Il linguaggio, istruzioni per l'uso Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, siate sinceri. Vi capita qualche volta di dire “stella di Davide”? “Muro del pianto” o peggio “Muro occidentale” o addirittura Kotel? Avete parlato di “Autorità Israeliane” o di “Gerusalemme Est”? Vi siete sbilanciati fino al punto di dire “Linea verde” o di “terrorismo? Vi è sfuggito dalle labbra un termine come “Israele” o “Aree autonome Palestinesi”? Be' ragazzi, ve lo dico con amicizia, perfino con un cderto grado di comprensione: così non va. Sappiate che così non va! State sbagliando, vi siete inoltrati su un terreno sdrucciolevole e pericoloso. Fate penitenza come prima cosa, pardon, asutocritica, e poi imparate come si dice: Niente stella di Davide: chi era Davide? Forse un re palestinese e un profeta musulmano, forse una favola inventata dalla malignità sionista, non si sa. Comunque niente stella di Davide, stella a sei punte. E niente Kotel, termine ebraico (!) che vuol dire muraglia, niente muro del pianto, se non volete piangere voi, quello è il muro di Al-Burak.
Vi chiedete chi è questo Burak? Semplice, un cavallo. Anzi “« il primo dei quadrupedi che Dio resusciterà nell'Ultimo Giorno: gli angeli gli poseranno sulla groppa una sella di rubini scintillante. Gli sarà messo in bocca un morso di smeraldo purissimo, e lo condurranno alla tomba del Profeta. Dio resusciterà allora Maometto, che monterà su Buraq e s'innalzerà così nei cieli. » Capito? Se volete maggiore chiarezza, sappiate che “Negli anni 1920, una parte del muro occidentale che gli ebrei ritenevano essere l'unica porzione restante del Secondo Tempio di Gerusalemme, cominciò ad essere chiamato il "Mur di Buraq". L'origine di questo nome deriva da una leggenda secondo la quale Maometto attaccò il Buraq a questo muro.” Entrambe le citazioni derivano da http://it.wikipedia.org/wiki/Buraq, ma questa cosa degli anni '20 per favore non ditela in giro, poerché farebbe il paio con la faccenda della Stella di Davide. Ha a che fare con la storia, e notoriamente la storia è sionista e nemica dell'Islam, paralizza la volontà ecc., come ha spiegato Nietzche nella seconda delle sue Considerazioni inattuali. E non a caso, Nietsche non era nazista, ma i nazisti erano certamente nietzcheani; ma su questo ritorneremo.
E, per carità, niente “Gerusalemme Est”, è la “Gerusalemme araba”, niente “autorità israeliane”, ma “autorità di occupazione”, niente “linea verde” ma “confini del '67”, niente “aree autonome” ma “aree liberate”, niente “Israele”, ma “occupazione colonialista”. E niente “terrorismo”, figuriamoci, ma solo “Resistenza”. E se per caso vi pungesse vaghezza di nominare il “ministero della difesa” israeliano, sappiate che quello è il “ministero della guerra” naturalmente dell'entità sionista o dell'occupazione colonialista, qui potete scegliere. Capito? Fate attenzione per favore. Sento un'obiezione: qualcuno mi chiede come mi permetto, che pretesa ho di regolare il linguaggio da usare, con che autorità parlo io. Giusto, io non ho nessuna autorità di prescrivervi nulla. Infatti non sono io che dico queste cose, è l'Autorità Palestinese. Anzi, l' “autorità Nazionale Palestinese”, come essa stessa autorevolmente spiega, non dimentichiamoci che è Nazionale, perché i palestinesi (anzi, il Popolo Palestinese, come bisogna dire) è un popolo, cioè una nazione, avendo più o meno la stessa età del cavallo Burak e la stessa fondatezza storica: o ci credete o peggio per voi, quando sarà il momento buono qualcuno vi staccherà la testa dal collo.
Dunque, è l'Autorità Nazionale Palestinese, più esattamente il Ministero palestinese dell'Informazione che vi spiega come parlare. L'ha appena fatto in un delizioso libretto, un capolavoro di linguistica e politica o di politica linguistica, intitolato “Terminology in Media, Culture and Politics “. Come chiamare le cose col loro nome, dunque, e soprattutto come evitare i “termini avvelenati”, tipo “Linea verde” o “Israele”. Si chiama “Linea verde” da sessant'anni, è definita così dai documenti armistiziali, dite voi, non ha nessuna connotazione speciale. Giusto, il problema è proprio questo, i “termini avvelenati” sono quelli che descrivono le cose come sono e non come dovrebbero essere. Dunque, alla larga! Trovate qui una descrizione e anche alcune prezione tabelline (http://palwatch.org/main.aspx?fi=157&doc_id=6855). Se vi interessa approfondire il punto di vista di bvista colonialista occupazionista su questa cosa, potete anche leggere qui: http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=274501 . In ogni caso, siete pregati di obbedire -. quanto meno per via della testa e del collo di cui sopra.
Vi ricorda qualche cosa, questa politica linguistica dell'Autorità Nazionale, nazionalissima e del suo ministero dell'Informazione, informazionissima? Ma certo, il politically correct, dite voi. Avete ragione. Senza dubbio dire muro di Buraq invece di Kotel o di Muro del pianto è politicamente corretto. E fa anche più fino. Meglio i cavalli dei pianti, no? Ma a me ricorda anche un libretto pubblicato in Italiano da Giuntina qualche anno fa. Si chiama “LTI. La lingua del Terzo Reich”, fu scritta da un filologo di nome Victor Klemperer, che per ragioni che non vi sto a raccontare passò gli anni del nazismo in una sorta di arresti domiciliari, sfuggendo così alla Shoà e raccolse testimonianza della deformazione nazista del linguaggio, del suo piegarsi a strumento della volontà di potenza (ecco, ancora Nietzsche) nazista. (http://www.ibs.it/code/9788880570721/klemperer-victor/lti-lingua-del.html) Ecco di nuovo una somiglianza fra palestinesi (cioè, volevo dire “popolo palestinese”) e loro autorità (scusate “Autorità Nazionali”) e nazismo. Non solo nella politica c'è stata un'influenza propagandistica e una continuità ideologica ben documentata (http://www.ilfoglio.it/recensioni/566), non solo c'è stata tutta la faccenda dell'amicizia fra il Muftì di Gerusalemme e Hitler (http://www.kore.it/caffe/rosselli/hitler-mufti.htm) , ma c'è anche questo comune atteggiamento nei confronti del linguaggio e di tutto quello che esso rappresenta per la libertà dell'uomo e della verità. Ma questo non ditelo, per favore. Nel libro non c'è scritto, ma del nazismo i bravi filopalestinesi non devono proprio parlare, se non per rimpiangere che purtroppo, ecco, non abbia finito il suo lavoro, ma per fortuna ci penseranno loro. O almeno ci stanno provando. Peccato che l'”occupazione coloniale” resista e non porga l'altra guancia, o le altre gole al coltello... ma questa è un'altra storia.