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Lettera aperta al Presidente Assad
Lo scrittore druso, cittadino palestinese di Israele, Salman Masalha, si rivolge al presidente Assad in persona e lo rimprovera per il fallimento degli slogans totalmente pan-arabi di fratellanza e uguaglianza che il suo partito usa per giustificare l’oppressione del suo popolo e l’omicida brutalità degli ultimi decenni. L’articolo è stato in origine pubblicato sul sito Internet Elaph circa sei mesi fa, è stato tradotto in ebraico da Arie Goos e appare ora sul sito Internet “Megafon”. Caro Signor Presidente, Signor Presidente, Lei ha dichiarato più volte, ai media occidentali naturalmente, che la Siria è diversa dalla Tunisia, diversa dalla Libia e diversa dall'Egitto. In verità, in un susseguirsi di articoli investigativi, la verità è emersa in superficie, dimostrando il vuoto della falsa ideologia Ba'ath che rivendica “una nazione araba con una missione eterna”. Anche se così fosse, con l’espandersi delle fiamme negli Stati arabi, la potenza di questo slogan è rapidamente crollata. La sua caduta fragorosa, queste sono le parole con cui lei si espresse, svelò a tutti la menzogna nazionalista che il Ba’ath va diffondendo da molte generazioni. Questi slogan scintillanti ci hanno oppresso per tanto tempo, e, purtroppo, sono ancora in grado di eccitare i sentimenti persino di coloro che hanno superato l’ideologia del nazionalismo arabo. Dietro gli slogan, la falsa ideologia del Ba’ath, in Iraq come in Siria - dove governa ancora ufficialmente – si nasconde l’oscurità delle prigioni in cui vengono gettati tutti quei cittadini arabi cha anelano alla libertà intellettuale e politica. In effetti, questo partito non è mai stato altro che un’ideologia razzista araba, unita ad una tribale. Questa era la situazione nella terra di Aram Naharaim, l’Iraq di Saddam Hussein, e questa è la situazione attuale in Siria. Quando lei divenne presidente, c’era chi sperava ingenuamente che, per il fatto stesso che avesse studiato in Occidente e ne avesse conosciuto la cultura, che sapesse usare Internet, Facebook e altri mezzi di comunicazione moderni, forse avrebbe conservato il profumo della libertà e un’apertura al mondo occidentale Quale ingenuità! Infatti, erano tutti ingenui perché non sapevano che lei non è mai stato un uomo libero. Tutti gli anni che lei ha trascorso in Occidente sono stati inutili, sono scomparsi con la velocità con cui gli slogan scintillanti sono spariti al primo vento di libertà. C'è un altro figlio, catturato recentemente, che si vantava, al contrario del padre, di aver ricevuto un’educazione occidentale. Tuttavia, nel momento in cui l’intifada esplose in Libia, abbiamo visto come Saif al-Islam Gheddafi, sia ritornato alla sua vera natura, cancellando tutto quello che aveva acquisito in Occidente. In una sola notte, gli attori dell’ intifada sono diventati topi di fogna. E lo stesso vale anche per lei, Signor Presidente. Sì, lei non è mai stato un uomo libero, nemmeno per un giorno. Perchè lei è uguale a suo padre. Se fosse stato veramente libero, si sarebbe rifiutato di permettergli di trasmettere, con una farsa costituzionale, al proprio figlio il ruolo di presidente. Se lei fosse stato veramente libero avrebbe insistito per continuare il suo lavoro di oculista. Avrebbe continuato ad aiutare le persone a vedere la luce con le sue cure. Ma lei non ha fatto questa scelta. I suoi studi nell’Occidente acculturato non sono serviti a nulla, e della sua cultura di libertà non le è rimasta alcuna traccia. Lei è ritornato alla natura tribale araba, che è al di sopra di tutto. La sua affermazione “La Siria non è la Tunisia e non è l”Egitto ...” è diventata la bandiera del ritorno alle sue radici tribali arabe, che tanto dolore recano agli arabi. Principi che spingono le società verso l’abisso, quando i cittadini cercano di liberarsene. Sì, signor Presidente. Questo fanatismo tribale primitivo è la trappola più grande per uno Stato moderno. Un fanatismo che impedisce l’emergere di un popolo, nel senso pieno del termine. Signor Presidente, mi costa dolore dirle queste parole, ma questa è la verità. In realtà. Dopo tutti i crimini commessi dal regime che lei capeggia, la vita in Siria non potrà mai più tornare com’era stata in passato. Le tempeste che hanno sconvolto il paese non verranno cancellate come se nulla fosse successo. Signor Presidente, è giunto il momento in cui rendersi conto dell’ amara verità, si prepari ad andarsene e permetta al popolo di esistere. Le gole che i suoi brutali “Shabikha” hanno tagliato, urlano da sotto terra: Yalla, Fuori di qui, o Bashar! È questo lo slogan che tutti urleranno. Così si conclude l’articolo di Salman Masalha. Da quando furono scritte queste parole, la situazione in Siria si è fatta ancora più grave, il regime è sempre più spietato, più aumentano gli assassinii, più determinati sono i ribelli. Nei massacri degli ultimi mesi, da ambo le parti, ogni giorno hanno perso la vita bambini, donne, uomini, il cui unico peccato era di appartenere al gruppo etnico sbagliato: musulmani uccidono alawiti, e questi - per vendetta – uccidono musulmani. Scene di orrore appaiono su tutti i media, tanto che persino le nazioni del mondo hanno iniziato a sentirsi a disagio di fronte a queste stragi. La pressione sulla Russia è in aumento, e i suoi leader stanno cominciando a parlare del “popolo siriano” e delle sue sofferenze, non perché sono diventati sostenitori della rivoluzione o dei diritti umani, ma piuttosto perché temono la perdita di tutte le loro attività in Siria – i porti del Mar Mediterraneo e molti investimenti - se la ribellione alla fine avesse la meglio. Sono preoccupati del fatto che il prossimo regime siriano li possa allontanare per vendicare il loro sostegno ad Assad. Ma le parole sono una cosa e altro sono i fatti: i russi hanno cominciato a trasferire elicotteri d’attacco al regime siriano, quelli che possono sparare razzi sui cittadini, oltre al fatto che sono destinati principalmente a distruggere carri armati. Si cerca ancora di sostenere il regime siriano, malgrado gli scontri abbiano ormai raggiunto la periferia di Damasco. Un battaglione di difesa aerea è passato dalla parte dei ribelli, in risposta è stato bombardato dal cielo, anche se non era chiaro quanto il battaglione di difesa aerea potesse effettivamente essere utile alle forze ribelli. Tuttavia, questo significa un allargamento delle crepe nei muri dell’esercito, perché la piaga della diserzione si sta diffondendo, e persino alti ufficiali passano dalla parte dei ribelli. L’ ”esercito libero siriano” ha ricevuto munizioni anti-carro dalla Turchia e dalla Libia attraverso il Libano, e finanziamenti da Arabia Saudita e Qatar. I leader della ribellione invitano i siriani che vivono all’estero, gli arabi e le persone di coscienza di tutto il mondo a manifestare davanti all’ambasciata russa, perché si blocchino gli aiuti al regime. Gli Stati Uniti protestano contro la Russia per la fornitura di elicotteri, ma trovano difficile contribuire, con qualcosa di più oltre a dure parole, allo sforzo del popolo siriano per aiutarlo a sbarazzarsi del macellaio che li governa. In questa situazione, dove il mondo resta immobile e guarda passivamente come un assassino di massa, figlio di un assassino di massa, fa strage del proprio popolo, Israele deve giungere a tre conclusioni necessarie: A. Se, Dio non voglia, si creasse una situazione in cui i nostri vicini diventassero più forti di noi, non c'è ragione di pensare che i nostri nemici si comporterebbero nei nostri confronti meglio di quanto stanno facendo tra loro. Se solo potessero, ci massacrerebbero, umilierebbero le nostre donne e le nostre figlie, almeno nello stesso modo in cui lo stanno facendo a uomini, donne e figlie siriane. Il comportamento tra le tribù in Libia e in Yemen, così come il modo in cui l’esercito egiziano tratta i dimostranti, ci mostra come si comporterebbero verso di noi, se solo potessero. Qualcuno può provare il contrario? B. Il mondo è rimasto immobile per un anno e mezzo, impotente, a guardare il macellaio di Damasco mentre faceva strage dei suoi cittadini. Non vi è alcun motivo di credere che il mondo si comporterebbe in modo diverso se fossimo noi in una situazione simile a quella del popolo siriano. Questa non è una novità: dopo l’invasione irachena del Kuwait nell'agosto del 1990, ci sono voluti sei mesi alle forze alleate per sparare il primo colpo contro le forze militari di Saddam, mentre durante questo periodo i soldati iracheni hanno ucciso centinaia di kuwaitiani, umiliato oltre ogni dire ledonne, saccheggiato tutte le banche e svuotato di tutti i beni le case dei kuwaitiani. Noi, proprio come i siriani, non possiamo dipendere dalla coscienza del mondo (ammettendo che esista) in ogni questione che riguarda la nostra sicurezza nazionale e personale. C. I confini di Israele devono essere definiti in base allo scenario peggiore: la possibilità di un’invasione iraniana in Giordania attraverso l’Iraq ci obbliga a rimanere per sempre nella valle del Giordano, e la possibilità che uno Stato palestinese in Giudea e Samaria possa diventare uno Stato di Hamas come Gaza, ci obbliga a rimanere per sempre nelle zone rurali tra le città della Giudea e della Samaria. Accordi di pace come quelli che abbiamo con l’Egitto e la Giordania non sono una garanzia di sicurezza, specialmente quando ci sono cambiamenti di regime come quelli che vediamo in questi giorni in Egitto. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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