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Ugo Volli
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Le ragioni della pace (o quasi) 13/06/2012

Le ragioni della pace (o quasi)


Mahmoud Abbas

Cari amici,

... e nel frattempo, mentre Assad massacra i suoi, l'anarchia regna in Libia e nello Yemen, gli egiziani dopo tutto il sudore speso per cacciare Mubarak si trovano a scegliere fra un allievo di Mubarak e la Fratellanza musulmana, mentre in Nigeria bruciano le chiese nell'indifferenza generale... nel frattempo che succede in "Palestina"? Niente, assolutamente niente. Ogni tanto si parla di colloqui di pace (ma per negare che siano possibili), piuttosto spesso qualche "estremista" cerca di ammazzare il primo ebreo che gli passa a tiro ma di solito grazie al cielo lo catturino prima che ci riesca, ogni tanto Abbas fa dire che andrà all'Onu a chiedere l'ammissione come stato, ogni tanto che cercherà solo di diventare osservatore, ogni tanto che non andrà, qualcuno sparacchia da Gaza un colpo di mitra sui soldati di guardia o un razzo sui paesi vicini... A occasioni rituali fisse (la Nakba, il "giorno della terra", quello "della rabbia") si annunciano "grandi manifestazioni", che raccolgono le solite decine di "combattenti" pagati per questo, più un po' di studenti e di impiegati pubblici cui hanno dato giornata libera...  Ma non ci sono stragi, non c'è anarchia, non c'è Al Qaeda (tutto ciò grazie alla sorveglianza israeliana). E non ci sono neanche elezioni, nuovi governi, trattative. Tutto  fermo, tutto tace.

Perché? In mezzo alle convulsioni del Medio Oriente, quella che dovrebbe essere la ferita aperta, la causa di tutti i guai, è tranquillissima, non sanguina non suppura, non fa febbre, neppure duole. Da un paio d'anni - a parte alcuni atti terroristici efferati ma anche isolati. Perché? Ve lo siete mai chiesti? Le ragioni secondo me sono tre. La prima è Israele, che bada bene a non ripetere gli errori degli americani e degli europei, non si illude che a soffiare sul fuoco, ad armare e ad appoggiare l'opposizione a regimi sia pure odiosi e illiberali come quelli dell'OLP e di Hamas si ottenga qualcosa di meglio. Israele sa che la calma e l'ordine fra i propri nemici sono comunque meglio dell'anarchia e degli spazi aperti ad Al Qaeda e si regola di conseguenza. La seconda è che anche gli arabi di Giudea e Samaria hanno capito che il disordine non conviene loro. Grazie all'interscambio con Israele e con gli insediamenti (che i loro "sostenitori" vorrebbero abolire) hanno lavoro, una qualità della vita crescente e nettamente migliore dei paesi circostanti. Il vituperato governo Netanyahu ha attenuato molte misure di sicurezza per permettere una crescita economica e sociale: insomma sul piano dei redditi, della sanità e della speranza di vita ecc. è molto meglio essere un povero palestinese occupato piuttosto che un libero egiziano, giordano, per non parlare dei siriani e degli iraniani.

La terza ragione è la più critica. Voi pensate che davvero i capi dell'Autorità Palestinese e di Hamas abbiano interesse a cambiare qualcosa? Sono dei mediocri burocrati di stile sovietico, non amati né rispettati, solo temuti dalla popolazione che amministrano. Certo, si esercitano nella retorica rivoluzionaria e guerrigliera, con risultati criminali se non grotteschi (guardate per favore le immagini di questi link, che mostra quel che succede in uno degli asili infantili gestiti da Hamas a Gaza: http://challahhuakbar.blogspot.it/2012/06/palestinian-kindergarten-promotes.html; altro che poveri bambini innocenti ammazzati dai cattivi ebrei). Inneggiano ai "martiri", minacciano sfracelli. Ma sostanzialmente stanno bene attenti a stare aggrappati al loro potere personale, da cui ricavano abbondanti vantaggi. Vi chiedo ancora di leggere un link, questa volta con la storia della famiglia Abbas: http://schanzer.pundicity.com/11808/the-brothers-abbas. Sono diventati tutti miliardari in dollari, come aveva fatto prima la moglie di Arafat e in proporzioni minori tutti i dirigenti palestinesi, da una parte e dall'altra.

Vi sembra che di fronte a questa miniera d'oro (che proviene tutta dagli aiuti internazionali, cioè anche dalla nostre tasche), i fratelli Abbas o i loro equivalenti a Gaza, abbiano voglia di mettere in crisi lo status quo? Di fare la pace, che vorrebbe dire cambiamenti, elezioni, fine dei miliardi (in euro) di aiuti? Ma neanche per sogno. C'è una controprova evidente. Ammettiamo pure che il blocco delle trattative di pace venga dalla "irragionevole durezza" del governo israeliano (non è affatto vero, ma ammettiamolo per amore del discorso). Dunque le trattative fra Anp e Israele sarebbero bloccate, diciamo, senza colpa di Abbas. Già, ma ci sono delle altre trattative, in cui Israele non c'entra, quelle per superare il colpo di stato con cui nel 2008 Hamas prese il potere a Gaza. Tutti le vogliono, ogni tanto si annunciano progressi importanti, patti, decisioni, cambi di governi, elezioni... sono quattro anni che va avanti questa manfrina, ma non è mai successo niente. Ed è chiaro il perché: qualcuno, uno dei due, il gruppo di Hamas e quello di Abbas, dovrebbe perdere il potere che esercita  sul suo territorio: sarà l'equivalente della provincia di Savona o di quella di Rieti, poca cosa, ma è assoluto e molto, molto ben finanziato. Per il piacere di chi lo amministra. Ecco perché in "Palestina" non succede niente. Perché nessuno ha interesse che succeda niente. Israele ha un po' di pace, gli arabi un certo progresso economico e niente stragi, le burocrazie raccolgono denaro e si arricchiscono. E i "pacifisti", i più irrilevanti di tutti, possono fare le loro manifestazioni ed appelli contro il nemico che amano tanto odiare, Israele, così possono essere assieme antisemiti e negarlo virtuosamente. Non sarà la pace, ma è meglio della guerra, vi assicuro.

Ugo Volli


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