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Il Foglio Rassegna Stampa
12.05.2012 Addio a due grandi: Vidal Sassoon, Maurice Sendak
L'imprenditore guerriero e e il disegnatore fantastico

Testata: Il Foglio
Data: 12 maggio 2012
Pagina: 2
Autore: Nicoletta Tiliacos- Redazione del Foglio
Titolo: «Vidal Sassoon, il parrucchiere-guerriero che cambiò la testa delle donne- Necrologio di Maurice Sendak»

Il FOGLIO dedica oggi, 12/05/2012, a pag.2, due pezzi in ricordo di Vidal Sassoon e Maurice Sendak. Del primo, IC ha pubblicato ieri una pagina in sua memoria:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=44478
oggi lo ricorda Nicoletta Tiliacos, in un articolo dal titolo "Vidal Sassoon, il parrucchiere-guerriero che cambiò la testa delle donne"
Di Maurice Sendak, uno dei più grandi illustratori di libri per bambini, a pag.2, un breve ma affettuoso necrologio. Lo ricorderanno tutti i bambini e gli ex-bambini diventati adulti, che mai hanno dimenticato i suoi disegni.
Ecci i pezzi:

Nicoletta Tiliacos: " Vidal Sassoon, il parrucchiere-guerriero che cambiò mla testa delle donne "

Vidal Sassoon

Prima di diventare il luddista dei bigodini, il demolitore dei boccoloni paralizzati dalla lacca, il terminator della permanente e delle capigliature cotonate, il parrucchiere Vidal Sassoon – nato ad Hammersmith, Londra, nel 1928 e morto a Los Angeles due giorni fa – è stato un vero combattente. Così, se oggi si trova a essere celebrato come colui che ha rivoluzionato l’immagine della donna contemporanea così come i Beatles la musica, grazie ai quei suoi tagli inusitati, corti, liberi, geometrici (“ispirati al movimento Bauhaus”, diceva), Sassoon lo deve forse proprio al temperamento da guerriero. Lo stesso che lo aveva portato, a diciassette anni, a diventare il più giovane componente del 43 Group, composto da quarantatré ebrei (tutti, tranne lui, veterani del Secondo conflitto mondiale) che nella Londra del Dopoguerra combattevano, più con le cattive che con le buone, gli antisemiti e i fascisti guidati da sir Oswald Mosley. Sassoon, “anti fascist warriorhairdresser”, per usare la definizione del Telegraph, era figlio di ebrei immigrati, padre greco di Tessalonica, madre di origine ucraina. A tre anni, dopo che il genitore ebbe abbandonato la famiglia, fu messo con il fratello in un orfanotrofio dove rimase per sette anni, prigioniero di un’infanzia dickensiana, con la madre che lo andava a trovare una volta al mese e la fame che lo torturava perennemente. Tornato a vivere in famiglia dopo il secondo matrimonio della madre, a quattordici anni lasciò la scuola e cominciò a lavorare, prima come fattorino e poi come sciampista in una bottega di parrucchiere nell’East End. Quando cominciarono le azioni contro i comizi dei “mosleyani”, con relative botte da orbi, all’adolescente Sassoon capitava di ritrovarsi ferito di brutto, visto che da una parte e dall’altra si usavano coltelli e lamette da barba. Nel 2008 raccontò alla Bbc che a una cliente in attesa di messa in piega, la quale gli aveva chiesto orripilata cosa fosse successo alla sua faccia, aveva risposto: “Niente di grave sono solo caduto su una forcina”. A vent’anni, si sarebbe arruolato nell’Haganah (l’organizzazione paramilitare ebraica attiva in Palestina durante il mandato britannico dal 1920 al 1948) e avrebbe combattuto nella guerra araboisraeliana. L’anno di addestramento nell’esercito d’Israele lo definì poi “il più bello della mia vita. Pensare che per duemila anni si è stati sottomessi e improvvisamente si fa parte di una nazione che rinasce: una sensazione meravigliosa”. La cosa fa pensare, detta da qualcuno che ha avuto davvero tutto, da un idolo dello star system mondiale. Nel senso che era lo star system a idolatrarlo, a contendersi le sue forbici rivoluzionarie: nel 1967 Roman Polanski volle fargli tagliare in pubblico, in uno studio della Paramount, i capelli di Mia Farrow mentre giravano “Rosemary’s Baby”. Lei aveva litigato con il marito Frank Sinatra e per dispetto si era sforbiciata da sola la chioma, con risultati impresentabili e disperazione del regista. Sassoon ottenne per quella performance, immortalata da decine di fotografi, l’iperbolica cifra, per l’epoca, di cinquemila dollari, mentre Mia Farrow ottenne una delle teste più incantevoli del secolo. Ma poi al parrucchiere più cool del mondo capitava anche di dover fronteggiare clienti imperiose, che lui preferiva lasciar andar via imbufalite, piuttosto che accontentare, se non era convinto di quello che pretendevano. Come dice lui stesso nel film “The Movie”, che gli fu dedicato nel 2010: “Non ho mai avuto un quadro preciso di ciò che i capelli dovrebbero essere, ma ho avuto un quadro preciso di ciò che i capelli non dovrebbero essere”. Ebbe anche un quadro preciso di come il mondo non dovrebbe essere. Per questo, nel 1982, fondò all’Università ebraica di Gerusalemme il “Vidal Sassoon International Center for the Study of Antisemitism”.

Il Foglio: necrologio di Maurice Sendak

 

                                                                 Maurice Sendak

Nacque il 10 giugno 1928. Nacque a Brooklyn. I genitori erano immigrati polacchi di religione ebraica. Il padre faceva il sarto. Maurice era il terzo figlio, concepito per sbaglio. La madre non gli nascondeva di non averlo voluto. Mentre la vita in casa si fece più triste per la notizia di tanti parenti prossimi morti nei campi di sterminio, Maurice si ammalò gravemente. A letto lesse, si appassionò ai libri. Al cinema, incantato da “Fantasia” di Walt Disney, decise di diventare illustratore di libri per bambini. I primi lavori non furono per l’editoria. Disegnò cartelli per le vetrine del più antico e più celebre magazzino di giocattoli degli Stati Uniti, Fao Schwarz, sulla Fifth Avenue di Manhattan. A diciannove anni illustrò un libro divulgativo, intitolato “Atomics for the Millions”. Per anni visse illustrando libri per bambini, come aveva desiderato da bambino. Nel 1963 pubblicò, scritto e illustrato da lui, “Where the Wild Things Are” (tradotto in italiano come “Il paese dei mostri selvaggi”). Raccontava, con le parole e le figure, la storia del bambino Max che, a letto senza cena per punizione, salpa per una foresta selvaggia popolata di mostri dalle lunghe zanne. Sono le “cose selvagge”, che Max domina “guardandoli negli occhi selvaggi senza battere ciglio nemmeno una volta”. I bambini non ebbero bisogno delle spiegazioni e dell’avallo degli psicanalisti per adorare un libro che vendicava il loro senso di affermazione nei confronti degli adulti e il loro coraggio. Il libro fu, anche se a scoppio un po’ ritardato, un successo internazionale, un longseller che avrebbe venduto negli anni decine di milioni di copie e sarebbe diventato un film. Ma a casa, dai genitori che non avevano creduto in lui, il successo di Maurice fu riconosciuto solo dopo che ebbe illustrato “Zlateh la capra e altre storie” di Isaac Bashevis Singer. E’ morto martedì 8 maggio.

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