpo di stato militare del marzo scorso, che ha deposto il presidente Touré, il Paese non ha un governo vero e proprio, e nemmeno un esercito  in grado di riguadagnare il terreno perduto. Tragico, se si pensa che dal 1992 il Mali era uno Stato democratico e multipartitico. Più di 180.000 persone sono attualmente rifugiate in campi profughi in Paesi confinanti; altre 160,000 sono fuggite nel sud del Paese. La crisi politica ha avuto un impatto disastroso sull'economia, con perdite che potrebbero ammontare a due miliardi di dollari in totale. A questo si aggiunge la carestia, dovuta sia alla terribile siccità, sia al fatto che per via di AQIM il campo d'azione delle agenzie umanitarie è notevolmente ristretto. Gli aiuti alimentari della ONG Oxfam, molto apprezzata  in Gran Bretagna, riescono a raggiungere soltanto il 15% della popolazione a cui sono destinati. Secondo l'ONU, un terzo della popolazione del Paese, compresa la stragrande maggioranza delle regioni del Nord dominate da AQIM e dai suoi alleati, soffre la fame o quasi.  Nel vuoto e nel caos delle lotte intestine si stanno già inserendo i Paesi vicini, a sostegno di gruppi di interesse diversi. Si ritiene, ad esempio, che pur essendo secolare l'Algeria appoggi AQIM, in modo da giustificare i propri apparati di sicurezza, e che anche l'organizzazione islamista nigeriana Boko Haram (che significa: “Western Education is sinful”; 700 morti cristiani dall'inizio dell'anno a oggi, vicina ad AQIM, che ne addestra parecchi combattenti), sia ormai coinvolta.

Con queste premesse, sembra ragionevole prestare attenzione a quanto accade nel Mali per le sue possibili ripercussioni non solo in Nordafrica ma anche in Europa.  Solo a fine giugno Jonathan Evans, a capo del servizio di intelligence britannico MI5, ha avvertito che il caos generato dalla cosiddetta primavera araba ha portato alla creazione di nuovi campi di addestramento di Al Qaeda in Medio Oriente, specialmente in Siria e in Libia, nei quali centinaia di jihadisti britannici vengono addestrati a compiere attentati terroristici, con l'intento  di metterli in atto appunto nel Regno Unito. Insomma, il Medio Oriente si avvia a sostituire Pakistan e Afghanistan come base per gruppi legati ad Al Qaeda. Solo alcuni anni fa, 75% del lavoro di controterrorismo di MI5 riguardava azioni con una sponda pachistana o afghana; oggi solo il 50% coinvolge i due Paesi, con il netto emergere dello Yemen e della Somalia (http://www.dailymail.co.uk/news/article-2164679/Terror-threat-Britain-Arab-Spring-UK-extremists-travelling-Al-Qaeda-training-camps-says-MI5-chief.html#ixzz20Khthebm ).

I quotidiani britannici hanno dedicato parecchio spazio a questa situazione, proprio per via delle possibili enormi ripercussioni a livello internazionale. In generale, gli articoli seguono le linee di tendenza delle testate: quotidiani conservatori come il Telegraph e il Daily Mail si concentrano sull'allarme terrorismo e alle sue possibili ramificazioni in Europa, quelli progressisti come il Guardian sono più analitici, se non cerchiobottisti e ma-anchisti. L'Independent è spesso su posizioni simili a quelle del Guardian, ma con occasionali lampi di pensiero indipendente e non allineato alla morale progressista ufficiale.

Come nessun altro, David Blair del Daily Telegraph    (http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/mali/9390601/Mali-how-the-West-cleared-the-way-for-al-Qaedas-African-march.html) va dritto al cuore del problema: “Mali: come l'Occidente ha preparato il terreno per l'avanzata di Al Quaeda in Africa”. Sottotitolo: "Mentre l'attenzione del mondo era rivolta altrove, gli Islamisti e Al Quaeda si sono impadroniti di una vasta zona del Mali settentrionale”.  L'articolo ha il merito di illustrare con chiarezza la cronologia degli eventi, ossia come la caduta di Muammar Gheddafi, con la benedizione dell'Occidente, abbia di fatto riempito il mercato di armi libiche; come queste ultime siano state usate dai separatisti tuareg del movimento secolare MNLA (Mouvement National pour la Libération de l'Azawad), che a migliaia avevano combattuto in Libia per il colonnello, per impadronirsi del nord del Mali (o Azawad), con l'aiuto di AQIM; come AQIM abbia poi scaricato i tuareg indipendentisti e assunto una posizione dominante nelle regioni conquistate attraverso Ansar Dine; e soprattutto come nel Paese stiano affluendo jihadisti da molte parti del mondo islamico, ad esempio algerini, nigeriani, somali e pachistani. Secondo fonti locali e diplomatiche citate da Blair, la Sharia sarebbe già realtà in queste zone, con il bando di alcool, musica, calcio, televisione e trasmissioni radio che non siano annunci ufficiali o versi coranici; con l'introduzione delle frustate in pubblico per gli adulteri e del matrimonio forzato delle nubili locali con i nuovi signori. L'articolo si conclude con il timore espresso in ambienti diplomatici che questa nuova roccaforte islamica diventi una base per attaccare l'Europa.

Blair ha il merito di descrivere una situazione concreta in un luogo specifico e quasi simbolico, Timbuktu, illustrandone le cause e gli effetti, sia visibili che potenziali, inserendo il tutto in un quadro internazionale piu' vasto. Insomma, presenta un problema politico, culturale, e religioso nelle sue implicazioni presenti e future.

Al momento l'Independent si concentra sui danni al patrimonio culturale, ma a fine maggio un formidabile articolo firmato da Ian Birrell   (http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/ian-birrell-like-afghanistan-mali-is-a-victim-of-our-war-on-terror-7778728.html?origin=internalSearch) metteva in guardia dalle potenziali “conseguenze devastanti a livello globale” del crollo del Mali, e di come le organizzazioni islamiste avrebbero potuto riempire il vuoto di potere offrendo almeno stabilità alle popolazioni stremate. Birrell (che ha scritto i discorsi di David Cameron durante la campagna elettorale 2010) racconta di come gli islamisti abbiano stravolto lo stile di vita rilassato e tollerante dei tuareg; descrive donne costrette a velarsi e a uscire solo se accompagnate; bambini ai quali viene impedito di camminare per strada accanto alle bambine, negozi chiusi o vuoti, minacce di decapitazione, città deserte (a Niafunke, che una volta aveva per sindaco un chitarrista vincitore di Grammys, Ali Farka Touré, addirittura l'80% dei residenti se ne sarebbe andato), biblioteche leggendarie in cui migliaia di antichi testi sono a rischio di distruzione.

Anche il Daily Mail al momento si concentra sulla distruzione dei mausolei, ma da un anno circa si avvale della collaborazione del formidabile John R. Bradley, autore di After the Arab Spring: How Islamists Hijacked The Middle East Revolts (che raccomando caldamente). A fine giugno, dopo le dichiarazioni del capo di MI5 Jonathan Evans, Bradley scrisse un vigoroso articolo in cui, a fronte dello sfacelo in Medio Oriente, la primavera araba veniva definita “una barzelletta nauseante” (http://www.dailymail.co.uk/debate/article-2166240/As-hated-leaders-replaced-brutally-oppressive-regimes-Middle-East-Arab-Spring-sick-joke.html#ixzz20MMlRmCB). Bradley passa in rassegna i Paesi della primavera, descrivendo economie in caduta libera, criminalità dilagante, turismo decimato, fanatismo, misoginia. La primavera araba è un fallimento da ogni punto di vista, almeno “se si giudica in base ai classici valori occidentali di libertà, libertà di espressione e responsabilità democratica”. Il mito della primavera araba è tenuto vivo solo da “esperti occidentali sovreccitati e male informati”, nonchè da “un branco di attivisti locali ugualmente ingenui, avulsi dagli avvenimenti in corso, e per lo più di lingua inglese”.

Afua Hirst, in tipico stile Guardian, offre il consueto mix di enti internazionali, ONG, registi e cantanti (http://www.guardian.co.uk/world/2012/jul/06/mali-braced-military-intervention-somalia?intcmp=239).  L'UNICEF denuncia il reclutamento forzato di centinaia di minorenni in “gruppi armati”, casi di violenza su bambine, morti e ferimenti dovuti a esplosioni di mine. L'ECOWAS (Economic Community of West African States) sta riflettendo sull'opportunità di inviare fino a 5.000 militari contro “l'escalation dell'estremismo islamico”, ma il direttore delle relazioni esterne si preoccupa dell'inevitabile “guerriglia urbana, perchè hanno occupato il centro delle maggiori città del nord, non indossano uniformi, sarà difficile distinguerli dai civili locali” (guarda caso il problema dell'esercito israeliano).  Tuttavia il Consiglio di Sicurezza dell'ONU non ha (ancora) appoggiato il ventilato intervento dell'ECOWAS, limitandosi a sollecitare sanzioni e a condannare la distruzione dei monumenti.  Un anonimo rappresentante di una ONG teme che il Mali diventi “la nuova Somalia”.  I cittadini possono pero' trovare conforto nelle manifestazioni settimanali nella capitale, Bamako, guidate da leader culturali come il regista Cheick Oumar Sissoko, mentre i rapper Les Sofas de la République (che non sono i divani bensì i Guerrieri della Repubblica) hanno inciso due singles per criticare sia il governo civile spodestato che quello militare che lo ha rimpiazzato. L'articolo si chiude lamentando il fatto che l'instabilità politica abbia portato alla fuga degli investitori e alla sospensione degli aiuti bilaterali, centinaia di milioni di dollari dai quali il Paese era completamente dipendente; la Banca Mondiale in particolare ha sospeso aiuti per un miliardo di dollari, cosa che appare ragionevole visto che al momento non vi sono amministratori affidabili per questo denaro.

Ad Afua Hirst va riconosciuto il merito, in altri articoli, di aver ammesso il ruolo della   “primavera araba della Libia” nel disastro del Mali, se non altro in termini di proliferazione delle armi, perché “le potenze straniere non hanno sorvegliato i confini libici e impedito il flusso di armi verso i Paesi limitrofi”, specialmente ad opera dei tuareg, assoldati e militarizzati da Gheddafi per la lotta ai gruppi ribelli (http://www.guardian.co.uk/global-development/poverty-matters/2012/mar/22/mali-mutineers-maintain-tradition-tolerance-turbulence).

Non ho nessunissima simpatia per i distruttori di tombe, moschee e biblioteche (che sia geograficamente o culturalmente vicina o lontana, ogni testimonianza della storia degli uomini attraverso i millenni è anche la nostra storia), ma devo dire che ho provato grande ammirazione per la chiarezza con la quale, parlando a un inviato dell'Independent (http://www.independent.co.uk/news/world/africa/militants-destroy-tombs-in-timbuktu-7904119.html), si sono espressi i portavoce di Ansar Dine. Delle Nazioni Unite e della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja se ne infischiano altamente, perché non li riconoscono: “L'unico tribunale che riconosciamo è la divina corte della Sharia”. Le tombe dei santi sufi vanno rase al suolo perché sono idolatre, e le future generazioni potrebbero “confondersi” e venerarle “come se fossero Dio”. Dell'impatto sul turismo,fino a poco tempo fa uno dei punti di forza di Timbuktu, poi, gliene importa ancor meno: “Siamo contro il turismo. Promuove la dissolutezza”.

Ecco, pur esecrando quello che dicono ne ammiro la chiarezza.  Questa gente sa quello che vuole e ha una scala di valori di riferimento, in base alla quale agisce (purtroppo) di conseguenza; anche in questo consiste il suo potere di attrazione e la sua forza. Come vorrei che anche noi occidentali, cosi' insuperabili nell'analisi degli alberi e cosi' miopi davanti alle foreste, avessimo ben chiaro quello che vogliamo, e soprattutto quello che non siamo disposti ad accettare, in casa nostra e fuori di essa - soprattutto prima di avventurarci in imprese neocoloniali dall'esito incerto o di tendere la mano dell'amicizia in discorsi retorici.  Anche i   “militanti” ci rispetterebbero di più.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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