Un nuovo Medio Oriente o il vecchio odio per Israele ?
di Josef Olmert e Giulio Meotti
(Traduzione dll'inglese di Yehudit Weisz)
http://www.jpost.com/Opinion/Op-EdContributors/Article.aspx?id=271611
Giulio Meotti, Josef Olmert
Oggi ritrarre gli ebrei come nazisti, i primi ministri israeliani come Hitler, e la Stella di Davide come una svastica è comune nel mondo islamico.
I gravi eventi della "primavera araba" ci offrono un’altra opportunità di analizzare il dibattito sul Medio Oriente negli Stati Uniti e in Europa. Il quadro che emerge è che le vecchie abitudini sono dure a morire, e che i temi principali che hanno dominato la polemica prima della ribellione popolare, continuano a essere all’ordine del giorno.
I media non sono riusciti a prevedere gli eventi, cosa che è in gran parte da attribuirsi all’eccessiva attenzione focalizzata sul conflitto israelo-arabo-palestinese come il problema più importante a scapito di tutto il resto. Non fu prestata alcuna attenzione alle relazioni annuali, pubblicate dall’ONU e scritte da accademici arabi, sulla condizione delle società nel mondo arabo.
Questi rapporti incredibilmente chiari e illuminanti, avevano dipinto un quadro fosco di avvenimenti e contenevano precisi avvertimenti, per esempio che lo status-quo nel mondo arabo non sarebbe durato troppo a lungo. Furono ignorati dalla stampa e dal mondo accademico. Perfino quando gli eventi cominciarono a svolgersi, come per riflesso pavloviano, molti giornalisti e accademici senza indugio puntarono i riflettori su israeliani e palestinesi.
Un esempio calzante sono gli scritti di Thomas Friedman su The New York Times. Le colonne ben scritte di Friedman lasciano al lettore la netta impressione che, malgrado ci siano così tanti dubbi dietro la "primavera araba", la chiave per il futuro del Medio Oriente continua a essere una rapida risoluzione del conflitto israelo-palestinese, e che dipende da Israele fare l’unica cosa che potrà portare a un nuovo Medio Oriente.
Quando lo stesso N.Y.Times aveva affrontato gli eventi in Siria, mandò cinque esperti per discutere sulla situazione, nessuno di loro era israeliano. Resta da chiedersi se non fosse un messaggio per dire che gli studiosi israeliani non sono autorizzati a partecipare a una discussione sulla Siria.
Gran parte di questo dibattito verte sul settarismo. Anche se questo è stato chiaramente un fattore cruciale all’origine del conflitto, la base resta ampiamente aperta a coloro che ne negano l’evidenza.
Questo è ciò che accadde il 18 marzo, quando il Washington Post pubblicò un articolo di Wadah Khanfar, l’ex amministratore delegato di Al Jazeera, in cui annunciava che “la Siria moderna non ha mai assistito a un vero e proprio (sic) conflitto religioso”. Molte di queste incredibili distorsioni appaiono quotidianamente in così tanti media, da lasciare l’impressione che se il settarismo non è il problema, allora gli arabi sono esenti dalla necessità di incolpare sé stessi, e quindi Israele torna al centro della scena nel gioco delle responsabilità.
Mentre i sondaggi d’opinione americani dimostrano in larga misura il sostegno di Israele, il mondo accademico offre un quadro del tutto diverso, in particolare nel campo delle relazioni internazionali, scienze politiche e studi sul Medio Oriente. Ne è un esempio il libro sull’AIPAC (Comitato Americano- Israeliano sull’Attività Politica) intitolato “The Israel Lobby”, scritto da Mearsheimer e Walt, checontinua a essere considerato importante, e i suoi autori sono giudicati dai loro colleghi come i più influenti studiosi del settore.
In termini d’impatto, questo è un libro cult.
Una recensione favorevole del libro sostiene la tesi che tutto ciò che contiene non può essere esagerato.
La situazione in Europa è molto peggio.
I campus universitari stanno assistendo all’ondata più massiccia di pregiudizio antisraeliano a partire dal 6 aprile 2002, quando 123 accademici firmarono una lettera pubblicata sul " Guardian ", in cui chiedevano l’interruzione dei rapporti culturali con Israele. Da allora, decine di Università hanno ospitato eventi finanziati dalla UE , che paragonavano la politica israeliana a quella dell’apartheid del Sud Africa. Inoltre, anche negli USA, le Università della Ivy League promuovono la “Settimana dell’apartheid di Israele”.
La definizione dello Stato ebraico come uno “Stato di apartheid”, con il paragone subliminale tra ariani e sionisti, è diventata la parola in codice per definire il male.
Oggi ritrarre gli ebrei come nazisti, i primi ministri israeliani come Hitler, e la Stella di Davide come una svastica è comune nel mondo islamico, ma questi paragoni criminali sono penetrati anche nelle accademie dell’Occidente.
Zygmunt Bauman, considerato come uno dei più influenti sociologi mondiali, ha dichiarato in un’intervista al settimanale polacco Politika, che “Israele sta approfittando dell’Olocausto per legittimare atti vessatori” e ha continuato paragonando il muro di protezione di Israele al Ghetto di Varsavia, da cui 400.000 ebrei innocenti furono mandati ai campi di sterminio. Lo storico tedesco, Ernst Nolte, ha detto in una conferenza in Italia, che “la sola differenza tra Israele e il Terzo Reich è Auschwitz” e che “la simpatia per i palestinesi è più diffusa di quella riservata alle vittime della Shoah”.
Non c’è da meravigliarsi se parole come queste attraversano gli oceani, si comprende perchè all’Università di California, a Irvine, uno degli epicentri delle agitazioni anti-Israele, lo Stato ebraico sia descritto come il “Quarto Reich”.
In generale, una nuova generazione di accademici occidentali, soprattutto nelle facoltà umanistiche, è intrisa di queste nozioni anti-ebrei e anti-Israele. Il sionismo è considerato come causa dell’anti-semitismo, non una legittima risposta. La visione del mondo di questi accademici è internazionalista e terzo-mondista.
Essi considerano la sovranità di Israele come “razzista”, e respingono il concetto di identità nazionale ebraica, e nel contempo, quello che loro predicano per il mondo intero, è di accettare come legittimo, il nazionalismo palestinese.
Per loro, l’islamofobia è il peggior tipo di razzismo. Quindi un altro motivo per cui non possono accettare il semplice fatto che, nel Medio Oriente islamico, ci siano tanti conflitti fra gruppi etnici e religiosi, perché accettarlo significherebbe gettare un’ombra sull’intera religione islamica.
La maggior parte di questi accademici sono marxisti, la cui visione del mondo su ogni questione, è in netto contrasto con quella islamica, e tuttavia, essi trovano un comune denominatore, come linea di base per entrambi i gruppi circa il Medio Oriente, nel negare il diritto di esistere a Israele. Per cui possiamo tranquillamente affermare che molti accademici occidentali stanno rapidamente diventando la cassa di risonanza anti-Israele più influente nel mondo.
La storia ci insegna che non vi è nulla di nuovo in questa ossessione irrazionale.
Giulio Meotti è l'autore di " Non smetteremo di danzare " (Lindau Ed.) pubblicato in inglese con il titolo " A New Shoah", scrive per Yediot Aharonot, Wall Street Journal, Il Foglio. E' in preparazione il suo nuovo libro su Israele e Vaticano.