In attesa del prossimo ballottaggio, sul FOGLIO di oggi, 09/06/2012, a pag.4, con il titolo "E' l'ansia per il posto fisso a convincere gli egiziani a votare l'ex regime", Rolla Scolari commenta la sfida elettorale tra militari e Fratelli Musulmani.
Ecco il pezzo:
Mohammed Morsi Ahmed Shafik
Il Cairo. Chi vincerà al ballottaggio d’Egitto, il 16 e il 17 giugno, tra i soldi della burocrazia militar-civile e i soldi delle moschee (sempre che non decidano tutto i brogli, naturalmente)? La sfida tra l’ex premier di Mubarak, Ahmed Shafik, e il candidato dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsy, ripropone una dicotomia antica: la potente macchina organizzativa dei Fratelli musulmani, robusta e capillare su tutto il territorio nazionale, contro la pervasiva struttura amministrativa e di sicurezza del regime e del Partito nazional-democratico per trent’anni al potere. Dopo 18 mesi di caos politico ed economico, Shafik è percepito dai suoi sostenitori come l’unico candidato capace di riportare stabilità al paese. La ragione della sua ascesa a sorpresa non è da attribuire soltanto a un generico timore verso un futuro incerto. “Ashab yurid isqat an-nizam”, il popolo vuole la caduta del regime, gridava piazza Tahrir durante i giorni della rivoluzione Ma quando è caduto Mubarak, non è caduto il regime. Gli apparati di sicurezza, la burocrazia, le aziende pubbliche che da sempre sono l’ossatura del regime restano le stesse. Hania Sholkamy, del Centro per la ricerca sociale dell’American University del Cairo, su Ahram on line parla di “uno stato profondo”, dai “lunghi tentacoli”. Il successo di Shafik al primo turno è passato attraverso l’appoggio e lo sfruttamento di un’impalcatura preesistente, di reti clientelari. Per Joshua Stacher, professore di Scienze politiche alla Kent State University dell’Ohio ed esperto del regime Mubarak, prevale l’istinto di conservazione: “Tutti, dall’impiegato che emette passaporti in su, vogliono rimanere al loro posto e temono che una vittoria dei Fratelli musulmani o di altri possa togliere loro la poltrona”. Certe pratiche ben note durante gli anni di Mubarak non sono scomparse con i 18 giorni di rivolta. Pochi giorni fa, la Federazione per il turismo egiziano, associazione statale, ha pubblicato un comunicato con cui consigliava ai suoi membri di votare per il candidato Shafik. “L’ex regime conosce molto bene gli egiziani, le loro paure, i loro timori. E ha giocato anche su quello”, spiega Elijah Zarwan, analista dell’European Council on Foreign Relations. Nelle aule dei tribunali – come in quello che ha emesso la sentenza di ergastolo contro il rais Mubarak e il suo ministro dell’Interno Habib al Adly, ma ha assolto i sei capi della sicurezza funzionari dello stesso ministero all’epoca dei fatti – siedono giudici nominati dall’ex regime. E i mass media statali, dice Zarwan, hanno preparato per mesi il terreno al messaggio di Shafik, fomentando preoccupazioni sull’instabilità e l’ascesa islamista. Nelle campagne, per anni la partita si è giocata tra la presenza della Fratellanza e la radicata influenza delle grandi famiglie di possidenti terrieri o di uomini d’affari,una rete di clientelismo legata a Mubarak. Dopo un’iniziale cautela, questa struttura, che si sta ora riorganizzando, ha sostenuto Shafik “in termini monetari e di prestigio”, spiega Stacher, secondo cui molti uomini di affari vicini all’impero economico dei militari hanno appoggiato il candidato dell’ex regime. La Tarek Nour Communications, agenzia pubblicitaria che ha gestito il restyling dell’immagine del partito di regime negli anni‘’90 ai tempi dell’ascesa di Gamal Mubarak, ha tappezzato il paese di cartelloni elettorali in favore di Shafik. C’è una crepa però nella dicotomia moschea- burocrazia, una variabile introdotta da piazza Tahrir: al primo turno né gli islamisti né il regime sono stati in grado di mobilitare l’elettorato delle grandi città del paese, dove gli egiziani non hanno votato né per Morsy né per Shafik. Questo importante blocco rimane oggi privo di rappresentanza politica.
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