Egitto: il piano dei militari per mantenere il potere Analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 05 giugno 2012 Pagina: 5 Autore: Carlo Panella Titolo: «Quel patto segreto che fa forti i militari d’Egitto»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/06/2012, a pag. I, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Quel patto segreto che fa forti i militari d’Egitto".
Carlo Panella Mohamed Morsi, Ahmed Shafiq
Roma. La seconda sentenza di condanna di un tribunale penale a un rais arabo (la prima fu contro Saddam Hussein) ha due pregi: il primo è di avere risparmiato al “nuovo Egitto” l’onta di quella condanna a morte che tanta parte degli egiziani auspicava. Il secondo pregio è che questa sentenza disvela la trama del “complotto” che portò non alla destituzione ma alle dimissioni “volontarie” di Hosni Mubarak. Anche in questo caso il diavolo si annida nei particolari: innanzitutto la “stupefacente” assoluzione dei due figli di Mubarak, Gamal e Alaa, che con tutta probabilità non avevano responsabilità dirette nella repressione, ma che erano con tutta evidenza più che colpevoli da decenni di corruzione. Ma questa accusa è decaduta per prescrizione perché molto, molto opportunamente il procuratore aveva contestato ai due (e a Mubarak stesso) fatti corruttivi risalenti a dieci e più anni fa – come se nell’ultimo decennio le imprese corruttive della “famiglia” non fossero state sempre più scoperte ed evidenti. Perché questa assoluzione ridicola, questo trucco giuridico? Perché Mubarak è stato costretto alle dimissioni non da una rivolta popolare, ma da un golpe di palazzo, ordito dai suoi più fedeli collaboratori e complici (il suo braccio destro decennale Omar Suleiman e il fedelissimo feldmaresciallo Hussein al Tantawi). Questo golpe non poteva essere cruento – perché in tal caso una parte consistente dell’esercito e degli apparati di sicurezza avrebbe preso le armi contro i reparti dei golpisti – e doveva basarsi quindi su un “protocollo d’intesa”. La sentenza di sabato scorso applica appunto quel protocollo, in cui con tutta evidenza Mubarak ha chiesto e ottenuto che i figli non venissero perseguiti. Non solo, anche i carnefici materiali dei giorni di piazza Tahrir, il generale Hassan Abdel Rahman (capo dei servizi di sicurezza) e i cinque suoi più stretti collaboratori sono stati assolti. Soltanto l’allora ministro dell’Interno Habib el Adly è stato condannato all’ergastolo. Dunque la colpa per le 850 vittime è solo di due persone: Mubarak e Adly, tutti gli altri sono innocenti. Innocenti le Forze armate e quelle di Sicurezza, innocenti tutti i membri dell’esecutivo dei giorni di piazza Tahrir: l’allora premier Ahmed Shafik, oggi in pole position al ballottaggio per le presidenziali previsto il 16-17 giugno, Hussein al Tantawi allora ministro della Difesa e addirittura quell’Omar Suleiman che allora aveva ricevuto da Mubarak la carica di presidente della Repubblica. Non poteva che andare così, visto che proprio Shafik, Tantawi e Suleiman avevano stilato quel protocollo per le dimissioni del rais che ora la sentenza del tribunale del Cairo onora. Che quel protocollo vi sia stato e che sia stato onorato lo dimostra un altro aspetto sconcertante di questo processo: mai Hosni Mubarak in persona ha fatto chiamate di correità nei confronti di Shafik, Tantawi e Suleiman, limitandosi a incaricare i suoi legali di effettuare blande richieste di incriminazione per altri gerarchi del suo regime. Non un attacco frontale, non una prova della loro piena corresponsabilità in tutto il regime, repressione inclusa. L’esistenza di una intesa tra “gentiluomini” per il passaggio incruento dei poteri è provata dal trattamento riservato all’ex rais. Alcuni mesi nella lussuosa residenza di Sharm el Sheik, poi, ma solo quando la pressione popolare si è fatta esplosiva, la residenza nella suite presidenziale dell’ospedale militare del Cairo, di ben 250 metri, dotata di tutti i comfort. Infine, ma solo all’ultimo, l’ospedale della prigione di Tora e ben si capisce perché Mubarak abbia rifiutato per tre ore di scendere dall’elicottero che ce lo conduceva: violava i patti. L’esito del processo all’ex rais conferma così quello che è sempre stato l’obiettivo dei congiurati dell’11 marzo 2011 che usarono la forza del movimento di piazza Tahrir, e soprattutto la sua assoluta debolezza quanto a leadership politica, per ottenere un risultato: continuare il regime di Mubarak senza Mubarak. Questo obiettivo è stato perseguito dalla Giunta militare che non ha fatto alcuna riforma per aggredire la continuità di esercizio dell’egemonia economica e politica da parte dei “poteri forti” del Cairo, a partire dalle Forze armate (proprietarie di aziende statali che producono il 30-40 per cento del pil) e delle grandi “famiglie egiziane” (Highazi, Azzam, Tawil, Shazli, Sultan Khamis, Sawiris, Ghali, e altre ancora), che della corruzione sono “motore immobile” assieme ai generali, mai neanche sfiorate da inchieste o espropri. La continuità sostanziale del regime che la Giunta persegue impone ai generali di pagare comunque lo scotto di una apparente democratizzazione con elezioni inficiate sempre e comunque da brogli. Il 60 per cento dei seggi ottenuti dai Fratelli musulmani e dagli islamisti in Parlamento è parso mettere in crisi questo progetto bonapartista, ma è un’impressione errata. L’essenza del regime di Mubarak è sempre stata quella di uniformare la legislazione penale alla sharia, attuando – anche manovrando la Corte costituzionale – le istanze islamizzanti dei Fratelli musulmani, nel momento stesso in cui veniva repressa la loro libertà politica. Ben poche sono le norme shariatiche che Mubarak non ha inserito nella legislazione e dunque non sarà certo l’islamizzazione normativa a snaturare la continuità del suo regime. Resta l’incognita del ballottaggio per le elezioni presidenziali, ma non sono in pochi oggi a scommettere che, complice il senso di insicurezza di un “movimento di piazza Tahrir” sempre più acefalo e avventurista, con conseguente crescita della domanda d’ordine; complice la crisi economica e soprattutto complici i brogli, il secondo turno sarà vinto non dal candidato della Fratellanza, ma dall’ex fedelissimo generale di Mubarak, Shafik. Che, nel caso di successo, governerà in tradizione del regime: rais dopo rais. Se così non sarà, se vincerà il fratello musulmano Mohamed Morsy – che già sta cercando di tirare dalla sua parte la piazza Tahrir oltraggiata dalla sentenza contro Mubarak – Omar Suleiman ha già avvertito: i generali faranno un golpe. Di nuovo.
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