Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/06/2012, a pag. 19, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "Putin cerca la sponda israeliana".

Vladimir Putin con Bibi Netanyahu
Vignetta d'un giornale di Tel Aviv: Putin che scende dall'aereo, vede due dei suoi che scaricano un missile e sbotta, «idioti, siamo atterrati in Israele, non in Siria!». Il breve giro mediorientale del presidente russo, che oggi prosegue nei Territori palestinesi e in Giordania, è cominciato dalla casella più difficile. Non perché le sue relazioni con la classe dirigente israeliana siano cattive, anzi: dai tempi dell'Urss, non c'è stato un leader più filoisraeliano di Vladimir Vladimirovic. Che fu il primo uomo del Cremlino a rompere il tabù, nel 2005, con lo storico abbraccio all'ex nemico sionista. E che alla compagnia di molti leader arabi, notoriamente, preferisce quella del ministro russofono degli Esteri, Lieberman. E che sfiorando la gaffe, una volta, mostrò pubblico apprezzamento per le performance dell'ex presidente israeliano Katsav, oggi in carcere per violenza sessuale. E che in Israele, con oltre un sesto della popolazione immigrata dalla Russia, con un partito di governo espressione di questa potente minoranza, è atterrato a inaugurare un monumento ai caduti dell'Armata Rossa.
No, stavolta la ragione di questa visita è di stretta «geopolitica»: riequilibrare la posizione di Mosca, spinta a un pericoloso isolamento regionale dal suo appoggio a Siria e Iran, la prima foraggiata d'armi e di favorevoli veti in sede Onu, il secondo con tecnologie nucleari e risoluti no alle sanzioni internazionali. Gl'israeliani si sono ben guardati dall'irritare l'ospite, ben sapendo che serve altro a fargli cambiare idea. Ma ne hanno capito il bisogno di mostrarsi più spregiudicato e, in cambio di qualche contratto energetico, si sono prestati a far da sponda. S'è parlato così dei massacri di Assad e della Bomba di Ahmadinejad, certo.
Si sono «condivise le preoccupazioni», chiaro. S'è sollecitato un «processo democratico indipendente» in Egitto, ovvio. Ma più che altro s'è dato un segnale tutt'intorno: «I russi sono il perno d'ogni cambiamento sia a Teheran che a Damasco — spiega un diplomatico israeliano — temono sia l'islamismo, che può contagiare le repubbliche caucasiche, sia le rivolte "stile Kosovo o Ucraina", dietro cui può nascondersi la mano americana. Hanno paura della Turchia e sospettano d'Israele. È il momento migliore per vedere che carte vogliono giocare».
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