uno dei segni più belli e concreti dell'amore degli ebrei per la terra di Israele è la passione per gli alberi, il rimboschimento che ne ha cambiato il volto. Quel territorio che un secolo fa era un deserto pietroso contornato verso il mare da paludi malariche è ora costellato dappertutto da boschi, pinete, frutteti, palmeti, vere e proprie foreste, al di là dei campi coltivati, che ne hanno cambiato il clima e l'aspetto: basta andare ai confini con i paesi arabi o i territori amministrati dall'Autorità palestinese per vedere netto il confine fra il verde israeliano e il grigio giallastro delle terre non amate e non accudite. Naturalmente questa fioritura non è venuta da sé; da un secolo è comune nelle famiglie ebraiche vedere la scatolina metallica bianca e blu del Keren Kayemet (il "patrimonio" di Israele) in cui i bambini sono stati educati a lasciare il loro obolo; si sono piantate piante in memoria dei Giusti, alberi per ricordare nascite e scomparse, matrimoni e realizzazioni. C'è un "capodanno degli alberi" (Tu bishvat) in cui tutti vanno in campagna a piantare il loro alberello. C'è insomma da un secolo e passa un gigantesco sforzo collettivo per trasformare Israele, da quella desolazione che descrissero tutti gli scrittori fra il Mediooevo e il Novecento in ciò che la Bibbia annuncia: una terra ubertosa e fertile "dove scorrono latte e miele". L'Israele moderno è il popolo che rimboschisce, cura, fa crescere e fiorire la sua patria storica, ne rivendica la proprietà facendo fruttare i posti più incedibili, piantando vigneti nel deserto del Negev o creando oasi nella terra calcinata della valle del Giordano, centinaia di metri sotto il livello del mare. Ma c'è un altro modo per rivendicare la proprietà di quelle terre, più semplice e comodo, forse non meno scenografico, e consiste nel bruciare quegli stessi boschi che gli ebrei piantano. E' diventato uno degli sport preferiti dei giovani arabi, insieme al tirar pietre sulla macchine di passaggio e assalire in banda chi si trova isolato in mezzo a loro. Se il terribile rogo del Carmelo di due anni fa fu appiccato per caso da due ragazzi drusi che non avevano preso le precauzioni necessarie per accendere un fuoco in un ambiente secco e infiammabile come una pineta, vi sono invece numerosi casi di incendi appiccati apposta, come strumento di "lotta", da giovani e meno giovani arabi, che odiano tutto quel che gli ebrei fanno, inclusi i loro boschi. L'ultimo caso è dell'altro ieri, con due arabi del villaggio di Kafa Katna, nei territori amministrati dall'Autorità Palestinese, che sono venuti a sudovest di Gerusalemme, vicino a Beit Shemesh, oltre la linea verde, per divertirsi a bruciare un po' di bosco e sono stati scoperti e arrestati (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/157669#.T_vcvvXFnix). Non è importante ricordare qui i dettagli (li trovate qui: http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4253261,00.html), perché è un caso che si ripete con minime variante decine di volte a ogni estate.
Mi dite che si tratta di una forma di guerra, magari popolare e che, come dice il proverbio in guerra e in amore ogni mezzo è lecito? E allora perché i terroristi di Al Queida stanno sistematicamente distruggendo i sacrari di Timbuctu (http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/461707/), che sono monumenti islamici, dedicati alla memoria di loro santi, oltre che patrimonio dell'umanità (http://www.aljazeera.com/news/africa/2012/06/2012630101748795606.html)? Quando si tratta di acquistare un territorio si può pure cercare la protezione dell'Unesco, come è accaduto per la Chiesa della natività di Betlemme, ma poi si lavora per distruggere le tracce di tutto ciò che non appartiene al patrimonio islamico "puro", che si tratta di monumenti, di chiese, di statue come i Buddha nalla montagna afgana, degli alberi di Israele (http://hurryupharry.org/2012/06/30/a-tale-of-two-world-heritage-sites-bethlehem-and-timbuktu/). Bisognerebbe che tutti riflettessero a proposito di questa guerra e capissero che si tratta di un conflitto fra chi pianta gli alberi e chi li brucia, fra chi costruisce monumenti e oggetti d'arte e chi li distrugge, fra chi ama e chi odia.