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La Stampa Rassegna Stampa
10.06.2012 Tunisia: Sharia e fanatismo, la fede delle nuove generazioni
Inchiesta di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 10 giugno 2012
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Tra i giovani tunisini in partenza per il Jihad in Siria»

Sulla STAMPA di oggi, 10/06/2012, a pag.1/18-19, con il titolo "Tra i giovani tunisini in partenza per il Jihad in Siria", l'inchiesta di Domenico Quirico, ben più allarmante di quanto il titolo lasci pensare.
E' questa la nuova Tunisia, importante  che a raccontarla sia un quotidiano ligio al politicamente corretto come la STAMPA. Il pezzo di Quirico arriverà sul tavolo del Presidente Napolitano, su quello del Premier Monti, del Ministro degli Esteri Terzi ?
Difficile trovare oggi eufemismi adatti a nascondere la deriva fanatica dei paesi arabo-musulmani, che hanno trasformato la voglia di cambiamento espressa nella breve stagione delle 'primavere arabe, in un gelido inverno firmato Sharia.


Domenico Quirico                          Guerra Santa islamica

Ecco l'articolo:

L’ uomo è tagliente. Dietro l’apparente cortesia delle sue frasi, nel timbro della voce, dietro la sue risatine false si sente lo stesso disprezzo che ho visto negli occhi dei giovani che entrano nelle moschee radicali, sulla via della seta come nel deserto: disprezzo per l’occidentale, per il bianco, il kufar, il miscredente.
E insieme l’orgoglio per il rifiuto di tutto ciò che io, noi siamo. Che per loro è già una vittoria. Il quartiere Balancine è un labirinto che non finisce mai. Mi rendo conto, nel buio, che potrei non uscirne mai, se solo la mia guida lo decidesse: anche se il centro di Tunisi gli alberghi i ristoranti i ministeri sono a due passi. Nella strada orribili cani dalle orecchie da pipistrello frugano, con la prudenza di chi aspetta la sassata, nei mucchi di rifiuti.

Ecco la casa, siamo giunti. Barbagli di bianco, logoro e frusto, lo sporco pudicamente coperto dal buio. Di fronte un caffè. Ragazzi bivaccano avvolti nella pigrizia come grossi insetti in una ragnatela. Alcuni sono ubriachi, schiamazzo, un dirugginio di risa squarciate e di strida . La nostra guida li guarda, come se fossero semi caduti in una terra secca, che prima o poi bisognerà gettar via: c’è molto lavoro ancora da fare per arrivare alla santità. Non c’è luce, la scala si arrampica scivolosa, con gradini ripidi, un tanfo di zoo, un misto di segatura, urina, ammoniaca. Per quanto lavassero, quell’odore sempre ristagnerebbe, se lo portano addosso i muri i gradini come l’odore del fumo di sigaretta. Zaffate di caldo ti assalgono, malgrado la sera; il calore sembra impregnato, custodito nei muri e nelle stanze. La guida si arrampica svelto, sicuro nonostante il buio, al terzo piano; dagli appartamenti arrivano vampate di voci improvvise come un’invasione di insetti. Un motore si accende con un battito irregolare, sembra un animale rimasto senza fiato.

Anche nella stanza c’è solo la luce fioca di una lampadina che pende dal soffitto, una luce da cripta. Una tenda nasconde, male, una toilette arrugginita e sporca. È quasi tutta occupata, la camera, da un divano grande e basso che serve evidentemente anche da letto. Yusef, il ragazzo che siamo venuti a incontrare, seduto con le gambe incrociate, sembra in ascolto di qualcosa, uno scoppio, uno scricchiolio, un bisbiglio. Pare più giovane dei suoi 22 anni, ma qui l’adolescenza tramonta di colpo, come il sole. Vent’anni bastano a plasmarti la faccia, la dolcezza svanisce subito con l’esperienza. E la colpa.

Yusef sta per partire: per il Jihad, in Siria. Ha dentro la febbre, come alla soglia di una nuova vita, come prima di dichiararsi a una donna, o commettere il primo delitto. È salafita, come l’uomo che mi ha portato da lui. Sono venuto in Tunisia per cercare di capire questo lato estremo dell’Islam.

Nella piccola Tunisia: che ha inventato tutto, sperimentato tutto, la primavera rivoluzionaria e l’Islam al potere, dove i laici, gli increduli, sanno ancora scambiare con gli islamisti colpo su colpo. Dove sta già salendo, verso l’ebollizione, l’alambicco di un nuovo passaggio.

Bisogna, per questo, lasciarsi dietro gli orizzonti dell’islamismo «pragmatico», desacralizzato dal dio Potere, la socialdemocrazia islamista dei Fratelli Musulmani, di Ennahda, che spesso, dopo le rivoluzioni arabe, ci siamo inventati per non avere paura. Bisogna camminare su tracce che non comprendiamo più, che abbiamo dimenticato, quelle dell’Assoluto, il vasto territorio del Pentimento e del Desiderio struggente.

Yusef che andrà in Siria per combattere un altro regime empio, quello di Assad, non è solo. Altri ragazzi tunisini sono già partiti. Il reclutamento in alcune moschee radicali della città, poi un biglietto aereo per la Turchia e l’armata dei ribelli «dove ci sono altri fratelli, tanti, egiziani libici algerini». Ancora le brigate internazionali islamiche, come in Afghanistan, come in Iraq, come in Bosnia. Yusef sembra adagiarsi sulla sua fragilità come su un cuscino, parla senza guardare, come se i ricordi li evocasse per se stesso, per tenerli ancor caldi col suo fiato un’ora, un minuto, prima che cominci il gelo: la miseria senza scampo né remissione, la scuola, la piccola delinquenza per tirare avanti, la rivoluzione. Era uno di quei «teppisti» dei quartieri poveri che l’hanno tenuta dritta, la rivoluzione, nelle strade, sotto i colpi dei manganelli, nel fumo assassino dei lacrimogeni. Noi non li abbiamo citati, preferivamo i ragazzi di Internet, i figli della borghesia arricchita dai traffici del presidente Ben Ali, che la rivoluzione l’hanno gustata a parole, per noia e per snobismo.

Mai, nell’ora in cui siamo stati con lui, abbiamo avvertito una punta di amore che sempre si prova per ciò che si è perduto o si sta per perdere, una casa, una donna, un dolore perfino. Non sembra che l’Islam radicale renda la vita un circolo vizioso, un enorme movimento di antitesi e di negazioni. Ci vuole coraggio per questo morire nei cuori, cancellarsi nella memoria. La polvere non è ancora il nulla e deve essere dispersa. Ma non hai paura di precipitare in una guerra crudele, che in fondo non è tua, spietata, senza addestramento? Di punto in bianco, senza preavviso, il ragazzo si anima come se, pronunciando inavvertitamente una parola magica, avessimo aperto la porta della grotta. «Tu non sai niente: paura, coraggio... la mia forza non è nelle armi, è dentro. Io sono uno strumento. Noi musulmani eravamo diventati come un’erba che non può vivere senza arrampicarsi su qualcos’altro, dipendevamo dalle cose che ci date voi, che ci insegnate voi. Ora è la nuova rinascita. Aver paura dell’esercito di un tiranno? Non vedi che Dio sta già provvedendo? Dio ha confuso la mente degli americani, sì, gli americani ci aiutano, armano, finanziano, sono diventati lo strumento della santa causa».

Chissà se sa che due tunisini, ragazzi come lui, sono stati catturati con armi e esplosivi qualche giorno fa dai siriani e esibiti in televisione? Forse sì. Ma poco importa. L’uncino della sicurezza è sceso in fondo a lui, si è agganciato e ora non si stacca più. Non lascia che abbia paura. La virtù non è insipida, e la più grande avventura umana, ovunque, sarà sempre la ricerca della santità.

I salafiti si sono riuniti il 20 maggio a Kairouan, neri stendardi, esibizioni di lotta e cavalcate selvagge, una dimostrazione di forza. Non sono molti, venti, trentamila, ma incombono. Voci, rumori leggende ne moltiplicano la forza: che, ad esempio, vicino a Gafsa, dove la rivoluzione è sbocciata, si addestrino alla guerra, intoccabili per soldati e gendarmi. Fantasie, quasi certamente. Sono veri, invece, i salafiti in tuta mimetica che pattugliano il parco dell’amore. È un luogo di Tunisi che tutti i ragazzi conoscono, dietro l’orribile albergo che uno dei figli di Gheddafi stava ristrutturando nel lusso e che resterà maceria di cemento. Qui i giovani della capitale, al riparo degli alberi, si scambiavano i timidi segni di un erotismo pudico anche ai tempi laici e sguaiati di Ben Ali. Ora la polizia della virtù salafita fa incursioni fragorose, ronde di voyeurs «benedetti» disturbano gli amanti impuri.

A Jendouba, a Sidi Bouzid, hanno fatto peggio, assaltato e bruciato i bar dove si vendeva alcol. Ennahda, al potere ma già indebolita dalla delusione, finge di non vedere. Un po’ perché non ha la forza di affrontarli a viso aperto, un po’ perché gioca a servirsene: vedete, dice ai laici, ai liberali, all’Occidente, o noi o loro.

Piccoli calcoli, tattica di politicanti. Parlando di Dio con questi pragmatici che tanto ci piacciono, ti pervade l’atroce languore dell’abitudine che ben conosciamo. Come in Occidente subito ti sfiora il pensiero che il loro è un Dio troppo accessibile, troppo facile da accostare. Non illudiamoci, il futuro è dei salafiti, gente che pensa che un solo gesto di audacia basti a modificare l’idea stessa del possibile, che vive una guerra per scelta e non per necessità e quindi una guerra che può sempre ricominciare, è sempre alle porte.

Anche Ihmed Zouhari è giovane, ha occhi chiari, di acciaio, tanto fermi e risoluti che ti pare di sentirti passare due mani sulle spalle. È uno dei capi del Partito della rinascita, che ha sede nel malfamato quartiere della Porta verde. Hezb el Tahrir, dicono, ha struttura di setta, evita la luce, pratica una selezione ossessiva e l’entrismo nei gangli del potere e della forza, odia i Fratelli Musulmani e chi mescola l’Islam con la democrazia

«Abbiamo sperimentato tutto, liberalismo dittature nazionalismo socialismo. Cosa abbiamo ottenuto? Solo povertà e corruzione. Resta l’Islam, totale integro puro. Ecco dove i partiti come i Fratelli Musulmani sbagliano: a mescolare l’Islam con altro, un po’ di democrazia, un po’ di nazionalismo, magari un po’ di comunismo. Dipendono da alleati che strappano concessioni sulla costituzione, la vita sociale, le leggi civili. Su tutto. Invece occorre un cambiamento radicale, creare un sistema unico, uno Stato retto dalla dottrina islamica, dal Corano, e poi riunire tutti i Paesi arabi e musulmani sotto un’unica bandiera.

«Era così prima del complotto franco-inglese. Non è un sogno, è realtà: di più, è un dovere, come la preghiera ogni giorno. Avremo un califfo assistito da un consiglio, ci saranno delegati che si occuperanno dei vari settori dello Stato, che controlleranno che il califfo rispetti il mandato divino. Governare con l’Islam ed estenderlo al mondo. E poi giudici che il califfo non potrà revocare».

Gli opponiamo una diga che sembra solida, il dubbio cioè che una dottrina nata secoli fa possa affrontare la modernità. «Voi non capite, la vostra democrazia va bene per voi, un mondo dove la gente non può mettersi d’accordo su un modo di governare, dove l’ideologia serve solo a prendere il potere e varia a seconda dell’utile. Qui ci possono essere partiti ma solo nell’Islam. Dite che è Medioevo? Vi chiedo: forse che l’uomo nel frattempo è cambiato?».

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