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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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I Fratelli Musulmani: breve storia, politica interna ed estera 02/07/2012

I Fratelli Musulmani: breve storia, politica interna ed estera
di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, edizione italiana a cura di Yehudit Weisz)


Mordechai Kedar, Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi

Breve storia dei Fratelli Musulmani

Nel 1928, un gruppo di fanatici islamici fondò il movimento dei Fratelli Musulmani come risposta ai cambiamenti apportati dalle nuove tendenze che avevano scosso la vita culturale del secondo dopoguerra in Egitto ancora sotto l’occupazione britannica. Vi erano tre correnti socio-politiche dominanti: alcuni vedevano il carattere egiziano come un’eredità dei faraoni (simbolo di eresia per l’Islam) quale fonte di ispirazione dell’ Egitto moderno, altri vedevano la nazione araba come sfera di appartenenza (composta da tutti quelli che parlano la lingua araba, musulmani, cristiani, ebrei e altri), e infine c’erano quelli che avevano visto nel passato greco (Alessandro, Tolomeo) e romano (Cleopatra) una fonte di identità europea del popolo egiziano. Tutte queste tendenze erano anti-islamiche, mentre la Fratellanza Musulmana - guidata dal fondatore del movimento, Hassan Al-Banna – considerava l’occupatore cristiano britannico, che beve vino e mangia carne di maiale, come l’origine di tutti i problemi culturali della Terra del Nilo, facendo della lotta contro l’occupazione straniera, la sua principale priorità.

L’occupazione fisica era solo un aspetto del problema, perché in realtà la vera minaccia alla stabilità dei valori globali morali dell’Islam era la cultura degli occupanti stranieri, e in particolare le innovazioni introdotte nella società egiziana riguardo alla condizione delle donne, al loro modo di vestire e alla loro integrazione nella sfera pubblica. La Fratellanza Musulmana si è da subito impegnata a purificare la società egiziana dall’influenza della cultura occidentale, considerata corrotta, degenerata e contraria alla morale islamica. La seconda priorità consisteva nel contrastare le tendenze politiche d’ispirazione laica e di derivazione occidentale, sostenendo invece che “l’Islam è la soluzione”.

Dimostrare che in effetti “l'Islam è la soluzione” fu la terza priorità della Fratellanza, che mirava a imporre la Shari’a (la legge islamica) in tutti i settori della vita, privata, familiare, politica, economica e diplomatica. Si venne a creare così il concetto di “Islam politico”, che si pone in contrasto con le altre culture, nelle quali vige una netta separazione tra religione e stato. Lo slogan della Fratellanza è: “Dio è il nostro obiettivo, il Corano è la nostra legge, il profeta è il nostro leader, la jihad è la nostra strada e la morte in nome di Allah è la nostra aspirazione suprema”. Il simbolo dell’organizzazione esprime bene questa ideologia: il colore verde rappresenta il Paradiso; due spade al centro esprimono i due fondamenti dell’Islam - non c’è Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta -; e una sola parola, che appare nel Corano una sola volta, “wa-aidu”- “prepara”. Questa parola compare nel passaggio del Corano (shura 8, versetti 59-60) che si riferisce ai miscredenti: “E non credano di vincere, i miscredenti. Non potranno ridurCi all'impotenza. Prepara, contro di loro, tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati, per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati”.
In base a questo insegnamento, il movimento dei Fratelli Musulmani ha sviluppato differenti emanazioni che si adattano ai singoli contesti politici, per esempio in Siria, in Giordania, nei territori dell’Autorità Nazionale Palestinese (Hamas), in Tunisia (an-Nahda), in Israele (i due rami del Movimento islamico), in Europa e altrove, mentre gli Stati non islamici e non democratici (Cina e Russia), non consentono in alcun modo le attività dell’Islam politico, considerato una minaccia per la stabilità del regime e la principale fonte ideologica del terrorismo jihadista.

La Fratellanza Musulmana fu fondata in Egitto durante il regno di Re Fuad I, cui nel 1936 era succeduto il figlio Farouk, che regnò fino alla Rivoluzione degli Ufficiali (luglio del 1952). Durante la monarchia, la Fratellanza aveva agito liberamente a causa della debolezza del regime, assassinando nel dicembre 1948 il primo ministro Nukrashi, cui seguì due mesi dopo l’assassinio del fondatore del movimento e leader, Hassan al-Banna, probabilmente per mano degli agenti del regime.

Il regime degli Ufficiali aveva invece condotto una tenace battaglia contro la Fratellanza, perché vedeva in essa una minaccia per la propria legittimità e stabilità. Nel 1966 il presidente Gamal Abd al-Nasser aveva impiccato l’ideologo del movimento, Sayyid Qutb, che sosteneva la jihad contro qualsiasi regime che non applichi la Shari’a, ritenuto una forma  di idolatria. La costituzione egiziana, rimasta in vigore fino alla sospensione nel febbraio del 2011, vietava l’istituzione di partiti su base religiosa, impedendo al movimento dei Fratelli Musulmani la partecipazione alla vita politica ufficiale.

La Fratellanza era stata emarginata politicamente durante gli anni del Regime degli Ufficiali, rivolgendo le proprie attività agli emarginati, con opere di beneficenza per gli abitanti dei quartieri poveri, periferici, senza acqua corrente, senza fognature, senza elettricità, senza telefono, senza ospedali, senza scuole, senza lavoro e senza speranza. Il regime aveva permesso ai Fratelli Musulmani di operare tra i quartieri più poveri, sollevandosi anche dall’onere di dover fornire servizi alla popolazione indigente. Per questo il popolo tiene la Fratellanza in grande considerazione, perché per molti anni ha sostenuto i poveri, trattandoli con rispetto, a differenza del regime oppressore.

Negli ultimi anni di governo, Mubarak aveva permesso alla Fratellanza Musulmana di presentare candidati indipendenti alle elezioni parlamentari, mantenendo il divieto costituzionale sul riconoscimento del loro partito, il cui numero di seggi non rifletteva tuttavia l’appoggio del popolo. Alle elezioni del Parlamento nel 2005, a seguito della pressione di Condoleeza Rice e del presidente George W. Bush, Mubarak aveva concesso alla Fratellanza Musulmana 88 seggi, circa un quinto dell’intero parlamento. Dopo aver espresso il timore che un regime democratico avrebbe portato la Fratellanza al potere, alle elezioni del 2010 la Fratellanza “ha vinto” solo un seggio, senza alcuna reazione della Casa Bianca (quando Obama ancora preferiva la democrazia laica a quella islamica).

Coloro che hanno avviato i disordini di piazza scoppiati in Egitto il 25 gennaio 2011, che alcuni chiamano la “primavera araba”, erano frotte di giovani egiziani laici, alcuni dei quali colti e istruiti, che erano stanchi del regime corrotto e crudele. I Fratelli Musulmani non parteciparono in maniera significativa alle manifestazioni, preferendo aspettare in disparte e guardare chi avrebbe vinto. Dopo che i militari costrinsero  Mubarak a dimettersi l’11 febbraio, la Fratellanza uscì in Piazza al-Tahrir , sfruttando l’opportunità che aveva atteso con pazienza per molti anni. Il Corano (capitolo 2, versetto 152) afferma che “Allah è con chi ha pazienza”, e in effetti Allah è con loro: prima delle elezioni parlamentari del novembre 2011, la Fratellanza tentò di assicurarsi l’appoggio politico del popolo. I portavoce dell’Islam politico, guidati da Yosef al-Qaradawi, si mobilitarono a sostegno della Fratellanza, e il risultato fu che quasi la metà dei seggi del parlamento sono stati vinti dal “Partito Libertà e Giustizia”, che rappresenta la Fratellanza, e più di un quarto dei seggi sono stati vinti  dal “Partito della Luce”, che rappresenta i salafiti, ancora più conservatori. Fu così che la maggioranza assoluta del parlamento egiziano si è colorata di verde, il colore del Paradiso islamico, in un modo veramente democratico.

E’importante notare che uno dei portavoce più importanti della Fratellanza, lo sceicco Safwat Hijazi ha tenuto, il 1° maggio di quest’anno, un discorso trasmesso in diretta televisiva, seguito da migliaia di persone, che si è rivelato un vero e proprio comizio della Fratellanza in preparazione alle elezioni. Nel suo discorso infuocato Hijazi aveva annunciato che l’obiettivo della Confraternita era l’unità di tutti gli Stati arabi in un unico grande califfato islamico, alla guida di Morsi, la cui capitale sarà “non la Mecca, non Medina, ma al-Quds [Gerusalemme]”. Le sue parole riflettono molto bene gli obiettivi del movimento: cancellare l’eredità del colonialismo, in particolare i confini dettati da interessi colonialisti dannosi per gli arabi e l’Islam, eliminare Israele e far trionfare l’Islam sul giudaismo. Probabilmente questi obiettivi non si tradurranno in piani immediati, ma le grida di sostegno delle masse che affollavano le strade hanno chiaramente espresso l’energia collettiva a sostegno quell’idea. D’altra parte, si devono prendere molto sul serio le speranze di un popolo, dato che lo stesso Stato di Israele rappresenta la realizzazione di speranze (“Se lo vorrai, sarà una realtà”, diceva Hertzel), ed è plausibile pensare che anche i nostri nemici abbiano imparato da noi come realizzare le speranze.

Con la vittoria della settimana scorsa alla presidenza dell’Egitto, i Fratelli Musulmani hanno conquistato un altro passo in avanti nel loro cammino verso la realizzazione del loro programma islamico, e il problema di cosa succederà da qui in poi, disturba il sonno di molti in Israele e nel mondo.

Le sfide con cui la Fratellanza si confronta.

I Fratelli Musulmani non sono un’organizzazione monolitica; esistono diverse tendenze, per fattori culturali e personali. Ci sono molti membri dei Fratelli Musulmani la cui cultura è simile a quella del movimento salafita, mentre altri, i membri più moderni, cercano alleanze soprattutto con gruppi laici. La maggior parte degli adulti del movimento vede la situazione con gli occhi moderati di un adulto che ha esperienza della complessità della vita, mentre i giovani sono più radicali e vedono il mondo in bianco e nero. Pertanto, la sfida principale che deve affrontare la Fratellanza è come tradurre le speranze politico-religiose in un programma pratico, sia in politica interna, sia in politica estera, araba, islamica e globale.

La politica interna

La controversia principale che ha occupato l’organizzazione l’anno scorso, soprattutto nel periodo dopo le elezioni parlamentari, riguardava la partecipazione alle presidenziali. Nel corso del 2011, coloro che si opponevano a mettere in campo un proprio candidato avevano vinto, riuscendo a eliminare il dottor Abdul-Manam abu al-Fatouh, che aveva osato sfidare la loro decisione e si era messo in campo come candidato indipendente alla presidenza. Incoraggiati dai risultati della vittoria alle elezioni parlamentari, le voci di chi era favorevole a presentarsi alle presidenziali erano aumentate, ma il movimento aveva perso gran parte dei sostenitori a causa dei disaccordi interni. Coloro che si opponevano alla candidatura per la presidenza basavano la propria convinzione sul timore - piuttosto fondato - che il presidente non sarebbe stato in grado di risolvere i complessi problemi dell’Egitto, e che il suo fallimento sarebbe stato interpretato come un fallimento dell’Islam. Anche i laici e i liberali temevano di essere emarginati, il che avrebbe potuto aumentare la divisione interna tra i settori modernisti e quelli tradizionalisti, tra i gruppi laici e quelli religiosi. Sanno anche che, una volta che il partito è al potere con un presidente da lui espresso, il movimento sarà accusato degli eventuali fallimenti e, quindi, perderà il sostegno di cui ora gode.

Un altro disaccordo tra i Fratelli è il rapporto con l’esercito, se questo continuerà a mantenere il potere e imporre la sua agenda agli organi eletti (parlamento e presidente), e al sistema giuridico. L’Egitto al momento non ha una costituzione valida: non essendoci una netta divisione tra le autorità dei vari poteri, le differenze di opinioni tra i militari e la Fratellanza potrebbero degenerare in un conflitto, che l’esercito soffocherebbe in un bagno di sangue. La Fratellanza deve chiedere ai militari di passare al parlamento il testimone dell’amministrazione statale, oppure deve accettare l’esercito quale “autorità al di sopra dello stato”, proprio per evitare uno scontro frontale da cui uscirebbero perdenti?

Tra i membri della Fratellanza ci sono altri disaccordi sul grado di influenza da esercitare sulla società attraverso le leggi: si dovrà costringere le ragazze delle scuole superiori, soprattutto se non sono religiose, a coprirsi la testa? Si dovrà permettere alle ragazze salafite di venire a scuola con il volto coperto con un niqab, pratica da cui le ragazze della Fratellanza sono esenti? Deve la Fratellanza cercare di favorire il ripristino del turismo per il benessere che porta a milioni di egiziani, o lo si deve limitare per la negativa influenza dei turisti sulla morale dei giovani?

Ma le questioni più gravi riguardano la sicurezza e la governance interna: cosa farebbe un regime governato dalla Fratellanza di fronte a un’insurrezione popolare, con manifestazioni di folla in Piazza al-Tahrir? Permetterà delle manifestazioni in favore della democrazia e dell diritto di espressione, o le disperderà affermando che il parlamento (a maggioranza islamica) è l’unico luogo deputato al chiarimento di questioni politiche? La Fratellanza Musulmana tenterà di stabilire un accordo con i gruppi liberali e con quel che resta del regime di Mubarak, come espressione dell’idea nazionalista secondo cui tutti gli Egiziani sono fratelli in patria, o si preferirà la visione islamista che vede nella laicità un nemico ideologico? Un altro aspetto importante riguarda i Copti: la Fratellanza considererà i copti cristiani come fratelli in patria o li vedrà piuttosto come coloro che hanno “deviato dalla retta via” (Corano, capitolo 1, versetto 7), che mangiano carne di maiale e bevono vino? I copti hanno già preso la loro decisione: da quando la Fratellanza ha vinto le elezioni al parlamento, un anno e mezzo fa, decine di migliaia di copti sono emigrati dall’Egitto.

Gli artisti egiziani - scrittori, poeti, drammaturghi, registi, fotografi, artisti, grafici e scultori - come pure molti intellettuali, temono fortemente per la propria libertà di espressione sotto il dominio della Fratellanza. Ci sono tra loro quelli che hanno già trovato  posti più sicuri dell’Egitto per lavorare, dove non saranno limitati dai divieti islamici.

La politica estera

L’accordo di pace con Israele è un punto di discordia tra i Fratelli. Tutti vedono Israele come un’entità illegittima e sono d’accordo che il trattato di pace con Israele gli conferisce un’inaccettabile legittimazione. D’altra parte, capiscono anche che la comunità internazionale non accetterebbe di cancellare un accordo politico firmato più di una generazione fa e che ha il sostegno internazionale.

Inoltre, l’Egitto sotto la guida della Fratellanza potrebbe entrare in grave conflitto con l’Arabia Saudita. Negli ultimi quindici anni, l’Arabia Saudita ha esportato in Egitto l’ideologia wahhabita, che rappresenta la principale minaccia ideologica per i Fratelli, soprattutto se non riusciranno a sollevare dalla disperazione in cui sono di recente sprofondati i milioni di egiziani disoccupati. Il denaro sporco che i salafiti hanno contrabbandato dall’Arabia Saudita in Egitto è servito per finanziare la campagna elettorale in cui si presentavano come l’alternativa alla Fratellanza. I canali satellitari sauditi, seguiti da molti spettatori egiziani, hanno esposto la visione wahhabita del mondo, totalmente diversa da quella della Fratellanza. D’altro canto l’Arabia Saudita è un’importante fonte di prestiti e sovvenzioni al governo egiziano, soggetto però a vincoli, e la Fratellanza dovrà di conseguenza valutare bene come relazionarsi con il regno saudita.

Un altro argomento importante riguarda le relazioni con il regime islamico dell’Iran, che potrebbe approfittare della connessione con l’Egitto, per penetrare nella società egiziana, come ha già fatto in Libano e Siria. L’Egitto consentirà alle navi da guerra iraniane di passare attraverso il Canale di Suez? Permetterà all’Iran di trasferire armi dall’Egitto alla Striscia di Gaza? L’Egitto vorrà partecipare allo sforzo congiunto delle nazioni arabe condotto dall’Arabia Saudita, per porre fine al progetto nucleare iraniano? Solo la Fratellanza conosce le risposte.

La domanda di fondo è: i Fratelli musulmani in Egitto collaboreranno con altri regimi, ad esempio con la Giordania, che vedono in questo movimento e nelle emanazioni locali della Fratellanza Musulmana, un nemico del regime?

Quale deve essere la posizione dell’Egitto per quanto riguarda gli Stati dell’Africa Orientale, soprattutto quelli che hanno una maggioranza musulmana o una grande comunità musulmana, che sono quelli che oggi stanno sviluppando attività agricole all’interno del loro territorio, diminuendo l’acqua che scorre nel Nilo? Quale dovrebbe essere il rapporto da stabilire con Hamas a Gaza, che, da un lato, dimostra di essere un’organizzazione politica combattente islamica in grado di stabilire e condurre uno stato, ma - d’altro canto - ha anche diviso l’Autorità palestinese e ha eliminato la speranza per uno Stato palestinese?

Infine, un’altra questione importante riguarda gli Stati Uniti, da cui l’Egitto riceve sostegno alimentare e finanziario, e dei cui interessi deve quindi tener conto, benché siano visti come portatori del male occidentale. L’accordo di pace con Israele e la questione iraniana sono intrecciati anche agli interessi americani.

Queste domande, che sono legate alla politica interna ed estera, possono causare divisioni all’interno dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, perché li costringerà a prendere decisioni difficili su questioni che non hanno mai dovuto affrontare in precedenza senza una reale preparazione in scienze politiche. Le decisioni che andranno verso una deriva “religiosa” saranno oggetto di critiche da parte dei gruppi laici e militari, mentre le decisioni che andranno troppo nella direzione “laica” necessariamente susciteranno la critica penetrante dei salafiti. La Fratellanza potrebbe quindi trovarsi tra il martello dei laici e l’incudine dei salafiti.

Le decisioni della Fratellanza dal punto di vista dell’economia e della macro-economia potrebbero essere sbagliate, e il risultato potrebbe essere fatale per lo sfaldamento dell’economia egiziana.

Punti forti e deboli

La forza della Fratellanza consiste principalmente nel fatto di riconoscere nella persona del Dr. Mahmoud Badi’ una guida islamica, “la Guida Generale”, che ha già annunciato che si sottometterà alle decisioni del “Presidente di tutti”, Muhammad Morsi. Tuttavia, Badi’ sa bene che ci sono molti Fratelli che non gli credono, come è accaduto tante volte in passato. La sociologia della religione spiega che una società religiosa può soffrire di divisioni ideologiche e personali, e che la religione, che dovrebbe servire da collante tra la gente, in realtà funziona a volte più come un acceleratore di fiamma, accendendo le divergenze fino a farle deflagrare. Uno dei motivi di questo fenomeno è la tendenza delle persone che sono guidate da principi religiosi a diventare troppo meticolose, a volte fino al punto di preoccuparsi eccessivamente dell’applicazione dei loro principi fin nei minimi dettagli, e quando le meticolosità delle persone divergono, sorgono conflitti a volte irreparabili. Anche tra i Fratelli Musulmani, che devono prendere decisioni che coinvolgono dei compromessi su punti ideologici, necessariamente nasceranno conflitti su questioni di fondo.

Personalmente, auguro al movimento egiziano dei Fratelli Musulmani di avere successo nel portare il carro egiziano fuori dal fango dei problemi in cui è sprofondato, nonostante i suoi quattro cavalli (gli islamisti, i liberali, i militari e ciò che resta del regime di Mubarak) stiano tirando in direzioni diverse. Il destino ha riposto l’Egitto, con le sue decine di milioni di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà, nelle mani di persone che hanno dimostrato, in decenni di attività sociali benefiche, come le loro intenzioni nei confronti dei cittadini siano buone.
Il mondo aspetta di vedere se davvero “l’Islam è la soluzione” e che tipo di futuro la Fratellanza costruirà per i suoi fratelli, figli dell’Egitto: cercheranno un nemico esterno come Israele, in modo da distrarre l’attenzione dei disoccupati e dei derelitti e dare a Israele tutte le colpe dei loro problemi, o faranno fronte ai problemi dell’Egitto, e utilizzando l’accordo di pace con Israele come una leva per lo sviluppo della nazione?

Chi è Muhammad Morsi?

Muhammad Morsi è nato nel 1951 nel villaggio di al-Adwa, situato nel quartiere di al-Sharqiyya, primo di sei figli di una povera famiglia contadina. Ha servito come soldato negli anni 1975-76. È sposato con Naglah Mahmoud, con cui ha avuto una figlia e quattro figli, ed è nonno di tre nipoti. Si è distinto fin da piccolo negli studi, conseguendo un Master in ingegneria presso l’Università del Cairo e un dottorato in California negli Stati Uniti, dove ha anche insegnato. Ciò dimostra peraltro che gli studi in Occidente non trasformano un musulmano in un sostenitore della cultura occidentale.
Morsi ha aderito al movimento dei Fratelli Musulmani nel 1979. Come molti altri leaders, fu per questo processato e imprigionato sotto il regime di Mubarak. Tra gli anni 2000 e 2005 fu a capo di un gruppo di membri indipendenti in Parlamento, tutti appartenenti alla Fratellanza, cui era formalmente vietato di organizzarsi in partito politico. Nel 2006 fu messo in carcere e in seguito agli arresti domiciliari. Nel gennaio del 2011, subito dopo lo scoppio delle manifestazioni, fu mandato di nuovo in prigione, e quando le prigioni furono assaltate, e migliaia di prigionieri e detenuti fuggirono, rifiutò di lasciare l’isolamento chiedendo al regime di Mubarak i motivi della sua detenzione. Nell’anno 2011 era a capo del Partito Libertà e Giustizia, che vinse alle elezioni parlamentari. Prima delle elezioni per la presidenza si era dimesso dalla sua posizione in Parlamento, e dopo aver vinto il 51,7% dei voti (rispetto al 48,3% per Shafiq) ha lasciato i Fratelli Musulmani per diventare presidente dell’Egitto, il “Presidente di tutti”, come lo ha definito Badi’.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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