Israele: l'ultimo ghetto ebraico ?
di Giulio Meotti
(Traduzione dall'inglese di Yehudit Weisz)
http://frontpagemag.com/2012/giulio-meotti/is-israel-the-last-jewish-ghetto/
Giulio Meotti un checkpoint
Entro la fine del 2012, tutti i confini di Israele (più di mille chilometri) saranno protetti da muri, recinzioni e barriere.
Lo si potrebbe paragonare al Vallo di Adriano (il monumentale confine dell’Impero Romano in Britannia), alla linea Maginot (le fortificazioni francesi costruite per proteggere i confini tra la Prima e Seconda Guerra Mondiale) o al ghetto medioevale (il quartiere ebraico circondato da mura con cancelli).
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha incaricato l’esercito di costruire una barriera al confine con la Giordania. Lo Stato ebraico sta costruendo un’altra recinzione di 240 km con l’Egitto, per proteggere il sud del paese da terroristi, immigrati clandestini, e trafficanti di armi. La caduta del regime di Hosni Mubarak e i recenti attacchi terroristici hanno accelerato la costruzione. Ogni giorno, decine di ruspe e caterpillars stanno lavorando febbrilmente su una cinquantina di metri lungo il confine. L’unica area non protetta, che attraversa il deserto dell’Arava fino alla città turistica di Eilat, sarà presto circondata.
Israele ha iniziato a costruire barriere nel 1967, subito dopo la Guerra dei Sei Giorni, quando nella valle di Beit Shean costruì un riparo per impedire infiltrazioni dalla Valle del Giordano. Nel 1994, l’allora primo ministro Yitzhak Rabin aveva costruito la barriera con la Striscia di Gaza. Netanyahu ha recentemente ordinato la costruzione di un nuovo muro a Metulla, la città del nord, dove i tirapiedi di Yasser Arafat avevano ucciso molti studenti ebrei e turisti. Metulla è ora sotto il tiro dei missili di Hezbollah. L’esercito costruirà una barriera nel Golan, la difesa strategica di Israele da Damasco, mentre la famosa barriera di sicurezza in Giudea e Samaria dovrebbe essere completata entro la fine dell’anno. Questa recinzione ha fermato il flusso di attentatori suicidi palestinesi che avevano ucciso centinaia di ebrei nelle città entro i confini pre-1967.
Uno dei padri fondatori di Israele, Yigal Allon, una volta disse che “nessun Paese moderno può essere circondato da mura”; è vero, ma Israele è l’unico Paese ad esser letteralmente strangolato da gruppi terroristici e stati canaglia, che stanno progettando una nuova Shoah. Questi recinti testimoniano l’assedio esistenziale dello Stato ebraico.
Una tragica domanda rimane tuttora senza risposta: lo Stato ebraico sta diventando un ghetto glorificato e predestinato, che continua a stuzzicare gli appetiti dei fondamentalisti islamici che puntano alla sua definitiva estinzione? Israele sta ritornando a un’esistenza ghettizzata come tra il 1948 e il 1967, quando regnava il terrorismo arabo e tutti i centri abitati erano a pochi chilometri da un confine minaccioso?
Cercando di conciliare muri e steccati con la pace idilliaca che gli architetti pacifisti degli accordi di Oslo avevano previsto, i leaders israeliani ora sostengono che “dobbiamo stare separati per una generazione, fino a quando avremo imparato a vivere insieme”.
Nella mente dei “concessionisti”, disposti a rinunciare a tutto il territorio che l’esercito israeliano aveva liberato e conquistato nel 1967, Israele deve essere trasformato in un ghetto ebraico all’interno di Falastin (arabo per Palestina).
Il nuovo ghetto ebraico sarà un Israele monco, senza Gerusalemme vecchia, assediata da profughi arabi, e affidata all’amministrazione del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU, pronto a scambiare i confini di sicurezza per una pace di carta. Nel ghetto, la terra sarà contrattata per opportunità di turismo in Paesi di altre persone. Nel ghetto, “pace e denaro” sarà il nuovo Leitmotiv.
Faisal Husseini disse che “la pace dissolverà automaticamente Israele”. Immaginate che, dopo Gaza, la maggior parte di Giudea e Samaria si sarebbero dovute consegnare ai palestinesi di accordo con gli stati confinanti. Poi, questo è quanto si sentito all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, alle riunioni della Lega Araba, nei media europei, alle riunioni al vertice delle superpotenze e in tutti i parlamenti del mondo: “I diritti legittimi degli arabi di Israele devono essere rispettati”. Cioè, il “ritorno” della Galilea occidentale, di gran parte del Negev, Jaffa, Acri, Nahariya. Gerusalemme, poi deve diventare una città internazionale gestita dal Vaticano a beneficio di tutte le religioni. Infine, anche il ghetto sionista di Tel Aviv e la pianura di Sharon devono essere “restituiti” alla nuova nazione araba chiamata “Palestinesi della costa”.
Un affascinante romanzo best-seller scritto dallo scrittore olandese, Leon de Winter, dal titolo “Il diritto al ritorno”, racconta nella perfezione la storia del ghetto immaginario di Israele. Le case editrici ebraiche si rifiutarono di pubblicare il libro perché avrebbe turbato l’opinione pubblica sui pericoli che circondano Israele. Il romanzo di De Winter descrive uno Stato di Israele nel 2024 che è ridotto alla città-ghetto di Tel Aviv. Persino l’adiacente Jaffa è tagliata fuori dalla città. De Winter descrive un Israele che è sostanzialmente l’area di Tel Aviv ma ingrandita con la parte settentrionale del Negev, compresa Dimona. Il nord è sparito, il sud è sparito, Gerusalemme è sparita. Non ci sono ebrei in Giudea e Samaria. Ciò che rimane è una zona fortificata e sicura, ma di piccole dimensioni. Telecamere e droni vegliano sulla popolazione ebraica, e il viaggio nei territori non protetti governati dai palestinesi richiede il passaggio attraverso check-points fortificati molto più pesantemente di quelli contemporanei. Il libro ha un sottofondo di disperazione. De Winter non ci dice cosa è successo, se Israele si sia ridotto a causa di un “processo di pace” (il vecchio “piano articolato” dell’Olp di utilizzare ogni centimetro di terra araba “liberata” come un trampolino di lancio per la conquista di tutto il territorio) o per la guerra islamica di logoramento. Il romanzo è incentrato sulla figura di Bram Mannheim, un Ebreo olandese che fa aliyah a 18 anni e diventa, in giovane età, un celebre docente di sinistra. Insegna Storia del Medio Oriente all’Università di estrema sinistra di Tel Aviv. Ma quando, nel 2008, si è trasferito con la moglie e il figlio, per insegnare, a Princeton, viene colpito dalla tragedia: il suo bambino di 4 anni scompare. Bram si trasforma in un vagabondo psicotico errante per gli Stati Uniti. Suo padre lo trova e lo riporta a Tel Aviv. Nel 2024, Bram gestisce un ufficio che aiuta i genitori dei bambini che sono scomparsi anche in questa città-ghetto ebraica chiamata Israele.
Il defunto Dr. Israel Eldad aveva detto una volta, circa la possibilità che Israele si stesse ghettizzando con la rinuncia a Giudea e Samaria: “Ecco perché abbiamo intenzione di restituire i territori: gli ebrei non possono sopportare l’aria e lo spazio!”. Dal momento che le masse arabe non vogliono la pace senza “Ashdod, Beit She’an, Haifa e Gerusalemme”, come cantano i palestinesi ai loro comizi, oggi Israele si trova di fronte a due alternative: o una fortezza ebraica protetta dalle forze militari di montagna su Golan, Giudea e Samaria, o il “coraggioso Nuovo Israele” di Shimon Peres, come altri preferiscono chiamarla, la “Hong Kong del Medio Oriente” o “un nuovo Benelux”. È un distintivo d’onore per i “coloni” che si oppongono a che Israele diventi l’ultimo ghetto ebraico, si oppongono alla sua liquidazione definitiva.
Giulio Meotti è l'autore di " Non smetteremo di danzare " (Lindau Ed.) pubblicato in inglese con il titolo " A New Shoah", scrive per Yediot Aharonot, Wall Street Journal, Arutz Sheva, FrontPage Mag,The Jerusalem Post, Il Foglio. E' in preparazione il suo nuovo libro su Israele e Vaticano.