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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.06.2012 Egitto: la mano dura dei militari e quella molle dei laici
di Cecilia Zecchinelli, Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 giugno 2012
Pagina: 17
Autore: Cecilia Zecchinelli-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «I militari egiziani minacciano la piazza-'Da laico denuncio il golpe della giunta contro la rivoluzione'»

Ancora confusa la situazione in Egitto. Riprendiamo due pezzi dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/06/2012, a pag.17. La cronaca di Cecilia Zecchinelli e l'intervista di Lorenzo Cremonesi allo scrittore cairota  Alaa al-Aswani, preceduta da un nostro commento.
Ecco gli articoli:

Cecilia Zecchinelli: "I militari egiziani minacciano la piazza"

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
IL CAIRO — Le decine di migliaia di persone che hanno rioccupato Tahrir, le pressioni esplicite degli Usa e dell'Europa che per la prima volta hanno messo in guardia la Giunta, il compromesso che pare raggiunto tra i Fratelli musulmani e i generali starebbero finalmente per mettere fine al caos seguito alle presidenziali di domenica. Il nuovo raìs, ha reso noto la tv di Stato, sarà proclamato oggi. E sarà, sostengono molte fonti, Mohammed Morsi. Il candidato della Fratellanza aveva già annunciato la vittoria dopo la chiusura dei seggi, i giudici indipendenti avevano poi confermato il risultato. Ma lo sfidante Ahmed Shafiq, ultimo premier di Mubarak, ha continuato a contestarlo. Soprattutto, i militari al potere da un anno e mezzo non lo hanno riconosciuto, ritardando l'annuncio. Insieme allo scioglimento del Parlamento a maggioranza islamica e al decreto che concentra enormi poteri sulla Giunta, l'evidente resistenza di quest'ultima ad ammettere un raìs islamico ha creato un clima tesissimo, accresciuto dalle voci più allarmistiche: tra le tante, quella della «morte» di Mubarak, mai avvenuta e nemmeno sfiorata. La protesta a Tahrir, ancora in corso, è ben diversa da quella di un anno e mezzo fa. Questa volta è guidata dagli islamici, Fratelli e salafiti. Alcuni giovani della Rivoluzione e liberali l'hanno appoggiata ma in piazza ieri erano essenzialmente uomini barbuti a urlare «abbasso la Giunta», «oh nostra patria», qualche «Allahu Akbar» e «Morsi presidente». Non ci sono state violenze, ma il segnale era chiaro: i vertici della Fratellanza si sono impegnati a mantenere pacifiche le proteste ma la piazza, hanno avvertito, può sfuggire anche a loro.
I veri giochi però sono dietro alle quinte, non a Tahrir. Con la minaccia di una rivolta islamica (e non solo) e le pressioni degli Usa, la Giunta ha dovuto trattare con la Fratellanza. Con la minaccia di far vincere Shafiq, la Fratellanza è stata costretta, o così pare, ad accettare molti limiti per avere il suo presidente. Quest'ultima ha poi dovuto trattare con la parte della Rivoluzione che ha appoggiato Morsi pur di battere Shafiq. Ieri Morsi ha così tenuto una conferenza stampa dove per la prima volta non si è detto vincitore, ha riconosciuto il «patriottismo» dei militari pur criticandone «recenti errori». Ha detto che «se sarà eletto» formerà un governo di unità nazionale. Al suo fianco c'erano il capo dei giovani Ahmed Maher, il noto editorialista Hamdi Qandil e l'attivista Wael Ghoneim, tre leader laici della Rivoluzione. E con lui da vicepresidenti dovrebbero trovare posto due aspiranti raìs, sconfitti ma con molti voti: il nasseriano Hamdin Sabahi e l'ex Fratello Abul Futuh. Anche il Nobel Mohammed El Baradei potrebbe avere un ruolo, forse di «mediatore».
Ancora una volta nulla è certo fino all'ultimo nel più importante Paese arabo. E la Giunta ha ribadito ieri che agirà «con estrema fermezza» contro ogni tentativo di destabilizzare l'Egitto. Ma pare si sia rassegnata, se non convinta, ad accettare Morsi come il male minore. Un annuncio diverso, oggi, avrebbe conseguenze ben più gravi.

Lorenzo Cremonesi: "'Da laico denuncio il golpe della giunta contro la rivoluzione'

Ecco, nelle parole dello scrittore Alaa al-Aswani, il perchè non esiste in Egitto una componente laica in grado di rappresentare una alternativa al potere militare o a quello islamista. A chi si affida lo scrittore ? Ai Fratelli Musulmani, un errore madornale, commesso, per la verità, anche da gran parte delle democrazie occidentali, Usa in testa.

Alaa al-Aswani

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
IL CAIRO — «Il nostro nemico numero uno sono i vertici militari. Vanno battuti a ogni costo se vogliamo salvare la rivoluzione. E per questo è giusto allearsi con i Fratelli musulmani, che indubbiamente hanno vinto le elezioni, ma ora rischiano di venire derubati del loro successo». Alaa al-Aswani ripete di continuo il suo mantra. È un messaggio semplice, tutto politico, mirato a mobilitare le piazze. Abbiamo incontrato il celebre autore di Palazzo Yacoubian l'altra sera a un'affollata assemblea di intellettuali e militanti, quasi tutti laici convinti come lui, che dibattevano il «che fare?» di fronte al pericolo del golpe militare e la deriva della guerra civile. Poi, per quasi due ore di intervista nella notte, ha spiegato gli obbiettivi e le ragioni della «missione morale» (sono parole sue) di «scrittore e intellettuale organico in senso gramsciano» impegnato nella «costruzione del nuovo Egitto».
Come fa a essere tanto certo della vittoria del candidato dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi?
«Un gruppo di giudici onesti di cui mi fido e che fanno parte delle commissioni elettorali mi hanno ribadito con assoluta certezza che Morsi ha ottenuto 900.000 voti in più di Ahmed Shafiq, il candidato del regime. C'è poi la questione dei brogli. I militari hanno falsificato i risultati e aggiunto arbitrariamente a loro favore sino a 4 milioni di schede di uomini dell'esercito e della polizia».
Lei è sempre stato critico dei Fratelli musulmani e addirittura aveva fatto appello all'astensione in vista delle presidenziali. Perché oggi li difende?
«I militari tentano il golpe, falsificano i risultati. Se vogliamo difendere la rivoluzione, che significa debellare sei decadi di dittatura, dobbiamo stare con i Fratelli musulmani: la forza di opposizione meglio organizzata e più popolare. Abbiamo scalzato Mubarak dalla presidenza, ma non è ancora sufficiente. La nostra rivoluzione mira a cambiare l'intero sistema di potere che è rimasto praticamente intatto grazie alla giunta dei colonnelli, 19 ufficiali che non vogliono andarsene. Quando i Fratelli musulmani saranno finalmente al governo noi laici e democratici torneremo in piazza a difendere i nostri valori».
Nell'Iran della rivoluzione del 1979 liberali e comunisti si allearono con i religiosi contro lo Scià e i militari, più o meno come vorrebbe lei in Egitto. Poi, arrivati al potere, i khomeinisti li perseguitarono, imprigionarono e uccisero uno per uno. Tanti scapparono in esilio. Non teme un'evoluzione simile?
«Gli sciiti iraniani sono molto diversi dai sunniti in Egitto. I loro religiosi sono molto più fanatici, più obbedienti ai dettami degli imam nelle moschee. E io comunque ho aperto un dialogo diretto con molti di loro, c'è rispetto reciproco. Negli anni Novanta avevano tra loro nuclei di terroristi, che però sono stati battuti e adesso comprendono forti correnti moderate. In tanti mi hanno contattato dopo che li ho difesi contro i militari e hanno chiesto scusa per gli attacchi che mi avevano lanciato in passato. E comunque io non sto con loro, non ho cambiato idea rispetto alla necessità di costruire un Egitto laico, dove imperi la separazione netta tra Stato e religione».
Cosa risponde a chi sostiene che la Primavera araba è in crisi qui in Egitto, come anche in Libia, Siria e nel resto del Medio Oriente?
«Che sono generalizzazioni troppo semplicistiche. Ogni Paese ha storie e dinamiche particolari, uniche. La società egiziana ha una tradizione statuale antica oltre 6.000 anni. Nulla a che vedere per esempio con Libia o Yemen dominate dalla composizione tribale e frammentata delle loro popolazioni. E penso anche che presto il nuovo Egitto figlio della rivoluzione possa tornare a essere un Paese di riferimento per tutto il mondo arabo, come fu ai tempi di Muhammad Alì e più di recente nell'era nasseriana».
La comunità internazionale deve intervenire in Siria?
«Assolutamente no. Ritengo che le forze democratiche in Siria possano venire incoraggiate dal sostegno morale che arriva dall'estero. A noi è stato molto utile nei 18 giorni delle sommosse. Ma la cosa deve terminare lì».
Sta scrivendo un nuovo romanzo sulla rivoluzione?
«Ci lavoro da tre anni. L'ho intitolato "Automobil Club" e tocca il tema della storia della motorizzazione in Egitto. C'è anche un lungo capitolo sulla Fiat nel nostro Paese, re Farouk era un grande amico dell'Italia e fece di tutto per facilitare l'arrivo delle vostre auto».
Ma cosa c'entra con la rivoluzione?
«Stando nelle piazze in lotta l'anno scorso ho capito la valenza della volontà al cambiamento. Mi ha aiutato a descrivere la forza e il coraggio di saper stravolgere totalmente le proprie esistenze, i punti di riferimento, i valori dell'infanzia. Ed è uno dei temi centrali del libro».

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