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Il Foglio Rassegna Stampa
21.06.2012 Israele rafforza i propri confini con barriere difensive
analisi di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 21 giugno 2012
Pagina: 3
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «La linea Maginot di Israele. Un recinto lungo mille chilometri»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/06/2012, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "La linea Maginot di Israele. Un recinto lungo mille chilometri".


Giulio Meotti

Roma. La mappa del pianeta è punteggiata di “muri” e barriere, cinquanta per l’esattezza: gli Stati Uniti ne hanno innalzato uno al confine con il Messico; l’India ha recintato i confini con il Kashmir e il Bangladesh; fra la Corea del nord e del sud c’è la barriera più fortificata del pianeta; gli sceicchi arabi hanno sigillato il confine con il più povero Oman; Cipro è divisa dai muri, come Belfast. Eppure soltanto Israele, a breve, vedrà fortificati tutti i propri confini. Alcuni lo paragonano, con una certa enfasi, al Vallo di Adriano, l’imponente confine dell’Impero romano in Britannia, la monumentale difesa contro le incursioni delle tribù celtiche e un punto d’appoggio per le forze militari. Altri evocano la linea Maginot, il gigantesco complesso di fortificazioni realizzato dal governo francese a protezione dei confini fra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Entro la fine dell’anno tutti i confini israeliani, oltre mille chilometri, saranno protetti da muri, fence, barriere, protezioni fisiche. L’ultimo, da annuncio del primo ministro Benjamin Netanyahu, è una barriera al confine con la Giordania. L’idea di sigillarre i confini dello stato ebraico è una vecchia idea di Netanyahu, che risale addirittura al 1994, quando l’allora primo ministro Yitzhak Rabin la definì un “joke”, uno scherzo.
Nell’annunciare il nuovo tracciato di barriera protettiva nel sud, Netanyahu ha detto: “Oggi è possibile passare a piedi dall’Africa fino a Tel Aviv, cosa che non potrebbe avvenire invece per chi fosse diretto a Parigi o Madrid”. La dottrina Netanyahu, riassumibile nella formula “buoni recinti fanno buoni vicini”, è che di fronte alla sollevazione islamista che sta travolgendo il mondo arabo, al fallimento del processo negoziale con i palestinesi e al tramontare del vecchio sogno laburista di un “nuovo medio oriente”, Israele debba investire preventivamente nella propria difesa. Netanyahu paventa che prima o poi Hamas riuscirà ad abbattere anche il regime hashemita in Giordania. Da qui la necessità di una barriera israeliana sul confine giordano, oltre il quale c’è, lontano, l’Iran. Anche se dovesse nascere uno stato palestinese demilitarizzato, Israele intende tenere la valle del Giordano, bastione difensivo verso il mondo islamico.
Anche il ministro della Difesa, Ehud Barak, teorizza l’impiego massiccio dei recinti, grazie ai quali Israele potrà restare quello che è: “Una villa nella giungla”. Lo stato ebraico sta costruendo una enorme barriera di 240 chilometri al confine con l’Egitto, destinata a proteggere il sud del paese da terroristi, immigrati illegali, beduini, trafficanti di armi. Il confine sud, che va da Gaza sul Mediterraneo fino a Eilat sul mar Rosso, è l’incubo strategico per Israele. Senza la barriera in costruzione, i soldati israeliani dovrebbero vigilare su una frontiera di sabbia impossibile da controllare, un deserto dove solo i beduini riescono a sopravvivere e a muoversi fra piccole oasi. La caduta del regime di Hosni Mubarak e la conseguente perdita di controllo egiziano sul Sinai hanno accelerato i lavori di costruzione. Ogni giorno decine di ruspe e caterpillar lavorano febbrilmente in cinquanta cantieri lungo il confine. Mille i lavoratori impiegati quotidianamente. La struttura verrà completata entro il 2012. Enormi palloni aerostatici armati di telecamere e sensori sono stati sparsi lungo il confine. Anche l’unico territorio rimasto aperto nei confini di Israele, che corre nel deserto di Arava e arriva a Eilat, sarà presto chiuso. Un progetto speciale riguarda proprio la città israeliana sul mar Rosso, meta preferita da turisti e vacanzieri ma anche teatro di attentati e attacchi terroristici negli anni passati. Si parla di una cortina d’acciaio e di cemento lunga tredici chilometri e che isolerà la città.
I lavori si avvalgono di tecnologia statunitense all’avanguardia. Per fermare gli ingressi dall’estremo sud del paese, affacciato sull’Africa, Israele pensa a un’opera non diversa dagli ostacoli frapposti ai clandestini a ridosso di faglie come quella fra Stati Uniti e Messico o fra Spagna e Marocco. Gerusalemme ha iniziato a costruire barriere nel 1967, subito dopo la vittoria della Guerra dei sei giorni, quando nella valle di Beit Shean eresse un confine artificiale per prevenire infiltrazioni dalla valle del Giordano. Nel 1994 fu l’allora primo ministro Yitzhak Rabin a volere la barriera al confine con la Striscia di Gaza, che Israele negli anni ha più volte fortificato. La struttura di quaranta chilometri ha reso “sterile”, sicuro, il territorio che lambisce la regione nelle mani di Hamas. Ci sono soltanto quattro punti di accesso: Erez, Karni, Kisufim e Sufa. Parte della barriera è stata distrutta dai palestinesi nella Seconda intifada e ricostruita dall’esercito israeliano.
Su ordine di Netanyahu l’esercito ha appena inaugurato il nuovo muro a ridosso di Metulla, la città israeliana abbracciata al confine libanese dove negli anni Settanta i sicari di Yasser Arafat entravano per ammazzare studenti e turisti ebrei. E’ da qui che nel 2000 l’allora premier Barak si è ritirato entro i confini misurati dall’Onu. Metulla è a un tiro dai razzi di Hezbollah, ma pare di essere in un sobborgo di San Diego. La città è troppo vicina alle rampe di lancio dei missili perché venga colpita, ma durante la guerra del 2006 a Metulla un terzo della popolazione fuggì via. verso le città a sud. Si temevano assalti ai civili. Il nuovo muro è noto anche come quello “della calma”. Siamo nei pressi della “Porta di Fatima”, luogo simbolo della resistenza di Hezbollah. La barriera è lunga due chilometri e alta dieci metri.

 Il cuscinetto nel Golan

E’ in programmazione anche una barriera di quindici chilometri nel Golan, il confine strappato al regime di Damasco, mentre l’esercito sta rinnovando il confine con la Siria, mai rinnovato dal 1975. Procede spedita la costruzione della barriera difensiva che corre dentro ai territori conquistati da Israele nel 1967. Settecento chilometri di cui soltanto trenta costruiti con il cemento. Quello che i militanti filopalestinesi chiamano “wall”, muro, che per l’Onu è “barrier”, barriera, ma che per Israele è semplicemente “fence”, recinto, ha letteralmente interrotto il flusso di kamikaze palestinesi dentro alle città israeliane. Il progetto, approvato nel 2002 dal governo di Ariel Sharon, si articola in lunghi tratti di reticolati alternati da muri di cemento alti tre metri, con telecamere e avanzati sistemi di allarme elettronico per impedire infiltrazioni di terroristi nello stato ebraico. I tratti in muratura hanno lo scopo di impedire il fuoco di armi leggere contro alcuni centri abitati dal territorio cisgiordano. Lungo la barriera c’è una complicata rete di varchi e di postazioni difensive. “Occorre circondarli con una catena di zone-cuscinetto”, ha detto il premier Benjamin Netanyahu, che sta potenziando il fence nei territori. “Dobbiamo erigere barriere nella Valle del Giordano e nel deserto di Giudea (Cisgiordania meridionale), tenerli lontani dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e dalle arterie che conducono a Gerusalemme”. Non tutti però sono innamorati del progetto difensivo di Netanyahu. Alex Fishman, l’esperto militare del maggiore quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, ha parlato di una “malattia mentale nazionale”, la nuova ghettizzazione, ovvero la vecchia tentazione ebraica di rinchiudersi dietro ad alte mura, che può portare al “definitivo disimpegno di Israele dal medio oriente”. O per dirla con uno dei padri dello stato, Yigal Allon, “nessun paese moderno può circondarsi di mura”. Critiche sincere, ma al mondo soltanto Israele è letteralmente strangolato da gruppi terroristici e stati canaglia pronti a far saltare in aria i suoi civili. Questi recinti ci dicono più di ogni altra cosa dell’assedio esistenziale dello stato ebraico.

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