" Egitto: un fine settimana denso di pericoli "
di Zvi Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Zvi Mazel
Sabato 16 e domenica 17 giugno si terrà il secondo turno delle presidenziali in Egitto. Il primo luglio, poco dopo la proclamazione dei risultati, il Consiglio Supremo delle Forze Armate dovrà cedere il potere al neo Presidente eletto. Questo programma sarà realizzato? Molti dubitano, considerando che l’attuale imbroglio politico-giuridico potrebbe far precipitare il paese in un tale disastro che l’esercito si troverebbe “costretto” a respingere il risultato delle elezioni e restare al potere per un periodo indeterminato. Ci si troverebbe infatti di fronte a due problemi: 1) si va verso l’invalidazione dei risultati del primo turno delle presidenziali? e 2) le elezioni legislative tenute alla fine del 2011 saranno invalidate e il parlamento sciolto? Si aggiunga il fatto che la giunta militare progetta di promulgare una “dichiarazione costituzionale transitoria” per definire le prerogative del Presidente e del parlamento finchè una nuova Costituzione non sarà redatta e accettata per referendum. I Fratelli Musulmani si oppongono con forza.
La Corte Costituzionale egiziana dovrà rispondere a queste due domande giovedì 14 giugno, meno di 48 ore prima del secondo turno . Lo farà o emetterà la sua decisione dopo l’elezione? I pareri sono discordi. Ahmed Shafik affronta al secondo turno il candidato dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi. Non va dimenticato che Mubarak, all’inizio della rivoluzione, nel disperato sforzo di riprendere in mano la situazione, aveva nominato Shafik Primo Ministro, che rimase in carica per un mese. Il parlamento ha poi votato una legge che vieta ai primi ministri e vice presidenti eletti sotto Mubarak di ricandidarsi a funzioni pubbliche. La legge è stata ratificata dalla giunta prima di essere trasmessa alla commissione elettorale che si apprestava a respingere la candidatura di Shafik, che è ricorso in appello. Si attende ora la risposta della Corte Costituzionale. L’argomentazione di Shafik, condivisa da eminenti giureconsulti, è che un cittadino che non è stato perseguito, giudicato, né condannato, non può essere privato dei suoi diritti. E’ chiaro che la legge è stata votata da un parlamento a maggioranza islamica, allo scopo di escludere tutti i candidati più probabili contro il “loro” candidato. Se la Corte decidesse che la legge è contraria alla costituzione e che la candidatura di Shafik è valida, ci saranno manifestazioni di protesta da parte di coloro che lo considerano come un esponente del vecchio regime imposto con la forza malgrado la rivoluzione e quanti sono morti durante le rivolte. Se la legge sarà dichiarata conforme, i risultati delle elezioni del primo turno saranno invalidati così come il secondo turno. Possiamo immaginare il caos che ne seguirà, la giunta rimarrà al potere per un periodo indeterminato.
Il secondo problema su cui la Corte deve pronunciarsi riguarda le elezioni legislative. E’ già presentato un ricorso contro il risultato, con la motivazione che la legge elettorale era discriminatoria nei confronti dei candidati indipendenti. Tale legge prevedeva che due terzi dei candidati si sarebbero presentati nelle liste dei partiti, mentre un terzo dei seggi sarebbe stato riservato agli indipendenti. Ma questa legge non impediva ai partiti di presentare un certo numero di loro candidati sotto l’etichetta di “indipendenti”, i quali, se eletti, avrebbero in seguito potuto rientrare nel partito di appartenenza. Questi pseudo-indipendenti beneficiano dell’aiuto sostanziale della macchina del partito mentre i “veri” indipendenti possono contare sulle proprie risorse e sull’aiuto dei sostenitori. Se la legge elettorale venisse invalidata, gli eletti sotto l’etichetta di indipendenti lo sarebbero anche loro, e si dovrebbe procedere a nuove elezioni in cui gli islamici - Fratelli Musulmani e Salafiti - faticherebbero a rinnovare il successo precedente, e dovendosi accontentare di un numero ridotto di rappresentanti. Una decisione di invalidità porterebbe anche qui a violente manifestazioni. I media egiziani hanno pubblicato anticipazioni secondo le quali la commissione di consulta della Corte Costituzionale avrebbe proposto 1) di invalidare la legge che priva Shafik del diritto di presentarsi e 2) di sciogliere il Parlamento. Ma la Corte non è tenuta ad accettare le raccomandazioni della sua commissione.
Non c’è due senza tre. In questi giorni si decide anche la sorte dell’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto nascere già mesi fa per redigere la nuova Costituzione, ratificata poi con il referendum prima delle elezioni presidenziali. Il Parlamento aveva già scelto i cento membri che avrebbero dovuto comporla, ma dato che erano più del 75% islamici, il Tribunale Amministrativo l’aveva sciolta. Un vivace confronto aveva messo gli islamici contro le forze laiche, per cui non venne trovato alcun compromesso. La settimana scorsa è intervenuta la Giunta, che ha dichiarato che se non si fosse addivenuto ad un accordo entro 48 ore, avrebbe promulgato essa stessa una Costituzione temporanea. La minaccia ha sortito l’effetto voluto: i partiti si son trovati d’accordo su criteri condivisi che sono stati ratificati in una legge. Ma ancora una volta gli islamici hanno imbrogliato: non solo hanno scelto il 50% di islamici ma hanno anche nominato come indipendenti dei rappresentanti dell’Università Al Azhar e di altre organizzazioni islamiche. I rappresentanti laici - fatta eccezione per i membri del Wafd - hanno allora deciso di ritirarsi a vantaggio dei rappresentanti delle donne e dei copti. La composizione definitiva dovrebbe essere annunciata, se tutto va bene, tra breve. In ogni caso la giunta dovrà promulgare una dichiarazione costituzionale temporanea per definire le funzioni del Presidente e del Parlamento in modo da consentire al nuovo Presidente di esercitare le sue funzioni. I Fratelli Musulmani si oppongono fin d’ora con forza, perché sospettano, a ragione, che la Giunta darà al Presidente il potere di nominare il governo e di sciogliere il Parlamento, cosa che neutralizzerebbe la loro attuale posizione dominante.
Quel che è grave è che, in realtà, non esiste consenso su nessuno dei problemi di fondo su cui l’Egitto si confronta oggi. La situazione è esplosiva. 18 mesi dopo la rivoluzione e la caduta di Mubarak, gli egiziani si vedono costretti a scegliere tra i Fratelli Musulmani che affermano la volontà di instaurare un regime basato sulla Shari’a e il rappresentante del regime precedente, simbolo di un passato chè stato ripudiato. Il tribunale ha condannato il presidente deposto al carcere a vita, ma l' ha dichiarato innocente, come i suoi due figli, dall’accusa di corruzione. Un verdetto che ancora divide profondamente l’opinione pubblica. E poi Hosni Mubarak potrebbe ancora sorprenderci. Se dovesse morire adesso, gli verranno concessi i funerali di stato, lui che ha dichiarato di essersi battuto per la patria, avendola governata per trent’anni? Dovrebbe forse accontentarsi di un funerale semi-clandestino? Molti in Egitto e nel mondo tollerano a fatica le immagini di questo vecchio sul quale il nuovo potere si accanisce esponendolo in una pubblica gogna, una cosa che non fa onore al paese dei faraoni. Insomma, i giorni che verranno saranno decisivi, anche se non si è certi che porteranno delle risposte a tutti i problemi. Una nuova ondata di violenze potrebbe esplodere ad ogni istante.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta