Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/06/2012, a pag. 9, l'intervista di Renzo Cianfanelli a Walter Laqueur dal titolo "Laqueur: «L'Europa? È stata costruita senza le basi»", la breve dal titolo " Lo studioso poliglotta appassionato del XX secolo ".
a destra, Walter Laqueur
Ecco i pezzi:
" Lo studioso poliglotta appassionato del XX secolo "
Walter Laqueur, 91 anni, storico, di fama mondiale è nato in Germania da una famiglia ebrea. Nel 1938 è riuscito a lasciare il Paese ma senza i suoi genitori, che sono morti nella Shoah. Prima di diventare cittadino americano ha vissuto in Israele dal 1938 al 1953. Laqueur è considerato uno dei massimi studiosi della storia europea del XX secolo e si è occupato, nei suoi molti libri (oltre 25), di fascismo, sionismo, terrorismo e antisemitismo. Il suo ultimo lavoro è dedicato alla crisi che ha colpito la Ue. Il titolo è eloquente: Dopo la caduta, la fine del sogno europeo e il declino di un Continente. Laqueur parla sei o sette lingue, tra le quali l'italiano e il russo, oltre al latino e al greco. Ha insegnato in alcune delle più prestigiose università americane tra cui Harvard e Georgetown.
Renzo Cianfanelli : " Laqueur: «L'Europa? È stata costruita senza le basi» "

Walter Laqueur, Gli ultimi giorni dell'Europa, ed. Marsilio
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LONDRA — «Come si fa a costruire una casa partendo dal tetto?». Walter Laqueur, professore di storia contemporanea, molto noto anche in Italia per i suoi studi sul terrorismo, ironizza sulla anomala costruzione dell'euro. A 91 anni Laqueur, che è tedesco di nascita e studi ma americano di passaporto, autore di oltre 25 libri e di innumerevoli articoli e saggi, dopo svariati decenni trascorsi in alcune delle più prestigiose università e istituzioni statunitensi, ha dedicato il suo libro, uscito da poco, al continente al quale Laquer — che parla una mezza dozzina di lingue fra le quali l'italiano e il russo, senza contare il greco e il latino — si sente molto legato e che visita ogni anno, il che non gli impedisce di criticarlo con impietosa franchezza. Il titolo dell'edizione inglese è infatti After the Fall (dopo la caduta) al quale segue un sottotitolo poco meno che apocalittico, The End of the European Dream and the Decline of a Continent (la fine del sogno europeo e il declino di un continente).
Perché un titolo così da tragedia? «Ma no — risponde serafico Laqueur — questo per l'Europa vuole essere solo l'ultimo campanello d'allarme. La tragedia può essere ancora evitata, o comunque minimizzata, se l'Europa sarà capace di trovare la forza morale per non cedere alla rassegnazione. Altrimenti l'Europa dovrà rassegnarsi a diventare una specie di parco a tema, una specie di grandissimo museo, marginale rispetto a quello che avviene nel resto del mondo, ma interessante senz'altro da visitare. Quanto al mio primo libro di cinque anni fa, intitolato The Last Days of Europe (Gli ultimi giorni dell'Europa) forse lo feci uscire un po' troppo presto, perché anticipavo quello che poi è realmente accaduto in Europa. Anche la Bibbia settimanale, l'Economist, nella recensione, uscì con un titolo tragico. “Guardando l'abisso”. Ma io non cercavo gli abissi. Mi limitavo, dato che conosco l'Europa e parlo le lingue, a consultare le cifre e a fare dei ragionamenti che mi sembravano incontestabili. Per esempio sul calo demografico...».
Si spieghi meglio.
«Prendiamo il caso dell'Italia, che come la Spagna, in termini demografici, si trova nelle condizioni peggiori. Se il trend discendente in atto continuerà fino alla fine del secolo, la vostra popolazione scenderà dagli attuali 57 milioni a 37 milioni nel 2050 e a soli 15 milioni nel 2100. In Spagna invece la popolazione, che oggi è di circa 39 milioni, si ridurrebbe a 28 milioni nel 2050 e a 12 milioni nel 2100. Queste proiezioni non tengono però conto delle migrazioni che, si prevede, continueranno ad arrivare. Né la situazione sarà molto diversa in Germania dove — sempre escludendo dal calcolo gli immigrati — la popolazione autoctona scenderà dagli attuali 82 milioni a 61 nel 2050 e a 32 milioni nel 2100. Per evitare un crollo di popolazione così drammatico, sarà quindi necessario che l'Europa si adatti a livelli migratori assai più alti di quelli esistenti».
Come mai, invece, in due nazioni di antica immigrazione come Francia e Gran Bretagna, la caduta demografica, secondo le proiezioni ufficiali, sembra minore?
«Dipende dai criteri di raccolta dei dati che sono differenti e tengono evidentemente conto dell'arrivo degli immigrati. Nel caso della Francia, l'aspettativa è che la popolazione scenda in misura contenuta, dai 60 milioni odierni a 55 nel 2050 e a 43 milioni a fine secolo. Ma il declino dei francesi etnici sarà più elevato. Considerazioni analoghe valgono per il Regno Unito, dove la popolazione raggiungerà nel 2055 i 77 milioni per salire a 85 milioni nel 2083. In sostanza, la stabilizzazione demografica dipenderà dall'immigrazione da India, Pakistan, Bangladesh e Caribe».
Nel suo nuovo libro lei però, a parte le proiezioni demografiche di lungo periodo, politicamente esplosive ma che sono sempre ipotetiche e incerte, denuncia l'allargamento del progetto di Unione Europea come fine a se stesso. E aggiunge anche che l'Unione Europea, dopo essersi convinta di essere divenuta una grande potenza, adesso con la crisi si è risvegliata e ha scoperto di non contare più nulla, o poco meno di nulla. In che senso?
«Ma nel senso che è proprio così. L'Unione Europea si è inventata delle strutture superflue come la presidenza e l'ufficio dell'Alto rappresentante per la politica estera, occupate da personaggi non all'altezza. Non possiamo continuare a raccontarci da soli che l'Europa ha finalmente un ministro degli Esteri, quando nel mondo tutti sanno che non è vero e nessuno ci crede. Questa secondo me è la grande illusione. L'Europa come blocco proiettato verso l'unificazione ha perso credibilità e si deve ridimensionare. I Paesi membri, a questo punto, dovranno fare tutta una serie di scelte».
Quali scelte? E con quali conseguenze?
«Non è ancora chiaro quali saranno. Come storico, posso dire però che il momento migliore per realizzare un'unione politica fra Stati è sempre quello delle crisi drammatiche. Ora questo momento è passato. Nel dopoguerra, con i disastri del conflitto ancora sotto gli occhi di tutti, la comunità originaria dei Sei con Francia, Germania occidentale e Benelux, più forse anche l'Italia, avrebbe potuto trasformarsi in un super Stato reale. Oggi con l'allargamento dell'Unione a 27 Stati, ai quali altri se ne aggiungeranno ancora, tutto diventa enormemente difficile. In un certo senso, con l'allargamento dell'Ue ha vinto l'Inghilterra, che ha sempre fatto di tutto per impedire l'unificazione europea. È possibile, forse, che si arrivi a una Unione a più velocità. O che alcuni Paesi decidano di staccarsi del tutto dall'Unione, o che si creino due Europe parallele, a nord e a sud. Inoltre c'è il problema della riluttanza a integrarsi delle comunità musulmane emigrate in Europa. E sullo sfondo c'è il problema drammatico dell'invecchiamento. Per la prima volta nella storia, oggi, in Italia, Germania, Spagna e Grecia il numero delle persone di oltre 60 anni è maggiore del numero di quelle che hanno meno di vent'anni».
E l'euro?
«Si può salvarlo solo a condizione di creare una forma di governo europeo, per la quale oggi c'è molta resistenza. Senza dubbio, l'introduzione di una moneta unica senza una finanza unica europea è stata un errore. L'ho già detto. È come costruire una casa incominciando dal tetto, senza le fondamenta».
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