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Ugo Volli
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UNRWA, ossia come moltiplicare il numero dei profughi palestinesi e farli restare tali 29/05/2012

UNRWA, ossia come moltiplicare il numero dei profughi palestinesi e farli restare tali


Filippo Grandi, direttore dell'Unrwa

Cari amici,

sapete che uno degli ostacoli principali alla pace in medio oriente,
anzi, forse il più importante di tutti, è la questione del "ritorno"
dei "rifugiati", che per i Palestinesi sarebbero 7 milioni, cioè circa
dieci volte quelli che se ne andarono nel '48 - come se l'Italia
avesse oggi 400 e passa milioni di abitanti. Magari non sono 7
milioni, ma c'è un'agenzia dell'Onu appositamente dedicata ai soli
"rifugiati" palestinesi, l'Unrwa, che amministra aiuti per 5 o 6, un
numero comunque molto strano. E infatti un senatore americano, il
repubblicano Mark Kirk, ha fatto passare un articolo di legge in cui
si impone alla segreteria di stato di far conoscere i numeri  dei veri
rifugiati palestinesi
(http://www.washingtonpost.com/blogs/right-turn/post/is-the-un-making-the-palestinian-refugee-problem-worse/2012/05/23/gJQAxW0BkU_blog.html).
La cosa ha anche un forte impatto economico e dunque fiscale, perché
gli americani pagano miliardi di dollari in aiuti a questi
"rifugiati",  fidandosi del giudizio dell'Unrwa. Ora è evidente che
stipendi, finanze e potere dell'agenzia dipendono dal numero dei
rifugiati. Ora l'Unrwa si è data il compito di "istillare l'identità
palestinese" e di "preservarla
(http://elderofziyon.blogspot.it/2012/04/unrwa-director-brags-about-instilling.html;
per leggere le teorie del commissario generale dell'Unrwa, che per
sfortuna è un'italiano, leggete qui:
http://www.unrwa.org/etemplate.php?id=1315); e per far questo ha
spesso prestato la propria copertura, fornito i propri mezzi, pagato
stipendi ai terroristi di Hamas: due buone ragioni per non fare troppo
gli schizzinosi rispetto al loro numero. Ma sapete quanti sono i
rifugiati palestinesi veri secondo Kirk? Circa 30-35 mila: vale a dire
duecento volte meno di quel che pretendono i palestinesi e l'Unrwa.

La differenza è un po' troppo grande per essere il semplice frutto di
una confusione, ammetterete. E infatti c'è una ragione di fondo. Vi è
una definizione internazionalmente sancita dello stato di rifugiato.
La trovate qui, su un documento ufficiale dell'Onu
(http://www.unhcr.org/refworld/pdfid/43141f5d4.pdf): E' un rifugiato
"chiunque, a causa di un ben fondato timore di essere perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalità o opinioni politiche, si trova
fuori del paese di sua nazionalità e non può o, a causa di tale timore
o, - per motivi diversi dalla convenienza personale - non vuole
avvalersi della protezione di tale paese, o che,  non avendo una
cittadinanza e trovandosi fuori del paese della sua precedente
residenza abituale, non può o, a causa di tale timore o per altri
motivi di convenienza personale, non è disposta a tornare ad esso. "
(Convenzione del 1951) A questa definizione si è poi aggiunta questa
postilla: "Il termine 'rifugiato' si applica anche ad ogni persona
che, a causa di aggressione esterna, occupazione, dominazione
straniera o gravi turbamenti dell'ordine pubblico che hanno coinvolto
in parte o in tutto il suo paese di origine o di cittadinanza, è
costretto a lasciare il proprio luogo di residenza abituale per
cercare rifugio in un altro luogo fuori del proprio Paese di origine o
nazionalità. " (convenzione OAU del '69). La condizione di rifugiato
non si applica però "a coloro per cui vi siano basi ragionevoli per
considerarli  come un pericolo per la sicurezza nel paese" (art 33-2
della Convenzione del '51) e in generale ai combattenti. Coloro che
hanno portato le armi, dice la convenzione,  possono essere
considerati rifugiati solo se dichiarano di rifugiarvi. E' inoltre
personale, riguarda singoli individui, non la loro famiglia, i loro
eredi.

Ora se guardiamo i "rifugiati palestinesi" attuali, chi fra loro è
stato costretto dai disordini della guerra a uscire dalla residenza
abituale? Possono rientrare in questa condizione solo quelli nati
prima del '49, non i loro figli e nipoti. Inoltre non quelli che hanno
portato le armi senza rinunciarvi, non quelli che si sono trasferiti
in altre parti del loro stato di origine (il mandato britannico di
Palestina). Quanti sono?  Il risultato ragionevole è quello che dice
il senatore Kirk: tre o quattro decine di migliaia, non di più. Vi
sembra strano? Pensate ai milioni di tedeschi, cechi, polacchi,
italiani, ungheresi che hanno avuto un parente costretto a trasferirsi
in seguito alla seconda guerra mondiale; pensate alle centinaia di
milioni di indiani e pakistani eredi di coloro che si trovarono in
questa condizione in seguito alla divisione del paese, pensate ai
trasferimenti connessi alle guerre civili e di liberazione coloniale
in Africa, pensate a tutti gli israeliani (non c'è nessuno che non
abbia almeno un avo espulso dai paesi arabi o scappato dall'Europa).
Insomma, se si applicassero i criteri dell'Urwa a tutti, metà degli
abitanti del mondo sarebbero ufficialmente rifugiati, magari mantenuti
dall'altra metà, con alcune decine di milioni di burocrati a mediare.
Ma non è così. Perché, a parte i rifugiati palestinesi, per gli altri
le regole sono quelle ovvie e di buon senso, per cui ai problemi si
cerca un rimedio, e non ci si sforza di perpetuarli. E c'è un'agenzia
dell'Onu che magari non sarà perfetta (anzi, tutt'altro, come ogni
cosa di questa entità "soprannazionale"), ma almeno non è un attore
politico filoterrorista. Si chiama UNHCR e ne trovate il sito qui:
http://www.unhcr.org/pages/49c3646c125.html.

Certo, mi direte, queste considerazioni sono solo giuridiche e non
dicono granché. Ma perché si è creato il problema dei rifugiati
palestinesi e di chi è la colpa? Magari un giorno cxercherò di
raccontarvi a modo mio questa storia, ma per ora mi limito a
rimandarvi a un bell'articolo di Robert Werdine, che trovate qui:
http://blogs.timesofisrael.com/the-truth-about-the-nakba/. Scoprirete
che tutto è stata la "nabka", la sconfitta araba nel tentativo di
spazzar via gli ebrei da Eretz Israel nel '48, salvo che un "disastro"
innocente, perché si combatté paese per paese, strada per strada, casa
per casa. E quando gli arabi prevalevano, distruggevano tutti e
ammazzavano tutti. Se sono scappati, è per buone ragioni, per la
violenza della guerra, per il senso di colpa delle stragi che avevano
compiute, per paura della vendetta, per l'appello dei generali arabi,
convinti di tornare presto vincitori. Ma questo non dà affatto ai loro
nipoti e pronipoti il diritto di "tornare" dove non sono mai stati, in
Israele.

Ugo Volli


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