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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.07.2012 Libia: oggi le prime elezioni libere dopo 50 anni. Rischio islamismo
cronache di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 luglio 2012
Pagina: 14
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Sveglia all'alba, poi tutti in coda ai seggi - Brigate ribelli, milizie verdi e tribù del deserto. Gli 80 mila che non hanno deposto le armi»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/07/2012, a pag. 14, gli articoli Lorenzo Cremonesi titolati " Sveglia all'alba, poi tutti in coda ai seggi " e " Brigate ribelli, milizie verdi e tribù del deserto. Gli 80 mila che non hanno deposto le armi ".

" Sveglia all'alba, poi tutti in coda ai seggi "

TRIPOLI — Le difficoltà indubbiamente ci sono state, specie in Cirenaica. Attacchi alle urne e schede bruciate a Bengasi e Ajdabia, dove c'è anche scappato un morto. Minacce a chi cercava di votare in alcune delle cittadine petrolifere come Ras Lanuf, Jalu, la raffineria di Brega. E che difficoltà ulteriori siano in arrivo per il prossimo governo è denunciato dal fatto che, solo poche ore prima dell'apertura dei seggi, l'altra notte i dirigenti del governo transitorio hanno preso una decisione drammatica. Accettando le richieste dei federalisti più duri, sempre della Cirenaica, che contestano il numero troppo basso di parlamentari loro allocati (60, contro i 100 di Tripoli), hanno dichiarato che i 200 deputati del prossimo parlamento non avranno più il compito di individuare i 60 componenti della prossima assemblea costituente. Questi saranno invece scelti nei prossimi mesi da una nuova tornata di elezioni popolari. Una grave capitolazione di principio sulle prerogative ed il ruolo del primo parlamento della nuova Libia libera pur di mantenere l'unità del Paese e salvare il processo politico: una volta formulata la Costituzione, entro il 2013 si dovrebbe tornare alle urne.
Eppure, ieri in Libia ha vinto la democrazia. Per una volta una notizia positiva in questa congiuntura carica d'incognite per i Paesi della «primavera araba». Gli stessi commentatori locali paventavano la possibilità che, strette tra gli estremisti del malcontento nel campo della rivoluzione e i provocatori armati tra i resti del vecchio fronte pro-Gheddafi, le elezioni potessero fallire, sprofondare in divisioni, mini-guerre tra le milizie e anarchia. Ma così non è stato. In serata, mentre ancora nelle località più problematiche le operazioni di voto continuavano e si prometteva di chiudere solo oggi alle 7 di mattina, la commissione elettorale rendeva noto che aveva funzionato ben il 94 per cento dei 1.554 seggi del Paese. Nella regione della capitale, così come nella «città-martire» di Misurata, tra i berberi dei monti Nafusa, lungo la costa verso Sirte e persino nei centri militanti della Cirenaica, i libici sono andati a votare in massa. A Tripoli fin dall'alba lunghe code ordinate di cittadini hanno atteso per ore nell'afa degli oltre 40 gradi all'ombra. Un desiderio di corale mobilitazione e civile partecipazione da fare invidia alle più partecipate democrazie occidentali.
Le contestazioni nelle regioni orientali erano più che attese. «Questo è un Paese profondamente diviso. La logica tribale impera. Lo scontro tra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan ha radici antiche. Il miracolo è che si riesca a trovare un linguaggio comune. Via d'uscita potrà essere quella di elaborare una costituzione federale con ampie autonomie locali», ci ha spiegato da Bengasi il professor Abdelkhader Kadura, impegnato nello studio dei prossimi assetti istituzionali. Dato l'alto numero di candidati indipendenti, oltre 2.600, e le centinaia di partiti politici in lizza (per lo più liste locali legate a interessi municipali), ci vorrà qualche tempo per conoscere i risultati. Ma il primo giudizio tra gli osservatori internazionali è che il voto sia stato tutto sommato corretto. Il pubblico laico, specie nella regione della capitale, teme la possibilità della vittoria delle liste islamiche fondamentaliste. I Fratelli Musulmani appaiono, come sempre, attivi, ben organizzati: Egitto e Tunisia sono ai confini.

" Brigate ribelli, milizie verdi e tribù del deserto. Gli 80 mila che non hanno deposto le armi "


Lorenzo Cremonesi

TRIPOLI — Per comprendere come funzionano in pratica le milizie in Libia raccontiamo un episodio avvenuto pochi giorni fa al posto di blocco occidentale di Misurata, sulla provinciale che porta alla capitale. Uomini armati di mitra, alcuni in civile, ma la maggioranza con le mimetiche rubate dagli arsenali dell'ex regime, controllano i documenti al riparo di giganteschi container disposti in mezzo alla strada.
Il collaboratore libico del Corriere si chiama Kahiri Abdusalam, ha 32 anni e risiede a Tripoli. A lui si rivolgono in modo brusco i miliziani della qatiba (la brigata) locale, dopo aver controllato la sua carta d'identità. «Il tuo nome corrisponde a quello di un militante pro Gheddafi che stiamo cercando. Sei agli arresti per accertamenti», gli dicono senza mezze parole. Siamo nel centro del Paese, ma questi uomini si comportano come se fossero di guardia a un confine internazionale.
Kahiri sarebbe subito rinchiuso in una piccola cella in prossimità del posto di blocco se non si accorgessero della presenza di uno straniero. «Non si sta male. Tempo una settimana e sei fuori», aggiungono con un mezzo sorriso. Non serve dire loro che sarebbe meglio chiarire con le autorità di Tripoli. «Noi siamo indipendenti. I nostri comandi sono a Misurata», replicano. Ci vorranno un paio d'ore e l'intervento di un colonnello del posto particolarmente sensibile ai media stranieri per convincerli a farci ripartire.
Ma la vicenda è indicativa. Il Paese resta diviso tra centinaia di milizie autonome che in maggioranza ancora rifiutano di disarmare. È l'anarchia della forza. Si parla di circa 80 mila armati divisi soprattutto tra Zintan (sino a 20.000 miliziani), Misurata (15.000), Bengasi (30.000), oltre a diverse migliaia attivi nelle zone pro Gheddafi di Sirte e le tribù del deserto, specie attorno alla cittadina di Kufra. Nel solo carcere di Misurata pare siano chiuse oltre 3 mila persone accusate di avere collaborato in vario modo con l'ex dittatura. In tutto il Paese potrebbero essere quasi 20 mila, molte rinchiusi in celle improvvisate. La loro sorte è incerta.
In molti casi non è stato ancora formulato un ordine di cattura con imputazioni precise, sono segnalati episodi di tortura. A Zintan tengono ben stretto Saif Al Islam, il figlio più politico di Gheddafi, nonostante il governo transitorio ne abbia chiesto il processo a Tripoli. A Bengasi e in generale nella Cirenaica «verde» sono acquartierate le milizie più legate al fronte del fondamentalismo islamico. Tra loro si contano decine di ex militanti della «guerra santa» in Afghanistan e Iraq. Solo poche settimane fa una trentina di pick-up con le bandiere nere e verdi di Al Qaeda provenienti da Darna e Bayda hanno fatto irruzione a Bengasi minacciando di morte chiunque intendesse andare alle urne. Gli abitanti di Sirte hanno denunciato ieri la presenza di tre milizie in guerra tra loro. Più attivi i «comitati islamici» di Misurata decisi ad eliminare gli Abu-Helgha ancora pro-Gheddafi.

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