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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.05.2012 Elezioni in Egitto, i copti in pericolo rimpiangono Mubarak
cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 maggio 2012
Pagina: 17
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «La paura dei cristiani costretti a rimpiangere l'epoca di Mubarak»

Sulle elezioni in Egitto sono state pubblicate molte cronache sui quotidiani italiani di questa mattina.
Il commento di IC è contenuto nell'analisi di Zvi Mazel, già ambasciatore in Egitto. Per leggerla, cliccare sul link sottostante
http://www.informazionecorretta.com/main.php?sez=310&cat=rubriche.

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/05/2012, a pag. 17, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "La paura dei cristiani costretti a rimpiangere l'epoca di Mubarak".


Lorenzo Cremonesi

ALESSANDRIA (Egitto) — Non ci sono sentinelle troppo visibili all'entrata. Ma il cartellone con le foto delle vittime dell'attentato della notte di Capodanno 2010 domina il portone di accesso alla chiesa dedicata a San Marco e San Pietro nel centro della città. A contarli sono 22 volti: donne ben vestite, visi ridenti di bambini, un paio di sacerdoti, uomini dall'aria compita, austera. Un bambino sui 10 anni indossa i vestiti della cresima. «Tecnicamente eravamo già nel 2011. La bomba esplose sulla strada proprio di fronte al portale 20 minuti dopo mezzanotte. L'attentatore cercava la strage. Provò ad entrare. Ma la folla stava già defluendo. Allora lasciò l'ordigno innescato e scappò via. I morti furono venti. Abbiamo aggiunto i volti di altri due cristiani assassinati dagli estremisti musulmani solo pochi mesi prima. Sono bene in vista. Che la loro memoria serva da guida per i fedeli che andranno alle urne», spiega Hani Mikhail Butrus, ingegnere meccanico 56enne che si è offerto volontario per sorvegliare i lavori di restauro all'edificio.
Proprio di fronte al cartellone, dall'altra parte della strada, sta il portone di accesso alla moschea Sharq al Medina. «Ci sarà spazio per i cristiani anche nel governo dei Fratelli Musulmani», sostengono tre giovani barbuti. Però il tono cambia quando si parla dell'attentato: «Non sono morti solo cristiani per quella bomba. Ci sono state almeno quattro vittime musulmane». Una versione totalmente smentita dai sacerdoti dirimpetto.
La basilica copta di Alessandria è un luogo particolarmente indicato per capire paure, preferenze e aspettative dei quasi 9 milioni di cristiani egiziani (il 10 per cento della popolazione) alla vigilia del primo voto libero nella storia del Paese. Il massacro non fu uno dei più gravi. Ma avvenne mentre già la primavera araba soffiava forte sul Medio Oriente. Dalle piazze di Tunisi stava raggiungendo il Cairo. Quaranta giorni dopo l'ondata di violenze tra copti e islamici radicali, seguita all'attentato, Hosni Mubarak lasciava la presidenza. E da allora la minoranza cristiana cerca disperatamente di ritrovare un proprio ruolo, addirittura una propria identità, in questo Egitto che cambia tanto repentinamente e rischia seriamente di essere dominato dalle forze dell'integralismo musulmano. Da sempre i cristiani locali insistono nel ripetere che sono loro gli autentici egiziani originari. «Copto significa egiziano. L'islam è arrivato dopo il cristianesimo», ripetono in ogni occasione. Ma la vittoria del blocco religioso islamico alle elezioni parlamentari nel dicembre scorso (assieme Fratelli Musulmani e salafiti sfiorano il 70 per cento dei 498 deputati) scuote antiche sicurezze. Una debolezza acuita dalla morte per malattia il 17 marzo di Papa Shenouda III, il leader massimo dei copti, che lascia la comunità ancora più esposta in attesa di un successore. E ad Alessandria questa caducità, questa insicurezza esistenziale, è ancora più evidente. Con i palazzoni decadenti, sporchi e scrostati sul lungomare, testimoni tristi dell'antico splendore cosmopolita ormai svanito da un pezzo. Con l'eclissi delle comunità di italiani, greci, ebrei, russi, inglesi, francesi aperti al mondo e da decenni via via sostituti da una massa di fellah impoveriti che hanno definitivamente obliterato i caffè letterari, il libertinismo sessuale tutto mediterraneo e il terreno di incontro tra Occidente e Oriente. «Una città da raccontare al passato», scriveva Lawrence Durrell con nostalgia già sessant'anni fa.
L'urbanistica della disperazione, i pochi barlumi di quell'obsolescente trascorso che non tornerà più, sembrano simboleggiare le incognite della politica. «Era meglio ai tempi di Mubarak. Per noi la rivoluzione è stata una catastrofe. Non ho paura a dirlo, anche se tanti cristiani ora fanno buon viso a cattivo gioco e cercano di cavalcare la tigre del movimento del cambiamento in nome di una finta democrazia che obbligherà alla fine tutte le donne, senza distinzione di credo, a indossare il velo. Ma io resterò qui, non me ne andrò, lotterò per la difesa dei nostri diritti», dice tra i denti Anna Refat, farmacista 23enne che lavora solo a pochi isolati dalla basilica. Un altro giovane, Rami Ashraf, diciottenne studente alla scuola alberghiera, sembra invece molto più arrendevole: «Se dovesse diventare presidente Mohammed Morsi, il candidato dei Fratelli Musulmani, o anche Abul Futuh, che pur presentandosi come più moderato viene dalla stessa organizzazione, io emigrerò all'estero. Magari in Canada, o in Brasile, dove esistono già popolose comunità di copti. Non c'è futuro per i cristiani in un Egitto dominato dagli islamici».
Le loro preferenze? Ci pensano un poco. Non è strano. Tanti egiziani sembrano ancora indecisi di fronte alla scelta dei 13 candidati presidenziali. Poi entrambi recitano il mantra più diffuso tra i copti: «Se fosse più giovane sceglieremmo Amr Mussa. È uno statista serio, garantisce stabilità. Ma ha 76 anni, è troppo anziano. Abbiamo bisogno di un leader energico per far fronte ai radicali islamici. E il migliore è Ahmed Shafiq, il premier che era stato scelto da Mubarak l'anno scorso. Ha un ottimo rapporto con l'esercito, l'unica forza in grado di garantire la stabilità dello Stato e i diritti delle minoranze».

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