Nucleare iraniano, impossibile prendere sul serio i negoziati con gli ayatollah Commenti di Giulio Meotti, Pio Pompa
Testata: Il Foglio Data: 23 maggio 2012 Pagina: 4 Autore: Giulio Meotti - Pio Pompa Titolo: «I mullah iraniani verso l’accordo sul nucleare. Per Israele è una trappola - Libano at war»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 23/05/2012, a pag. 4, gli articoli di Giulio Meotti e Pio Pompa titolati " I mullah iraniani verso l’accordo sul nucleare. Per Israele è una trappola " e " Libano at war ".
Giulio Meotti - " I mullah iraniani verso l’accordo sul nucleare. Per Israele è una trappola "
Giulio Meotti
Roma. Il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’energia atomica (Aiea), Yukiya Amano, ieri ha annunciato il raggiungimento di un accordo che consenta ispezioni ai siti nucleari iraniani. E’ stato lo stesso Amano ad annunciarlo al suo rientro da Teheran, dove era arrivato lunedì. L’accordo giunge alla vigilia dell’incontro, in programma da oggi a Baghdad, tra i rappresentanti della Repubblica islamica e i negoziatori del 5+1 (i paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza, cioè Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, più la Germania). Ieri il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ribadito che “c’è un solo modo per impedire all’Iran di dotarsi di armi nuclari”: sospendere ogni tipo di arricchimento dell’uranio, trasferire all’estero quello già lavorato e chiudere il bunker di Fordo. Il vice primo ministro, Moshe Yaalon, ha così sintetizzato l’unico risultato che sarebbe visto con favore da Israele: “Zero enrichment”. Per questo Gerusalemme sta reagendo con preoccupazione a un accordo al ribasso che il 5+1 starebbe per siglare con gli iraniani. Teheran dovrebbe bloccare l’arricchimento al venti per cento (percentuale a uso militare), ma potrà continuare con l’arricchimento a livelli inferiori, preservando tutte le strutture nucleari, e in cambio vedrà cadere le pesanti sanzioni che entreranno in vigore dal primo luglio. Un simile accordo avrebbe per l’Iran due risultati molto importanti: sventare un attacco preventivo di Gerusalemme e sgravarsi di dosso il peso delle imminenti sanzioni economiche. Per questo Israele diffida dei talks di Baghdad. “Noi non crediamo alle intenzione iraniane”, ha ribadito ieri il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, riferendosi all’incontro con Yukiya Amano. Israel Hayom, giornale vicino al primo ministro israeliano Netanyahu, ieri ha sostenuto che i colloqui sono destinati più a fermare lo strike preventivo israeliano che non a prevenire l’avvento dell’atomica iraniana. Secondo Debka, sito legato all’intelligence israeliana (ricco di indiscrezioni ma non sempre attendibile), l’eventuale accordo avrebbe per l’Iran un risultato storico: “Sospendere l’arricchimento dell’uranio al venti per cento e aspettare il momento giusto per fare il salto verso la produzione a fini militari”. Prima della firma dell’accordo, l’Iran intenderebbe arricchire abbastanza uranio al venti per cento per poter assemblare una bomba (sono necessari 250 kg, mentre attualmente ne ha 120). Con diecimila centrifughe installate, per l’Iran sarebbe questione di poco tempo prima di poter costruire una testata atomica. Una volta raggiunto questo traguardo, l’Iran sospenderebbe l’arricchimento. Inoltre, stando ai primi commenti sul vertice, il sito di massima sicurezza di Fordo, dove il regime iraniano ha concentrato gran parte delle attività più delicate, non sarebbe toccato dall’accordo. Per Israele, consentire all’Iran di arricchire al 3,5 per cento significa lasciare accese tutte le centrifughe, che tra l’altro non sarebbero più sotto il peso delle sanzioni, della minaccia militare preventiva né dell’attenzione dell’Aiea. Olli Heinonen, l’ex vicedirettore dell’Aeia, ha spiegato che sospendere soltanto l’arricchimento al venti per cento è una falsa vittoria: l’arricchimento al 3,5 per cento significa aver completato il 70 per cento di un ciclo necessario a un ordigno nucleare. L’Iran avrebbe bisogno soltanto di un periodo di tempo che va da tre a dodici mesi per produrre una bomba dall’uranio arricchito a livello inferiore. Secondo Israele, all’Iran non dovrebbe essere chiesto né più né meno che un rispetto della risoluzione 1929 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 9 giugno 2010, che prevede la cessazione di ogni arricchimento, la fine del programma militare e la chiusura dei siti. In pratica, Israele chiede di “riportare l’orologio iraniano al 2007”. L’eventuale accordo che si prospetta da Baghdad congelerebbe invece la situazione, in vista di una futura decisione iraniana di accelerare il passo sulla bomba atomica. Ma senza gli occhi del mondo addosso.
Pio Pompa - " Libano at war "
Pio Pompa
Secondo una fonte araba d’intelligence, l’atteggiamento assunto da Barack Obama al G8 di Camp David sul dossier del nucleare iraniano somiglierebbe molto al famoso “non sento, non vedo, non parlo”, con il solito refrain delle sanzioni combinate all’azione diplomatica. L’accordo segreto tra Washington e Teheran sarebbe stato perfezionato domenica nell’ambito dell’incontro tra il direttore dell’Aiea, Yukiya Amano, in versione di grand commis dell’Amministrazione Obama, con la Guida suprema, Ali Khamenei. Un accordo articolato in otto punti che, oltre a non impedire al regime degli ayatollah di proseguire nella corsa verso l’atomica, sancirebbe l’isolamento d’Israele qualora esso dovesse essere adottato, a partire dal meeting di oggi a Baghdad dei 5+1 e con il pieno appoggio delle Nazioni Unite, quale base per ogni futuro negoziato sul nucleare iraniano. E’ così confermata la preoccupazione del governo israeliano che vede affermarsi all’interno dell’establishment statunitense un sostanziale riconoscimento dell’Iran quale grande potenza con cui intessere rapporti economici e diplomatici. “Una prospettiva questa – confida al Foglio il nostro interlocutore – che appare oltremodo pericolosa e azzardata non fosse altro, da ultimo, per l’ordine impartito da Teheran a Hezbollah, dopo gli attentati di Damasco del 10 maggio a opera di al Qaida in Iraq e di militanti sunniti provenienti dal Libano, di eliminare con ogni mezzo l’ex premier libanese Saad Hariri ritenuto, con i suoi miliziani di al Mustaqbal (Movimento del futuro), il capo del fronte anti Assad, impegnato nel fornire aiuti e appoggio logistico ai ribelli siriani, e responsabile degli scontri avvenuti nella città portuale di Tripoli”. L’offensiva iraniana e del Partito di Dio contro Hariri è diventata concreta con l’uccisione, nella regione settentrionale di Akkar, a un checkpoint dell’esercito libanese, di due dei suoi più stretti collaboratori, tra cui lo sceicco sunnita Ahmad Abdel Waed. L’assassinio ha scatenato violenze anche a Beirut, nel quartiere sunnita, dove ci sono stati già due morti e decine di ferite. I rapporti organici tra Hezbollah e buona parte dei vertici militari libanesi sono chiari, ma lo è anche la caccia spietata agli uomini del gruppo haririano al Mustaqbal, nella regione di Akkar, dove offrono sostegno ai ribelli diretti allo snodo siriano di Tal al Kalakh nella provincia di Homs. “L’unico tentativo – conclude la nostra fonte – per impedire che dopo Rafiq Hariri venga assassinato anche il figlio Saad è denunciare il disegno iraniano richiamando l’attenzione su quanto sta avvenendo in Libano con buona pace della politica di Obama con gli ayatollah”.
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