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La Stampa Rassegna Stampa
03.06.2012 Usa: più Marina, meno aviazione: Il piano è buono ma non sarà Obama che potrà realizzarlo
Due analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 03 giugno 2012
Pagina: 18
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'America sposta le sue portaerei nel Pacifico-Se Obama diventa un guerriero»

Grazie a Maurizio Molinari, corrispondente a New York, LA STAMPA è oggi, 03/06/2012, il quotidiano che per primo informa i propri lettori sui prossimi rapporti forza fra Occidente e Oriente, la difesa che emigra dall'aviazione verso la marina. Difesa ma anche attacco, se consideriamo le zone ad alto rischio come il Medio Oriente ma anche l'Estremo Oriente. Il disegno strategico di Leon Panetta ha una sua logica, che Molinari spiega con estrema chiarezza nel primo articolo. I dubbi sulla sua realizzazione sorgono quando guardiamo all'inquilino della Casa Bianca, il quale sta cercando di risalire nella stima degli elettori, una rincorsa molto difficile se si analizza la sua politica estera. Obama ha scelto di allearsi con i nemici dell'Occidente, Turchia e governi arabo-musulmani che hanno la Sharia come modello di Stato, per cui non si capisce come Obama potrà combattere da un lato l'Iran,  ed essere alleato con governi non troppo dissimili dal regime degli Ayatollah.
Il piano di Panetta è buono, ma per realizzarlo ci vuole Romney, non Obama.
Ecco i due pezzi di Maurizio Molinari:

L'America sposta le sue portaerei nel Pacifico

Leon Panetta

Il Pentagono ridisegna la presenza della Us Navy sui mari e il ministro Leon Panetta sceglie Singapore per farlo sapere. «Entro il 2020 il 60 per cento della flotta degli Stati Uniti sarà dispiegata nell’area Asia-Pacifico» dice il ministro della Difesa Usa all’annuale Shangri-La Dialogue dedicato ai temi della sicurezza, aggiungendo che «se finora la Us Navy è stata in genere divisa 50-50 fra Pacifico e Atlantico, adesso l’equilibrio sarà 60-40» e ciò includerà «lo schieramento in questa regione di sei porterei, la maggioranza di incrociatori, cacciatorpedinieri, navi da guerra e sottomarini».

Questo significa che gli accordi sottoscritti negli ultimi mesi con Australia e Singapore - come quelli in via di definizione con Filippine e India sono solo l’inizio di un network di intese per garantire alla Us Navy di avere accesso a porti e rifornimenti in misura tale da proiettare in maniera stabile nel Pacifico la supremazia navale degli Stati Uniti.

Sebbene Panetta precisi che «non è una decisione per sfidare la Cina» a suggerire il contrario è il fatto che la sua missione di nove giorni in Asia tocca tutti Paesi, dall’India al Vietnam, che hanno contenziosi territoriali o rivalità strategiche con la Cina. «L’aumento della presenza americana in questa regione porterà benefici alla Cina e farà progredire sicurezza e prosperità di entrambi», assicura Panetta ma ciò non toglie che per molte nazioni dell’Estremo Oriente, dalle Filippine al Vietnam, la presenza massiccia dell’Us Navy sia una garanzia di protezione dagli sconfinamenti cinesi nelle acque contese del Mar della Cina Meridionale.

Era stato il presidente americano Barack Obama, durante il viaggio in Asia in novembre, a preannunciare la svolta del Pentagono e la seguente pubblicazione della nuova dottrina strategica l’ha rafforzata spiegando che lo scacchiere Asia-Pacifico include il Medio Oriente e dunque racchiude le aree dove sono più alti i rischi di conflitto.

Entro fine anno sarà Panetta a recarsi a Pechino per discutere i nuovi equilibri militari anche se appare evidente che l’aumento delle unità della Us Navy porterà soprattutto a rafforzare l’intesa con India, Giappone, Corea del Sud e Australia ovvero le quattro grandi democrazie della regione con cui Washington ha già legami di alleanza.

Se Obama diventa un guerriero


Se vincerà Obama, addio all'Occidente. Per risalire nei sondaggi, copia Romney, ma con Obama alla Casa Bianca la partita è perduta in partenza.

Il 14 giugno Obama salirà sulla Freedom Tower per celebrare la ricostruzione di Ground Zero e rafforzare la sua immagine di difensore della sicurezza nazionale. Si conferma così la sua nuova strategia elettorale. La Casa Bianca aveva pianificato un finale di campagna basato sull’’economia ma, a 5 mesi dal voto, i numeri del pil e dell’occupazione sono tali da obbligare ad un’inversione di rotta e la priorità ora è valorizzare l’immagine del presidente guerriero. Ifunzionari dell’amministrazione che hanno consentito lasciato trapelare l’esistenza della «Kill List», l’elenco di jihadisti da uccidere, assieme alle indiscrezioni pubblicate dal “Washington Post”sulla cyberguerra contro l’Iran ritagliano a Barack il profilo di un leader all’offensiva contro i nemici dell’America. Puntando a rafforzarne la credibilità sulla sicurezza nazionale che resta il suo maggiore vantaggio rispetto allo sfidante Romney per via del largo consenso popolare riscosso con l’eliminazione di Osama bin Laden, la guerra dei droni, il ritiro dall’Iraq e la «exit strategy» afghana. L’intento del suo team elettorale è di mantenere gli elettori moderati che nel 2008 consentirono a Obama di conquistare Stati conservatori, come Indiana e North Carolina, ora in bilico a causa della crisi. Per essere credibile con questo elettorato Obama ha sfruttato la cerimonia per la consegna dei ritratti di George W. e Laura Bush, riservando al predecessore un omaggio ai meriti per la guerra al terrorismo andato ben oltre l’ospitalità bipartisan.

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