Qualcosa si muove (si spera) a Westminster
analisi di Annalisa Robinson
I pakistani di Rochdale arrestati per molestie sessuali su minorenni
Baronessa Sayeeda Warsi, Annalisa Robinson
Qualche lettore di IC forse ricorda un articolo precedente (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=380&id=44646) a proposito di un giro di pedofilia a Rochdale, vicino a Manchester. Sinteticamente: una cinquantina di ragazzine “bianche” dai 12 ai 16 anni, generalmente cresciute in famiglie svantaggiate, erano state sistematicamente sottoposte ad abusi per lunghi periodi di tempo, ad opera di un gruppo di uomini adulti. Benchè gli enti preposti alla difesa dei loro diritti e del loro benessere (polizia, magistratura, servizi sociali) fossero stati in qualche modo informati dalle dirette interessate, nulla era stato fatto per porre fine alla violenza. Il motivo? Gli abusi erano stati perpetrati da persone di origine islamica (soprattutto pachistana), e le autorità in questione (la polizia in particolare) temevano che un'inchiesta sfociasse nella sempre ricorrente accusa di razzismo. Di conseguenza, gli abusi sono continuati, a scapito delle povere vittime. Nel maggio di quest'anno, finalmente, grazie ad alcuni articoli del Times e al lavoro di un pubblico ministero anch'egli (va sottolineato) di origine pachistana, Nazir Afzal, nove persone sono state condannate a un totale di 77 anni di carcere. Naturalmente si preannunciano appelli e la tanto temuta accusa di razzismo è stata debitamente avanzata dai rappresentanti legali dei condannati, che non hanno espresso alcun rimorso; il loro leader si è anzi distinto per una serie di interventi offensivi nei confronti di donne presenti a vario titolo in aula (un pubblico ministero, una giurata). Altre indagini sono in corso, e una quarantina di persone sono ricercate per crimini analoghi.
Il caso aveva suscitato reazioni abbastanza ovvie: da una parte, lo sdegno per gli abusi; dall'altra, un affrettarsi a precisare che crimini del genere vengono commessi da tutte le etnie presenti nel Regno Unito. Da una parte, sono state fornite statistiche che indicavano anche una distribuzione geografica dei casi di pedofilia organizzata (bianchi nella zona di Bristol, di origine caraibica e africana a Londra, di origine pachistana nel nord dell'Inghilterra e nelle Midlands, e cosi' via, con vittime appartenenti a loro volta a etnie diverse); mentre altre suggerivano l'esistenza di un problema nelle comunità asiatiche del nord (in 17 processi per sequestro di persona a scopo di violenza e violenze sessuali su centinaia di ragazzine, condotti dal 1997 ad oggi contro gruppi organizzati, ben 50 condannati su 56 sono musulmani, prevalentemente pachistani). Tanto che lo storico David Starkey ha sottolineato che dopo tutto il gruppo di Rochdale “si è limitato ad agire nel quadro delle proprie norme culturali”.
Sulla scia dei fatti di Rochdale, il Parlamento britannico ha lanciato un'inchiesta sullo sfruttamento sessuale dei minori, che appare di proporzioni preoccupanti (si parla di migliaia di minorenni). Benchè tardiva, l'iniziativa è senz'altro da apprezzare e si spera che porti a misure concrete per la riduzione del fenomeno. Tuttavia, dispiace vedere che già dalle prime battute il fattore etnico-religioso inquina e annacqua il dibattito: come ha scritto Minette Marrin nel Times (13.05.2012), “le parole etnia/razza, cultura e religione sono state cosi' fuse e confuse – deliberatamente, penso, dalla lobby multiculturalista – da diventare spesso intercambiabili”. Appare quindi probabile che l'inchiesta venga appesantita e svuotata da tutte queste remore e timori. Infatti il presidente della Commissione parlamentare per gli affari interni, Keith Vaz, deputato laburista per Leicester (città con forte presenza asiatica e islamica), ha già più volte affermato che nell'identificazione delle cause del problema non ci si dovrebbe soffermare su origini etniche, religione e collocazione geografica delle persone coinvolte, “altrimenti in termini di relazioni fra etnie si apre un vaso di Pandora, e non penso che questo sia necessariamente quel che vogliamo” (http://www.bbc.co.uk/news/uk-england-manchester-17996245). Insomma, dopo esserci abituati ad attribuire comportamenti individuali alla “società”, in conformità ai dettami della political correctness, ora dobbiamo convincerci che tali comportamenti si sviluppano invece in un vuoto pneumatico, senza alcun retroterra culturale. Il che significa che dobbiamo rinunciare a capirli in termini appunto sociali e culturali, e quindi accettare che si ripetano. Insomma, l'ingiustizia è preferibile all'apertura del vaso di Pandora: Minette Marrin centra perfettamente la questione parlando di “codardia culturale”.
Le affermazioni di Keith Vaz (a dire il vero anche alquanto minacciose) illustrano perfettamente i motivi per cui gli abusi di Rochdale hanno potuto continuare indisturbati per due-tre anni, nell'indifferenza di polizia, magistrati e servizi sociali: per non suscitare un vespaio, per non prestare il fianco ad accuse di razzismo o di islamofobia, per non causare reazioni in aree etnicamente molto miste; insomma per paura. L'argomento è particolarmente doloroso per la polizia dal 1999, da quando il rapporto MacPherson, pubblicato a seguito dell'omicidio del giovane Stephen Lawrence, aveva accusato Scotland Yard e le forze di polizia in generale di “razzismo istituzionalizzato” (le prime indagini riguardanti l'omicidio del ragazzo, nero, erano infatti naufragate a seguito di una serie di omissioni e azioni mancate da parte degli inquirenti, attribuite al fatto che gli assassini erano inglesi bianchi). Per questo va elogiato l'ispettore capo della polizia della West Mercia, Alan Edwards, che ha affermato chiaro e tondo che “Tutti hanno troppa paura di dover affrontare il fattore etnico”: oltre al “razzismo istituzionalizzato” abbiamo anche la “paura istituzionalizzata”.
La vice-commissario per l'infanzia dell'Inghilterra, Sue Berelowitz, che conduce un'inchiesta sullo sfruttamento sessuale di bambini e giovani da parte di gruppi e organizzazioni, ha dato man forte a Vaz in commissione, sostenendo che “non esiste una città, un paese o un villaggio in cui bambini e ragazzi non vengano sfruttati sessualmente” e che “dobbiamo soffermarci sulle dimensioni del fenomeno piuttosto che su un gruppo ristretto”. Anche il leader della giunta comunale di Rochdale, Colin Lambert, ha sostenuto che sarebbe sbagliato bollare gli abusi come un crimine di matrice asiatica, perchè “ci sono problemi in tutte le comunità”. Insomma, gli abusi sui minori sono parte della vita e siamo tutti colpevoli.
Come si suol dire, tutto ciò è molto bello, ma nessuno sembra ammettere la possibilità che differenti gruppi etnici commettano lo stesso reato (sebbene secondo “modelli di abuso” variabili, per dirla come Berelowitz) per ragioni diverse, e ritenga necessario identificare queste ultime. Anzi, Vaz ha citato con disapprovazione le opinioni di due politici che si sono espressi in proposito, ovvero la co-presidente del partito conservatore, Sayeeda Warsi, a sua volta di origine pachistana, e l'ex ministro degli interni laburista, Jack Straw, che dal 1979 rappresenta in parlamento la città di Blackburn, dove la comunità islamica è la più numerosa nel Regno Unito dopo quella di Londra. Secondo Straw, alcuni pachistani considerano le ragazze bianche come “carne facile”, mentre la baronessa Warsi ritiene che queste ultime vengano viste come “legittime prede” per abusi di carattere sessuale.
Ma anche il deputato di Rochdale, il laburista Simon Danczuk, si è espresso in termini analoghi su Radio 5 Live della BBC, denunciando il fatto che una minoranza di uomini asiatici ha “un'opinione delle ragazze bianche completamente inaccettabile”, al punto da essersi visto “praticamente costretto a buttarli fuori” dall'ufficio in cui riceve: “Facevano commenti sprezzanti sulle ragazze bianche quali non ho mai sentito da altre categorie di uomini. Questo [gli abusi] non è un caso isolato”. E questo punto di vista è condiviso dal direttore della Ramadhan Foundation, Mohammed Shafiq, secondo il quale molti britannici di origini pachistane “pensano che le adolescenti bianche siano spregevoli e possano essere fatte oggetto di abusi senza pensarci due volte”. Shafiq ritiene che i leader delle comunità in questione stiano “nascondendo la testa nella sabbia” riguardo al problema, e che polizia e amministrazioni locali non debbano aver paura di affrontarlo.
Insomma, nonostante tutte le remore, le cautele e le paure, il fatto che si sia istituita un'inchiesta e che queste voci (soprattutto quelle islamiche) si siano fatte coraggiosamente sentire è positivo. Resta da vedere se il tutto sfocerà in un'altra congerie di eleganti luoghi comuni accettabili da tutti i gruppi etnici, o in raccomandazioni e linee guida concrete e chiare per tutti, polizia e servizi sociali compresi.
Anche perchè il 22 giugno appariranno in tribunale a Londra altri sei imputati asiatici, in relazione ad abusi e sfruttamento di una cinquantina di ragazzine bianche a Oxford (l'operazione ha comportato l'arresto di 16 persone), mentre è in corso un altro processo per lo stesso reato contro altri sei giovani, sempre asiatici, nel Lancashire. La vittima aveva solo 13 anni all'epoca in cui sono iniziate le violenze. Anche in questo caso, come ha sottolineato il pubblico ministero, la ragazzina è stata oggetto di “umiliazione e disprezzo”. Tutto questo nel silenzio dei giornali nazionali.
Se questi crimini fossero perpetrati da cittadini britannici bianchi su minorenni pachistane di religione islamica e le autorità lasciassero correre, le reazioni (assolutamente giustificate) da parte islamica ma soprattutto da parte della maggioranza bianca in Gran Bretagna sarebbero fortissime. I giornali nazionali vi dedicherebbero pagine e pagine, chiamando in causa sociologi, politici, modelli culturali e sociali e molto altro, e lasciando il giusto spazio alle parti offese. Allora ci rendiamo conto che episodi come quello di Rochdale illustrano sì una forma di razzismo, un razzismo che sembriamo tollerare benissimo benchè faccia molte vittime e rovini molte giovani vite – un razzismo “inverso”, “alla rovescia”, quello di un'etnia contro se stessa (che Marrin definisce “una forma particolarmente vile di decadenza”). E' proprio la maggioranza britannica autoctona a rinunciare al principio di una giustizia uguale per tutti, che è poi il fondamento della giustizia stessa e della democrazia.
Quello che Vaz, Berelowitz e compagnia non sembrano capire è che rifiutare a priori di esaminare il ruolo di certi paradigmi culturali, semplicemente perchè caratterizzano anche gruppi di origine asiatica e musulmana, non fa che alimentare la paranoia di gruppi estremisti o davvero razzisti, e di aprire un altro vaso di Pandora, con conseguenze molto pìù pericolose per tutti.