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La Stampa Rassegna Stampa
11.07.2012 Mohamed Sarsak in sciopero della fame viene scarcerato fa ritorno a Gaza
Ma Amnesty trova comunque un pretesto per criticare Israele

Testata: La Stampa
Data: 11 luglio 2012
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Libero il calciatore palestinese»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/07/2012, a pag. 15, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Libero il calciatore palestinese".


Mohamed Sarsak al momento del suo ritorno a Gaza

Ann Harrison

Anche Michele Giorgio sul Manifesto riporta la notizia della scarcerazione di Mahmoud Sarsak. Più interessante il pezzo di Paci perchè riporta le dichiarazioni di Amnesty al riguardo : " «Sebbene il lungamente negoziato rilascio di Mahmoud al-Sarsak sia un sollievo per la sua famiglia e gli amici, non riflette alcun cambiamento nell’uso della detenzione amministrativa da parte delle autorità israeliane ma prova quanto questa misura sia ingiusta e arbitraria» osserva la responsabile di Amnesty International per il Medioriente Ann Harrison ". In definitiva Israele ha sempre torto. Le detenzioni amministrative sono un torto, l'autodifesa pure. E ora, come chiarito da Ann Harrison, responsabile di Amnesty International per il Medioriente, anche scarcerare i detenuti in sciopero della fame è un torto, perchè questo significa che le detenzioni sono fatte in modo 'arbitrario'. La scarcerazione di Sarsak non viene vista per ciò che è, un provvedimento per impedire che il calciatore morisse di fame e un segnale di distensione. No, bisogna sempre e comunque attaccare Israele, qualunque mossa faccia.
Gli stessi toni non sono mai stati usati nei confronti di Hamas durante i cinque anni e mezzo del rapimento di Gilad Shalit. Evidentemente rapire un ragazzo mentre svolge il proprio lavoro su suolo israeliano, tenerlo segregato per un quinto della sua vita e chiedere per la sua libertà la scarcerazione di un migliaio di terroristi non è una misura '
ingiusta e arbitraria', ma giusta e da ripetersi.
Ecco il pezzo:

Raccontano che quando l’hanno visto arrivare in ambulanza al valico di Beit Hanun i parenti e gli amici siano esplosi come davanti a una partita sbloccata ai supplementari, «gooool». Dopo tre anni di detenzione nel carcere israeliano di Ramleh, il calciatore palestinese Mahmoud al-Sarsak è tornato ieri a Gaza come previsto dagli accordi con l’autorità penitenziaria, la libertà in cambio della parola fine al suo irriducibile sciopero della fame.

Mahmoud al-Sarsak, classe 1987 e stella della nazionale, aveva smesso di mangiare il 19 marzo 2012 per protestare contro l’«arresto amministrativo», una norma del codice militare che nel nome delle ragioni di sicurezza permette al governo israeliano di tenere i palestinesi in prigione senza processo e senza comunicazione delle imputazioni contestate. Era stato genericamente accusato d’essere un combattente della Jihad Islamica e ammanettato il 22 luglio 2009 al valico di Erez mentre si recava in Cisgiordania per iniziare gli allenamenti con il suo nuovo club, il Balata Youth. Negli ultimi mesi circa 2000 carcerati hanno rifiutato il cibo per lo stesso motivo di alSarsak minacciando di lasciarsi morire come l’attivista nordirlandese Bobby Sand.

«Sebbene il lungamente negoziato rilascio di Mahmoud al-Sarsak sia un sollievo per la sua famiglia e gli amici, non riflette alcun cambiamento nell’uso della detenzione amministrativa da parte delle autorità israeliane ma prova quanto questa misura sia ingiusta e arbitraria» osserva la responsabile di Amnesty International per il Medioriente Ann Harrison. Durante i suoi 94 giorni di sciopero della fame, il calciatore palestinese era riuscito a destare l’attenzione del mondo sportivo a cominciare dal presidente della Fifa Joseph Blatter, il presidente dell’Uefa Michel Platini e l’ex campione francese del Manchester United Eric Cantona, firmatari di una petizione presentata alla Federazione Israeliana.

«Sono molto felice e le mie condizioni sono buone» ripete al-Sarsak al telefono. Il 12 giugno scorso aveva accettato di bere un bicchiere di latte dopo aver perso circa un terzo del proprio peso. Poi, il 18 giugno, l’annuncio del suo legale: l’intesa raggiunta con l’amministrazione penitenziaria e il traguardo del rilascio. Ora, in attesa di tornare a casa nella natia Rafah, il campo profughi a sud della Striscia di Gaza, il giocatore noto per aver debuttato a 14 come il più giovane esordiente della serie A palestinese, è ricoverato per accertamenti all’ospedale di Shifa.

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