I massacri in Siria continuano, ma i nostri analisti cantinuano a gingillarsi in analisi che non fanno altro che riprodurre il quadro di una situazione che si conosce a memoria. Come fa anche Vittorio Emanuele Parsi, sulla STAMPA oggi, 27/05/2012 che non riprendiamo data la sua inutilità. Dalla stessa STAMPA, pubblichiamo invece l' intervista di Paolo Mastrolilli a Daniel Pipes, a pag. 2, con il titolo " Pipes: 'Il regime cadrà, ma seminerà morte fino alla fine' ",il quale, come sempre, esprime concetti chiari, senza girare intorno ai problemi. Uno può condivedere o meno le sue opinioni, - noi le condividiamo - ma almeno non ci rifila la melassa che contraddistingue i vari commenti che pontificano sui nostri giornaloni.
Ecco l'intervista:
Daniel Pipes
Daniel Pipes avverte: «Il regime di Assad cadrà, perché la situazione internazionale che si è creata non lascia spazi per la sua sopravvivenza. Fino a quando questo non avverrà, però, dovremo aspettarci qualunque genere di violenza, perché lui sa che sta combattendo per la propria sopravvivenza». Pipes, direttore del Middle East Forum, era stato consigliere del presidente Bush alla Casa Bianca, eppure non spara sull’Amministrazione Obama: «In Siria sta facendo poco, che è quello che dobbiamo fare». Perché è convintocheAssadcadrà? «Non ci sono margini per la sopravvivenza del regime a lungo termine,per la situazione interna, e per quella internazionale». Perché allora continua a ordinare tuttequeste violenze? «Nel corso della Primavera araba si sono create due situazioni principali in Medio Oriente: i colpi di stato e le rivoluzioni. Egitto, Tunisia e Yemen appartengono alla prima categoria, perché l’élite di governo è caduta, ma le istituzioni sono rimaste al loro posto; la Libia appartiene alla seconda, perché con Gheddafi è crollato tutto il suo apparato. In Siria sta avvenendo una rivoluzione. Non solo Assad, ma l’intero gruppo di potere alawita, sanno che se perdono non ci sarà futuro per loro. Perciò combatteranno fino all’ultimo Forse Assad, a differenza di Gheddafi, scapperà quando capirà che non ha più speranze». Quale sarà lachiaveper convincerlo? «La situazione nelle grandi città. Damasco e Aleppo finora sono rimaste relativamente calme: quando la rivoluzione le raggiungerà, Assad lascerà il Paese per non fare la fine di Gheddafi». Come deve comportarsi la comunità internazionale? «Il piano Annan è irrilevante, perché non sarà rispettato, e noi occidentali dobbiamo tenerci il più possibile fuori ». Mentre la Russia manda armi ad Assad? «La Russia e l’Iran sostengono il regime la Turchia e l’Arabia Saudita gli oppositori. Noi dobbiamo tenerci fuori perché non abbiamo veri amici in questa partita: vogliamo che Assad cada, ma non è nostro interesse aiutare gli islamisti che prenderanno il suo posto». Quindi? «Dobbiamo favorire la fine di Assad, come stiamo facendo, senza però legittimare e rafforzare gli islamisti». Perchè? «In MedioOriente oggi ci sono tre soggetti politici: i dimostranti di piazza Tahrir, che sono laici, democratici, moderni; gli islamisti, che sono i nostri nemici, da avversare il più possibile; i dittatori, che dobbiamo spingere verso le riforme, tranne i casi irrecuperabili come Assad, con cui non possiamo più lavorare. I dimostranti di piazza Tahrir sono i nostri amici e il futuro su cui dobbiamo scommettere, ma non prenderanno il potere oggi». E allora la strategia in Siria quale deve essere? «Favorire la caduta di Assad, senza comprometterci con gli islamisti. Poi aiutare i nostri amici della generazioneTahrir, che però adesso sono troppo deboli, cercando di costruire le condizioni di lungo termine per farli andare al potere».
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