Sergio Romano continua a menare sentenze, questa volta demografiche, rimestando nel torbido della sua abituale disinformazione.
1) Confonde sin dall'inizio Palestina con Israele, i dati demografici sono ambigui e discutibili pr quanto riguarda la prima, non per Israele, dove esiste un Ufficio Centrale di Statistica, che però Romano si guarda bene dal citare se non inserendolo in un calderone di altre indagini per nulla attendibili.
2) Non esiste una Gerusalemme 'dentro le mura' e una 'fuori le mura', esiste Gerusalemme capitale dello Stato di Israele, una città dalla quale gli arabi, sia cristiani che musulmani, si guardano bene dal lasciare, nemmeno per diventare cittadini di un fututo Stato palestinese. Ma Romano si guarda bene dallo scriverlo.
3) La realtà per quanto riguarda lo Stato di Israele e i suoi cittadini cristiani è un giardino dell'Eden, se paragonata all'inferno di quanti sopravvivono nei territori sotto autorità palestinese. E' da lì che cercano disperatamente di andarsene, altro che 'occupazione', come scrive Romano. Da Betlemme fuggono da quando è diventata una enclave sotto il dominio dell'Anp. Betlemme, di famiglie cristiane, ne perderebbe anche di più ogni anno, se solo avessero i mezzi per andarsene.
4) Quel finale 'Da molti Paesi si fugge. A Gerusalemme si resiste' ci pare in linea con l'insalata mista dell'intera risposta. Ci rendiamo conto delle difficoltà che Romano incontra quando si arrampica sugli specchi, mentire è sempre possibile, non sempre però riesce.
Ecco lettera e risposta, a pag.47, sul CORRIERE della SERA di oggi,28/06/2012, con il titolo "I cristiani palestinesi, dati storici e attualità":
Terra Santa romana
Caro Romano,
nella risposta pubblicata sabato ha scritto che il numero dei cristiani a Gerusalemme (come in altre città arabe da lei indicate) sta rapidamente diminuendo. Questo varrebbe, in realtà, solo se si guardassero le cifre percentuali, ma non certo se si guardano i numeri assoluti, che, al contrario, a Gerusalemme indicano un numero di cristiani in crescita (unico luogo tra le terre del Medio Oriente). Lo riconobbe lo stesso padre Pizzaballa in occasione di un incontro di circa un anno e mezzo fa.
Emanuel Segre Amar
Sergio Romano
Caro Segre Amar,
G li studi demografici sulla Palestina sono complicati dalla mancanza di dati unitari e omogenei. Esistono lo Stato d'Israele e i territori occupati. Esistono la città vecchia di Gerusalemme e la grande Gerusalemme israeliana al di fuori delle mura. Esistono gli arabi cristiani, il clero, le suore, i volontari e i dipendenti delle organizzazioni cristiane, gli immigrati provenienti da Paesi cristiani (i romeni ad esempio) e i parenti cristiani degli ebrei di origine russo-sovietica (circa 900 mila) giunti in Israele dopo il crollo dell'Urss. Abbiamo alcune statistiche storiche, come l'indagine anglo-americana del 1945-46, i dati dell'Ufficio centrale di statistica dello Stato israeliano, quelli dell'Ufficio centrale di statistica palestinese e le stime delle grandi istituzioni ecclesiali. I dati che maggiormente ci interessano in questo caso sono quelli che concernono gli arabi cristiani, vale a dire quella parte della popolazione indigena che ha conservato la sua fede o si è convertita al cristianesimo soprattutto negli ultimi due secoli. Per lei e per i lettori proverò a mettere un po' d'ordine in questa congerie di cifre.
Secondo l'indagine anglo-americana, i cristiani, nel 1945, erano 145.060 e rappresentavano il 9% dell'intera popolazione della Palestina amministrata dalla Gran Bretagna con un mandato della Società delle Nazioni. Nel 1949, dopo la costituzione dello Stato d'Israele e la prima guerra arabo-israeliana, i cristiani residenti nello Stato ebraico erano 34 mila e rappresentavano il 2,9% della sua popolazione. Sessant'anni dopo erano 151.700, fra cui gli arabi erano 120.700: una cifra, quest'ultima, che comprendeva gli 11.500 cristiani di Gerusalemme est. Se calcoliamo i 50 mila arabi cristiani che vivono nei territori amministrati dall'Autorità nazionale palestinese, i cristiani indigeni della grande area corrispondente alla Palestina del mandato britannico sarebbero ora circa 160 mila, con una aumento di 15 mila unità rispetto alla popolazione arabo-cristiana del 1945. Attenzione, tuttavia: se fossero cresciuti ogni anno del 2% (il tasso di accrescimento medio della popolazione palestinese) sarebbero oggi più di mezzo milione. Una considerevole percentuale della popolazione cristiana se n'è andata: le intifade, i blocchi stradali, le barriere, gli insediamenti ebraici, le restrizioni imposte al movimento delle persone hanno progressivamente impoverito la presenza del cristianesimo arabo nella regione. Il fenomeno è particolarmente evidente a Betlemme, ormai un sobborgo di Gerusalemme. Qui, nel 1946, i cristiani erano 6.940 e rappresentavano il 71% della popolazione; oggi sono 7 mila e rappresentano il 18%. La crescita demografica è stata quasi interamente assorbita dall'emigrazione. Si calcola che Betlemme perda ogni anno circa 20/30 famiglie.
La situazione à forse lievemente migliore a Gerusalemme est dove gli arabi cristiani sono circa 11.500. Ma di questo passo sono destinati a essere i reperti di un museo, gli abitanti di una riserva religiosa chiamata a recitare la parte del popolo cristiano in una sorta di studio televisivo che diventa particolarmente affollato durante le grandi liturgie cristiane dell'anno. Il titolo della mia precedente risposta era: «Cristiani nel mondo arabo tra la resistenza e la fuga». Da molti Paesi si fugge. A Gerusalemme si resiste.
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