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Il Manifesto Rassegna Stampa
15.05.2012 64 anni di Israele, per Michele Giorgio solo 'catastrofe'
il quotidiano di Rocca Cannuccia sempre in prima linea contro lo Stato ebraico

Testata: Il Manifesto
Data: 15 maggio 2012
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Mezzo secolo di catastrofi»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 15/05/2012, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Mezzo secolo di catastrofi".


Michele Giorgio

Per quanto riguarda la 'nakba', Michele Giorgio è, come suo solito, disinformante. Gli consigliamo di leggere la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli di questa mattina (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=44530), dove potrà scoprire che cos'è stata sul serio la nakba, chi ne è stato responsabile e che cosa rappresenta. Furono gli Stati arabi a causare la nakba che oggi i palestinesi attribuiscono a Israele, rifiutando, già allora,  la soluzione dei due stati.
Per quanto riguarda, invece, gli scioperi della fame dei detenuti palestinesi, ricordiamo le loro condizioni in carcere usando le parole di Aldo Baquis (La Stampa, 15/05/2012, p.17) : " 
I detenuti saranno autorizzati a riprendere gli studi accademici e a seguire nuovi canali televisivi, oltre a quelli già approvati" oltre a ricevere le visite dei congiunti. Condizioni dure, non c'è che dire, che ci fanno venire in mente la prigionia di Gilad Shalit per 5 anni a Gaza.
Ecco il pezzo di Giorgio:

Il 15 maggio non sarà mai una data come le altre per i palestinesi. E le iniziative ad essa collegate non saranno mai rituali. Il 15 maggio 1948, giorno della fondazione di Israele, per i palestinesi è la Nakba, la «catastrofe», la perdita della terra e l’esilio di centinaia di migliaia di profughi (oggi oltre 5milioni) che a distanza di 64 anni chiedono di poter tornare nella loro terra d’origine. È lamemoria collettiva di un intero popolo. E lo sciopero della fame nelle carceri israeliane di 1600 prigionieri politici (su circa 5mila) - contro la detenzione amministrativa - quest’anno si aggiunge al bagaglio di prove che i palestinesi affrontano da sempre. Poco importa se ieri sera è stata annunciata la fine della protesta nelle carceri, dopo la decisione delle autorità israeliane di accogliere, su insistenza dei mediatori egiziani, parte delle richieste dei detenuti in lotta. Ovunque oggi, dalla Galilea dove vive gran parte dei palestinesi d’Israele ai campi profughi libanesi che accolgono i più sfortunati tra i profughi, dalla Cisgiordania fino a Gaza, saranno i detenuti il punto di riferimento di ogni manifestazione e corteo. In particolare BilalDiab e Thaer Halahla, che per oltre 70 giorni hanno rifiutato il cibo a rischio della vita. Secondo l’Associazione dei prigionieri palestinesi, i mediatori egiziani avrebbero strappato agli israeliani la fine della pratica dell’isolamento e la concessione alle famiglie di Gaza di visitare i propri parenti rinchiusi in carcere. Israele non ha accettato invece di rinunciare alla detenzione amministrativa, misura extra-giudiziaria illegale (una eredità del Mandato britannico sulla Palestina) per il diritto internazionale, che consente di incarcerare i palestinesi senza processo e solo sulla base di indizi e sospetti per un periodo di alcuni mesi. Unamisura «cautelare» che in teoria può essere rinnovata all’infinito. Ne sa qualcosa Thaer Halahla, in detenzione amministrativa da due anni, che dal carcere militare di Ramle qualche giorno fa ha inviato, grazie al suo avvocato, una lettera alla figlioletta Lamar mai conosciuta. «Nonostante sia stato privato dal tenerti in braccio e dal sentire la tua voce – ha scritto Halahla - dal vederti crescere e muoverti in casa e nel tuo letto, e sia stato privato del mio ruolo di essere umano e di padre conmia figlia, la tua esistenzami ha dato tutto il potere e la speranza... quando sarai grande capirai che la battaglia per la libertà è una battaglia per tornare da te, per non essere più portato via o privato del tuo sorriso e vederti di nuovo, perché l’occupante non mi porti via nuovamente da te». Una settimana fa la Corte Supremaisraeliana aveva rifiutato l’appello presentato da Thaer Halahla e BilalDiab che richiedeva il rilascio immediato per mancanza di accuse. L’accordo per la fine dello sciopero della fame è stato salutato con entusiasmo in Cisgiordania e Gaza ma risolve solo in parte la questione aperta delle detenzioni amministrative. Israele è disposto solo a rendere «meno pesante» il carico di questa misura che almomento colpisce 308 palestinesi. Un successo metà che è stato addolcito dalla denuncia (tardiva) dei ministri degli esteri dell’Ue della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e Gerusalemme Est, considerata «incompatibile» con la soluzione dei due Stati per due popoli. Il documento europeo deplora l’accelerazione dell’ampliamento delle colonie israeliane negli ultimi anni, la moltiplicazione degli atti «violenza ed estremismo» da parte dei coloni e sottolinea «l’aggravamento » delle condizioni di vita dei palestinesi nella zona C (il 60% della Cisgiordania sotto il pieno controllo di Israele). Iministri degli esteri ammoniscono infine che l’Ue «non riconoscerà alcuna modifica» delle linee antecedenti la guerra del 1967 (inclusa l’occupazione israeliana di Gerusalemme est) se non di fronte a un’intesa su scambi di territori concordata con i palestinesi. Per Israele il documento giunto da Bruxelles è una «lunga lista di richieste e critiche basate su un quadro parziale, prevenuto e unilaterale della realtà sul terreno».

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