venerdi 01 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Giornale Rassegna Stampa
21.05.2012 Per chi ha visto l'orrore il dolore non passa mai. E niente è come prima
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 21 maggio 2012
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Per chi ha visto l'orrore il dolore non passa mai. E niente è come prima»

Sul GIORNALE di oggi, 21/05/2012, a pag.6, con il titolo "Per chi ha visto l'orrore il dolore non passa mai. E niente è come prima", Fiamma Niresntein commenta la strage di Brindisi.

Fiamma Niresntein

È difficile capire bene il terrori­smo: lo si può fare in molti anni di apprendistato, vivendo in mezzo agli attentati e alle vittime e ai ter­roristi stessi. Nel lavoro di giornali­sta ti accade, e ti rendi conto che quando non c’è l’esperienza diret­ta dell’evento, una specie di rimo­zione collettiva lo vuole collocare per forza dove vale il principio di causa-effetto, dove regna la logi­ca e la civiltà. Non è così. Ha ragio­ne Eli Wiesel quando dice che bi­sognerebbe combatterlo con leg­gi definitive e internazionali, quel­le sui crimini contro l’umanità. È infatti la peggiore delle guerre. Es­so ti trasporta nel mondo dove niente di quello che insegni ai tuoi figli vale. Non c’è premio, non c’è punizione: sei una creatura mera­vigliosa e innocente come Melis­sa e tuttavia ti colpisce come una piaga.
Il terrore uccide, menoma per sempre, ti confina nella depressio­ne o in una sindrome postraumati­ca per sempre. Il paradosso bibli­co di Giobbe si fa realtà; la tua sho­ah può avere caratteristiche sva­riate. Per chi vi viene coinvolto, se anche gli va bene, gli è andata sem­pre male. Chiunque l’ha scampa­ta, di fatto resta impigliato per sempre, ha la vita rovinata. Chi non c’era,rimasto a casa per un ca­so fortuito rischia di riempire il vuoto fisico con una colpa inesi­stente che distrugge. Se sei un ami­co, un genitore, un compagno di scuola o di lavoro, di una vittima, di un ferito, il tormento inflitto dal terrorista ti trascina nella rete. Il terrorismo è una guerra grande, basta pensare all’Irlanda, a Israe­le, all’Irak,basta pensare che gran­de ambizione dimostra quando estende le sue grinfie sulle grandi capitali del mondo con le Twin Towers, Londra, Madrid. Non im­porta, adesso, se qui invece si è trattato di un pazzo: il terrorista islamico come, quello che a Co­lumbine impugna un fucile e spa­ra sui compagni di college, come quello che fa saltare per aria il Caf­fè Moment a Gerusalemme ucci­den­do un padre e una figlia che in­sieme festeggiano il fatto che la ra­gazza, Nava Applebaum, si sareb­be sposata la mattina dopo, come quello che ha ucciso Melissa, for­mano un unico esercito.
Un attacco terrorista non fini­sce quando si placa il rumore del­lo scoppio, non muore con le sue vittime né guarisce con le cure ai feriti. È il colloquio con la morte in­giusta che sei obbligato a conti­nuare ad afferrarti. Le vittime rac­contano che quando la bomba ti assorda, dopo passano alcuni mo­menti di silenzio totale, in cui vedi senza sonoro una marea di san­gue che ti annega, di fuoco che ti
brucia, non sai se sei vivo o morto. Poi la vita di nuovo alza il volume e vieni investito dal dolore tuo, di chi ti sta intorno. È la tua vita che torna dopo un silenzio che, mi ha detto una volta un ferito, è quello della morte. Dal momento del soc­corso comincia un calvario fatto di dolore fisico ma anche di rimor­so di essere vivi e di pena per l’umanità che produce simili orro­ri. Pensiamo non solo a Veronica Capodieci di 15 anni, in prognosi riservata, che resiste come una le­onessa per la sua vita, ma anche a Vanessa, sua sorella che ha 19 an­ni.
Si dice si sia salvata perché la so­rella le ha fatto scudo col suo cor­po. E pensiamo a Selena Greco, anche lei in condizioni gravi e alle altre ragazze Sabrina, Vittoria, che hanno combattuto a loro mo­do nella guerra contro il terrori­smo facendosi forza l’una l’altra mentre bruciavano vive, ma che ora hanno da combattere quella parte della battaglia su cui il terro­rista conta, quella della distruzio­ne della personalità, quella per cui negli anni dell’Intifada i terro­risti erano sicuri di riuscire a cac­ciare gli israeliani da Gerusa­lemme a furia di esplosioni di au­tobus e di caffè, o gli irlandese vole­vano piegare gli inglesi ucciden­do la gente nei pub, o i supremati­sti bianchi americani vogliono mi­nare alla base la società cercando di corroderne col sangue la com­pattezza, o i talebani terrorizzano chi spera in una società un po’ mi­gliore. Un attacco terrorista ha mille non ratio e nessuna, il capric­cio del fato può uccidere te e non qualcuno che ti siede a pochi cen­timetri, può uccidere l’altro e la­sc­iare in vita te a chiederti per sem­pre perché questo è accaduto a lui e non a te. Nella zona pedonale di Gerusalemme un ragazzo di una quindicina di anni, Eran Mizra­chi, fu messo nella fila con altri un­dici ragazzi come lui, tutti uccisi mentre erano al pub da un terrori­sta suicida. Era morto, ma suo fra­tello gemello, Avi, gli fece la respi­razione artificiale per 25 minuti, finché lo resuscitò. Poi però corse su per una scala fino sul tetto deci­so a buttarsi di sotto e farla finita nonostante il successo: non pote­va tollerare quello che avevano fat­to al fratello. Lo trattennero, poi suoi fratello Eran fu ferito in un al­tro attacco. Così è il terrorismo.
Quando uno vede il corpo di un terrorista ucciso, come è capitato alla cronista, più che pietà il suo tronco morto suscita un senso di curiosità. Ci sono molte doman­de che uno vorrebbe fargli: per­ché? che mondo si immaginava di costruire sui corpi di innocenti, ra­gazzini, bambini? La nostra curio­sità andrebbe delusa, avremmo una serie di risposte stereotipate e vuote. Il terrorismo ha un segno comune, comunque si vesta: odia la vita, odia la civiltà, alcuni di loro dicono che questo è il loro grande vantaggio tattico e strategico su chi invece la vita la ama. Noi, che dobbiamo vincere per forza la sfi­da, perché se non ce la facciamo ci uccideranno fino nell’anima.

Per inviare al Giornale la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante


segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT