Fratelli che vincono, Egitto che dubita
di Zvi Mazel
(Traduzione di Laura Camis de Fonseca)
Zvi Mazel
Capiamoci bene: la vittoria di Mohamed Morsi, il Fratello musulmano divenuto presidente d’Egitto, va ben oltre le frontere egiziane; è la vittoria dell’Islam politico, che non conosce la separazione fra religione e stato e aspira a imporre la Sharia islamica come regola di vita. Paradossalmente i paesi arabi si preoccupano, mentre i media occidentali fanno gare d’ottimismo. La stampa occidentale saluta « la democrazia egiziana » e a volte arriva a definire i Fratelli Musulmani un ‘ movimento democratico moderato’.
Dobbiamo prima di tutto sottolineare lo scarso, scarsissimo margine di maggioranza della vittoria del candidato islamista. Non soltanto per la differenza fra i voti espressi : il 51,7% per Morsi contro il 48,3% a Shafik. Molti hanno votato a malincuore per un candidato che non gli piaceva pur di votare ‘contro’ il vecchio regime rappresentato da Shafik. Altri hanno scelto l’astensione: i votanti sono stati a malapena il 50%. Morsi dunque è stato eletto soltanto con i voti di un quarto dell’elettorato. Sono le regole di una democrazia approssimativa, che non permette di accertare la regolarità del voto.
In un paese che è da sempre culla di teorie complottiste, molti credono ancora che Shafik fosse il vero vincitore, ma che la Giunta militare abbia preferito assegnare la vittoria ai Fratelli per timore delle possibili reazioni all’elezione dell’ex primo ministro di Mubarak. La repressione che ne sarebbe conseguita avrebbe potuto portare i generali a dover rispondere di crimini contro l’umanità davanti alla Corte Penale Internazionale.
La rivoluzione non ha prodotto l’uomo nuovo, il dirigente carismatico capace di prenderne la guida. In ultima analisi il faccia a faccia si è svolto fra il rappresentante del vecchio regime e quello della Fratellanza Musulmana, l’unica vera forza politica del paese dalla rivoluzione dei Liberi Uffciali (1952) in poi. Da allora nessun movimento liberale è riuscito a prender piede. Da Nasser a Mubarak, passando per Sadat, il paese dei faraoni è stato una dittatura militare abbigliata da governo del partito unico.
I Fratelli avevano iniziato la lotta per il potere ancora prima, e furono i servizi segreti di re Faruk ad assassinare Hassan el Banna, fondatore anche di un gruppo clandestino che voleva rovesciare il regime con la forza. I Fratelli continuarono la lotta e, nonostante una serie di rovesci, costruirono un’infrastruttura sociale, economica e politica. Davanti alla dittatura militare, alla corruzione e alle torture, sempre più Egiziani hanno creduto che i Fratelli, portatori del messaggio dell’Islam, avrebbero portato anche la soluzione dei problemi. Non c’erano per altro concorrenti sulla scena , nè politici nè religiosi.
Dal momento della loro fondazione nel 1928, i Fratelli non hanno mai perso di vista il loro obbiettivo : prendere il potere e fare dell’Egitto un paese islamico soggetto alla Sharia. I loro nemici erano la democrazia, la libertà d’espressione, i diritti delle donne e delle minoranze. L’estremismo religioso si accompagnava in loro ad un antisemitismo virulente prima della fondazione dello stato d’Israele, a un odio viscerale per Israele dopo la sua nascita. Occorre ancora ripetere che tutti i movimenti estremisti islamisti – Jihad, Gamaa al Islamiya, al Quaeda e altri – sono sorti sulla base dell’ideologia propagata dai Fratelli? I Fratelli hanno avuto un ruolo importante nel rafforzare l’estremismo religioso in Egitto e l’ostilità contro Israele. Oggi ci viene detto che è storia vecchia, che adesso i Fratelli sono un partito di centro, pronto a operare democraticamente per lo sviluppo del paese. Ma durante la campagna elettorale Morsi non ha nascosto l’intenzione di imporre la Sharia e di conquistare Gerusalemme. I giornalisti occidentali hanno preferito mettere in evidenza altre dichiarazioni, come l’impegno a rispettare i trattati internazionali firmati dall’Egitto e a creare uno stato ‘civile’, termine opaco che non significa nulla, che è stato interpretato come ‘laico’. Credono forse davvero che l’elezione abbia spento il suo ardore religioso? Che si sia convertito alla democrazia, insieme a Mohamed Badi’e, guida suprema della Confraternita ? Che d’ora in poi i Fratelli tratteranno con rispetto le donne? Che cesseranno gli attacchi contro la minoranza copta al sud ? Che, benchè imbevuti di cultura e tradizioni islamiche e tesi a imporre l’Islam al mondo intero, dimentichino l’obbiettivo proprio quando arrivano al potere? Ecco le domande che i giornalisti occidentali non si pongono.
I paesi arabi, invece, non nascondono la propria inquietudine, perchè per loro i Fratelli sono un pericolo reale. L’Arabia Saudita e i paesi del Golfo seguono la situazione con attenzione e per ora rifiutano di metter mano al portafogli per salvare l’economia egiziana in caduta libera. Lo si è visto quando l’influente capo della sicurezza di Dubai ha dichiarato che non sarebbe benvenuto un presidente egiziano appartenente alla Fratellanza, e che la sua elezione sarebbe di malaugurio sia per l’Egitto sia per la regione. Qualche settimana prima aveva minacciato di arresto Yusuf Quardawi, l’ideologo della Fratellanza, accusandolo di incitamento contro gli Emirati Arabi Uniti. Il principe saudita emiro Nayef Ben Abdel Aziz, morto pochi giorni fa, era un nemico accanito dei Fratelli, che hanno dimostrato apertamente la loro gioia alla sua morte, perchè li considerava la radice dei mali della regione e la fonte del terrorismo politico. L’Arabia Saudita non dimentica l’11 settembre 2001, quando scoprì che dei 18 terroristi che avevano abbattuto le torri gemelle a Manhattan 16 erano cittadini sauditi appartenenti alla Fratellanza e ad al-Queda. Riad allora espulse subito tutti i militanti della Fratellanza residenti nel Regno.
Dopo aver prestato giuramento alla Corte Costituzionale, Morsi ha assunto le funzioni, diventando il capo supremo del popolo egiziano, democraticamente eletto. La Giunta gli ha subito rimesso il potere esecutivo e anche quello legislativo, perchè il parlamento è sciolto. Ma la dichiarazione costituzionale di alcuni giorni prima limita i poteri del presidente in materia di difesa e di esercito: non può dichiarare guerra, fissare il budget militare, nè nominare ufficiali superiori.
Questa dichiarazione, che alcuni considerano un colpo di coda dei generali per preservare parte dei loro privilegi prima di tornare a chiudersi in caserma, rischia di essere presto rimessa in discussione. Disponendo del potere esecutivo e legislativo, il nuovo presidente può trovare una formula legale per annullare lo scioglimento del parlamento, o per procedere a elezioni parziali e a una nuova vittoria dei Fratelli. Potrà avere la supervisione della nuova costituzione e introdurvi articoli per imporre la Sharia. Non è dunque impossibile che fra qualche mese i Fratelli abbiano raggiunto il controllo totale dell’Egitto : presidenza, parlamento e costituzione. Potrebbero allora iniziare a mandare in pensione i generali del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Che cosa potrebbe fare l’esercito? Un colpo di stato? Poco probabile. L’Egitto diventerebbe piuttosto uno stato islamico con l’obbiettivo di esportare la rivoluzione islamica negli altri paesi del medio oriente.
Questa visione è considerata apocalittica dai commentatori occidentali, secondo i quali sulla passione dottrinaria prevarrà il pragmatismo e la necessità di occuparsi prioritariamente di una crisi economica senza precedenti. Più di 80 anni di lotta testarda e spietata non varranno molto di fronte alla realtà, secondo costoro. Staremo a vedere. Due dichiarazioni del neo presidente meritano attenzione. La richiesta di un nuovo processo per il presidente Mubarak, recentemente condannato all’ergastolo, per ‘fare giustizia’, e l’impegno di far rimettere in libertà lo sceicco cieco Omar Abdel Rahman, responsabile del primo attentato contro le torri gemelle nel 1993, da allora detenuto negli USA …
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta