Ricordo di Yitzhak Shamir
di Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein, a destra, Yitzhak Shamir
Yitzhak Shamir ha influenzato direttamente la mia vita. E' accaduto in un giorno d'estate, nel suo ufficio di Primo Ministro. Come giornalista ho incontrato quel piccolo fortissimo statista dalla grande testa bianca diverse volte: subito si intuiva la sua determinazione dal suo modo di parlare, un ebraico con quell'accento slavo evocativo di cieli altissimi, di aspirazioni sioniste e sociali formidabili, che mi ricordava mio padre. Era un uomo diretto e cauto, non dimenticava mai che i polacchi da cui suo padre aveva cercato rifugio dai nazisti lo avevano invece ucciso. Aveva combattuto gli inglesi nel Lehi con una fortissima determinazione a fondare lo Stato d'Israele come indispensabile spiaggia della vita stessa del popolo ebraico, e questo era il suo atteggiamento generale. Il suo essere tutto d'un pezzo non gli impediva di essere abile in politica fino a raggiungerne il livello più alto, e di aver forgiato un'alleanza con Shimon Peres che salvò il Paese dal disastro economico.
Finita l'intervista, quel giorno, messo da parte il blocco e la penna, restammo un momento seduti l'uno di fronte all'altro su due sedie. Cominciai a salutare e ringraziare, ma Shamir allora mi bloccò con un gesto drammatico. Si prese la testa fra le mani, piegando il busto in avanti sulle ginocchia e rialzandosi di scatto mi disse aggrottando le sue famose sopracciglia a cespuglio: "Adesso mi deve rispondere lei, signorina, mi dica, la prego, mi dica come è possibile che il popolo italiano che ha avuto Michelangelo, Leonardo, Dante Alighieri, Boccaccio, Torquato Tasso" e qui seguitò per un po’ a sciorinare nomi di grandi italiani "abbia simpatia, anzi, a volte persino ami un individuo come Yasser Arafat, un ignorante che vuole solo distruggere e distruggere, che si esprime per formule, che mente sognando solo di buttare gli ebrei in mare".
Là per là non seppi rispondere quasi niente. Sorrisi stupidamente, cercai di spiegare la cultura cattolica e di sinistra, Andreotti, le scelte italiane filoarabe... Poi, dopo essermene andata, cominciai a chiedermi: "Già, perché?". Persino io non avevo mai riflettuto a fondo sulla personalità di quel terrorista e di come aveva influenzato il movimento palestinese. E cominciai a interrogarmi su quel perché. E me lo chiedo oggi,e penso che il perché non riguarda solo noi quando ricordo che la clausola fondamentale del processo di pace voluto da Rabin fu appunto fare rientrare Arafat da Tunisi. Ne nacque la Seconda Intifada.
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