BDS a Londra, ma Shakespeare è innocente
Commento di Annalisa Robinson
William Shakespeare The Glode Theatre
E' in corso al Globe Theatre di Londra un festival shakespeariano intitolato “Globe to Globe” (“Dal Globe al mondo”), nel corso del quale 37 opere di William Shakespeare (piu' il poema Venus and Adonis) vengono rappresentate in oltre 38 lingue diverse, tra le quali maori, turco, urdu, yoruba, gujarati, giapponese, georgiano, armeno, diversi tipi di spagnolo, zulu, xhosa, afrikaans, italiano, tedesco, perfino linguaggio dei segni.
Una bellissima iniziativa, che va dal 21 aprile al 9 giugno, per la quale si possono usare parecchi aggettivi inglesi che al momento vanno molto: “multicultural”, “diverse”, “inclusive”.... E, per citare Amleto, “Ay, there's the rub”: eh sì, qui casca l'asino.
Tel Aviv, Teatro Habima
Perchè tra le rappresentazioni ce n'è una in ebraico, Il Mercante di Venezia, messa in scena il 28 e 29 maggio dalla compagnia teatrale Habima, che dal 1958 è il teatro nazionale israeliano. E davanti a un fatto del genere certa gente a essere “multicultural”, “diverse” e “inclusive” proprio non ci riesce.
Il primo attacco al Globe è venuto da una lettera aperta al Guardian http://www.guardian.co.uk/world/2012/mar/29/dismay-globe-invitation-israeli-theatre ,
firmata da 37 nomi noti del teatro e del cinema britannici, quali i registi Jonathan Miller e Mike Leigh (piu' volte candidato all'Oscar), le attrici Emma Thompson e Miriam Margolyes, e soprattutto Mark Rylance, ex direttore artistico e fondatore del Globe. Il pretesto: avendo messo in scena spettacoli ad Ariel, Habima ha “una storia vergognosa di relazioni con insediamenti israeliani illegali nei Territori Palestinesi Occupati”.
Un estratto: “Invitando Habima, il Globe si associa alle politiche di esclusione praticate dallo Stato israeliano e sostenute dal suo teatro nazionale. Chiediamo al Globe di ritirare l'invito affinchè il festival non diventi complice di violazioni dei diritti umani e della colonizzazione illegale di territori occupati”.
Inoltre, la scelta di Habima per la rappresentazione in lingua ebraica offende “i coscienziosi attori e autori israeliani che si sono rifiutati di violare le leggi internazionali” recitando negli insediamenti, confortati peraltro dall'appoggio di varie star di Hollywood e Broadway, tra le quali Stephen Sondheim, Julianne Moore, Roseanne Barr e l'immarcescibile Vanessa Redgrave.
“Recitare negli insediamenti illegali mi sembra un atto provocatorio e una mancanza di rispetto,” dice Rylance in un'intervista. “La pace verrà solo quando ciascuno rispetterà i confini dell'altro”. (Su questo ha anche ragione, ma dimentica di farlo presente all'altra parte in causa, specialmente quando mette mano ai razzi.)
Il Globe, nella persona del suo coraggioso direttore artistico, Dominic Dromgoole, ha confermato l'invito, sottolineando che il festival è stato concepito come “una celebrazione del linguaggio e non […] di stati o nazioni”, e ha difeso la scelta di Habima come naturale, visto che si tratta della “compagnia teatrale di lingua ebraica più conosciuta e più rispettata nel mondo”.
Ha ricordato che al festival avrebbe partecipato anche la dinamica compagnia teatrale di Ramallah, Ashtar, con la rappresentazione in “arabo-palestinese” di Riccardo II (una scelta abbastanza ovvia visto che nel dramma Riccardo viene spodestato dal più energico usurpatore Bolingbroke).
Altre personalità sono scese in campo a sostegno di Habima, con un controappello firmato dal drammaturgo Arnold Wesker, dall'autore e regista Steven Berkoff, dall'autore e sceneggiatore Ronald Harwood, dagli attori Simon Callow (Quattro matrimoni e un funerale) e Maureen Lipman, entrambi molto amati e rispettati in Gran Bretagna, e dalla parlamentare conservatrice Louise Mensch, che mi piace ricordare perchè fu l'unica a chiedere pubblicamente alla BBC per quale ragione avessero menzionato solo di sfuggita la strage di bambini a Itamar [
http://www.israellycool.com/2011/03/24/thank-you-louise-bagshawe/
La lettera http://www.guardian.co.uk/world/2012/apr/10/we-welcome-israel-national-theatre ricorda come Habima, fondata all'inizio del secolo a Mosca, sia stata oggetto di persecuzione in Unione Sovietica; sottolinea come le sue produzioni, compreso il Mercante, esplorino le sfide e gli ostacoli incontrati dagli ebrei, e afferma che “coloro che desiderano distorcere il lavoro artistico e culturale di Habima per meschini fini politici non fanno che ricordarci l'importanza vitale di questo lavoro”. Essi cercano di delegittimare non solo Habima ma anche lo Stato di Israele, gli ebrei, e la stessa lingua ebraica.
Un estratto: “Nessun artista dovrebbe cercare di costringere al silenzio altri artisti semplicemente perchè sono israeliani. Cercando di impedire lo scambio culturale di idee essi dimostrano che le continue persecuzioni degli ebrei e degli israeliani continuano anche nella Gran Bretagna del ventunesimo secolo. Noi condanniamo gli atti di terrorismo culturale che alcuni potrebbero tentare di commettere durante la performance di Habima”. Wesker, autore del dramma The Merchant, che ripropone la vicenda di Shylock dal punto di vista di quest'ultimo, ha anche rilasciato un'intervista a The Jewish Chronicle http://www.thejc.com/news/uk-news/66078/theatre-ban-nazi-book-burning’-say-west-end-stars, paragonando l'auspicato boicottaggio al “rogo dei libri dell'era nazista”, mentre lo scrittore Howard Jacobson sull'Observer ha parlato di maccartismo in Gran Bretagna. A differenza di Thompson e compagni, questi ultimi artisti si sono espressi in termini artistici più che politici, sottolineando che “Se ci deve essere confronto, quest'ultimo deve avvenire mediante i canali riconosciuti della discussione e del dibattito” (Simon Callow). Berkoff, che ha lavorato in Israele ed è a sua volta oppositore dell'attuale governo israeliano, ha denunciato “un cattivo odore […] che mi fa pensare alle centinaia di volte in cui gli ebrei sono stati esclusi, per una ragione o per l'altra, come scrittori, attori e pittori, dagli zar di Russia a Hitler eccetera”, e “un'ombra antisemita che cala invariabilmente quando si discute di questioni ebraiche e particolarmente di Israele, un'ombra che impedisce alla gente di vedere con chiarezza”. Berkoff e Lipman si sono anche chiesti perchè a nessuno dia fastidio la partecipazione di compagnie teatrali provenienti da Stati come Russia, Cina, Georgia, Nigeria, Pakistan, o Zimbabwe, che in fatto di violazione di diritti umani non sono seconde a nessuno. Lipman ha anche osservato che nessuno si propone di boicottare le invenzioni israeliane che hanno cambiato il mondo. Ma la controversia, naturalmente, non è finita qui. Margolyes ha filmato un appello personale, e insieme a tredici irriducibili firmatari della prima lettera anti-Habima ha scritto anche a The Jewish Chronicle. Gli autori si sono dichiarati feriti dalle calunnie e dagli “insulti a buon mercato” del controappello, e hanno rinnovato l'attacco ad Habima, “direttamente complice di violazioni dei diritti umani”, nonchè “istituzione che obbedisce agli ordini dello stato”, dichiarando di sottoscrivere “la richiesta palestinese che Israele abbia un comportamento all'altezza dei parametri di civiltà che dichiara di sostenere”. Il direttore artistico di Habima, Ilan Ronen, si è detto molto addolorato dall'intera vicenda, anche perchè, su 1,500 rappresentazioni annue di Habima, solo quattro o cinque si sono tenute ad Ariel. Ronen ha ricordato che, essendo finanziata dallo Stato, la compagnia deve lavorare per tutti gli israeliani, “altrimenti non riceviamo sostegno finanziario”. Tuttavia, la compagnia non rappresenta lo Stato: “Siamo completamente indipendenti, artisticamente e politicamente”, dice Ronen; “esprimiamo le nostre posizioni politiche in molti dei nostri progetti”. L'atteggiamento di fondo, in una situazione definita “difficile, non ideale”, è pragmatico. Gli artisti che non desiderano lavorare negli insediamenti non sono obbligati a farlo; non vengono esercitate pressioni né vengono imposte sanzioni, anzi vengono protetti e le loro scelte vengono rispettate. (Anche il Teatro Nazionale Cinese, partecipante al festival, è sovvenzionato e controllato dal governo, ma stranamente questo sembra non dare fastidio a nessuno, forse perchè non recita nei territori occupati del Tibet. E che dire della Turchia che occupa Cipro?).
Come c'era da aspettarsi, anche il BBC World Service ha versato olio sul fuoco: il giorno della rappresentazione ha dato molto spazio agli organizzatori di una dimostrazione anti-Habima al Globe: il presentatore li ha lasciati parlare senza mai ribattere o approfondire, anzi ha definito Habima “controversial”, e non ha fatto parola dell'annunciata contromanifestazione a sostegno della compagnia. In realtà, come ben sappiamo, le motivazioni di molti boicottatori hanno ben poco a che fare con gli spettacoli di Habima ad Ariel. La coordinatrice dell'organizzazione Boycott Israel Network, Naomi Wimborne-Idrissi, lo ha praticamente ammesso dicendo che l'iniziativa non riguarda singoli artisti, o il contenuto del loro lavoro, la loro lingua o il loro gruppo etnico: “Come per il Sudafrica al tempo dell'apartheid, ci rifiutiamo di permettere che la cultura venga usata per mimetizzare l'oppressione”, o per dare lustro a uno Stato che viola i diritti umani http://www.google.com/hostednews/ukpress/article/ALeqM5hlge-Q5nZ-LVS4jPzdZsddJGYXIQ?docId=N0014391338243106548A
La stessa compagnia di Ramallah che ha rappresentato Riccardo II, Ashtar, ha ribadito il concetto nel corso di un dibattito tenutosi al Globe ma organizzato indipendentemente da Ashtar stessa e da gruppi pro-palestinesi di Londra. L'attore che ha interpretato l'usurpatore Bolingbroke, Nicola Zreineh, ha dichiarato che il boicottaggio non riguardava solamente Habima: “Ogni istituzione dello Stato di Israele dovrebbe venire isolata finchè la giustizia viene negata”. Iman Aoun, direttrice artistica di Ashtar, ha accusato gli artisti israeliani di ipocrisia, in quanto pronti a lavorare con i palestinesi in teatro ma anche a servire nell'esercito del loro Paese: “A che serve fare continuare a fare arte quando dentro di loro sanno bene che, sostenendo l'occupazione, il regime di apartheid e gli insediamenti, violano diritti umani fondamentali?” http://jews4big.wordpress.com/tag/ashtar/
Al dibattito hanno preso parte vari intellettuali palestinesi e britannici, compresi alcuni firmatari dell'appello Anti-Habima. Secondo Dave Rich, che monitora l'antisemitismo in Gran Bretagna, il fatto che la rappresentazione sia andata in scena nonostante tutto è l'ennesima prova che in generale i boicottaggi anti-Israele hanno poco successo, specialmente sul piano economico. (Ad esempio, nel 2011 la bilancia commerciale tra Israele e il Regno Unito è cresciuta del 34%, vedi
http://www.timesofisrael.com/if-you-boycott-us-do-we-not-bleed/)
Tuttavia l'impatto mediatico e pubblicitario di queste operazioni è infinitamente maggiore di quello reale, e i boicottatori lo sanno molto bene. A poco a poco, l'atteggiamento ostile degli ambienti artistici e accademici, è diventato qualcosa che “ci si aspetta”, e si sta estendendo ad altri settori, creando le condizioni per un boicottaggio non ufficiale (“grey boycott”): un'atmosfera in cui gli artisti e gli accademici israeliani non vengono invitati perchè teatri e università desiderano evitare polemiche spiacevoli, o gli stessi artisti ed accademici declinano inviti per paura delle stesse. Ed è proprio questo che preoccupa, al di là delle singole iniziative, perchè si tratta di una specie di autocensura, di easusta acquiescenza; a pensarci bene, una forma di “appeasement”.
Ha ragione lo scrittore Howard Jacobson a parlare di situazione kafkiana, in cui anche “un'opera inquietante di grande complessità morale (di conseguenza un'opera della quale ogni nuova interpretazione dovrebbe essere benvenuta) viene bandita non per se stessa, ma per via del luogo in cui la compagnia teatrale che la rappresenta ha lavorato. […] Ed ora tutti noi potremmo essere colpevoli per associazione: per essere nel posto sbagliato, per aver parlato con le persone sbagliate, o per aver letto un libro sbagliato. E' cosi che le idee fisse fanno dei migliori di noi degli sciocchi pericolosi” http://www.guardian.co.uk/stage/2012/apr/07/israel-national-theatre-globe. Una frase che sembra uscita dalla penna di Shakespeare.
Annalisa Robinson