Roma. Il multiculturalismo? “E’ fallito”. La sentenza un anno fa venne pronunciata dal premier britannico, David Cameron. Adesso Downing Street muove guerra alla fallita ideologia dell’integrazione che ha portato al “Londonistan”, per usare la celebre formula coniata dalla giornalista Melanie Phillips. “Per prima cosa, invece di ignorare questa ideologia estremista, dovremo affrontarla, in tutte le sue forme”, aveva detto Cameron. Si parte dai matrimoni forzati. In Inghilterra, dal 2013, saranno reato. I genitori che costringeranno i figli a unioni contro la loro volontà finiranno in galera per due anni. Finora intervenire contro i matrimoni forzati era difficile, in parte per il rischio di venire bollati come “islamofobi”. Adesso tutto potrebbe cambiare con la legge alla House of Commons, decisa ad approvarla. “Queste unioni sono come la schiavitù”, ha detto Cameron. Ogni anno diecimila teenager con passaporto inglese sono costretti a sposarsi. Ragazze obbligate da genitori musulmani all’altare nel timore che diventino omosessuali o devino verso costumi occidentali. Le famiglie di origine vengono dal Pakistan, dall’India, dal Bangladesh, dall’Afghanistan e dalla Turchia. Alcune famiglie usano il matrimonio forzato per bypassare i vincoli dello stato secolare britannico. Parte della politica antimulticulti di Cameron viene dalla baronessa Sayeeda Warsi, conservatrice ma di religione musulmana, mastina antimulticulturale presa di mira dagli estremisti islamici, che la chiamano “infedele”. Il governo Cameron ha anche lanciato una commissione d’inchiesta sulle corti della sharia, ovvero i cento tribunali islamici organizzati in base alla legge del Corano in Gran Bretagna. Alla Camera dei Lords è stato introdotto un disegno di legge, fortemente promosso dall’ex vescovo anglicano Michael Nazir Ali, che cercherà di regolare l’anarchia delle corti. In Inghilterra l’evoluzione di questo sistema parallelo “alieno” è stata possibile grazie a un codice del British Arbitration Act e dell’Alternative Dispute Resolution, che classifica le corti islamiche che fanno riferimento alla sharia come “tribunali arbitrali musulmani”. Così, nel glorioso sistema di Common Law britannico è possibile che le parti decidano di affidare la soluzione di una controversia a un terzo, il cosiddetto “arbitro”. Ma come ha denunciato il governo inglese, questi tribunali si fondano sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base della democrazia inglese. I principali tribunali islamici sorgono a Londra, Birmingham, Bradford, Manchester e Nuneaton. Altre, nuove, importanti sedi sono a Leeds, Luton, Blackburn, Stoke e Glasgow. Il primo tribunale islamico venne istituito nel 1982 a est di Londra, con il nome di “Consiglio della sharia islamica”. Le corti formalizzano il “talaq”, il ripudio della moglie da parte del marito. Di “disastro per la nazione” ha parlato George Carey, ex arcivescovo di Canterbury. Nel mirino di Cameron figurano gli imam dell’odio, i predicatori che portano il jihad in mezzo alle folte comunità musulmane. Nei giorni scorso il primo ministro inglese ha incontrato il re giordano Abdullah per favorire l’espatrio forzoso dell’imam Abu Qatada. Per i servizi segreti occidentali è l’ambasciatore di al Qaida in Europa. Il suo nome compare nelle indagini sulla cellula di Amburgo, l’attentatore delle scarpe-bomba e Zacarias Moussaoui, il ventesimo uomo dell’attacco alle Torri Gemelle. Qatada è il predicatore che nel 1999 lanciò una fatwa per uccidere gli ebrei. Ad aprile Cameron, che vuole espellere l’imam in Giordania, ha impugnato la decisione dei tribunali che hanno impedito il trasferimento dell’imam, perché Qatada in Giordania verrebbe torturato.
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