Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/05/2012, a pag. 35, l'intervista di Egle Santolini ad Haim Baharier dal titolo "Rimpicciolitevi e moltiplicatevi".
Haim Baharier
Si arriva sotto la Torre Velasca, nello studio di Haim Baharier, in cerca di certezze spirituali, almeno di conforto in tempi scomodi: e perché mai, altrimenti, questo signore adorato dall’intellighenzia milanese, e non privo di influenza su taluni componenti del governo dei tecnici, riempirebbe di folla i teatri con lezioni dal titolo, per esempio, «Polenta e Qabbalá»? Se ne esce più consapevoli dei propri limiti; claudicanti, come a lui piace dire. «Pensi al mio modellino di Ferrari. Mi piacciono le macchine veloci, ma siccome non posso permettermele ho comprato questa miniatura. È perfetta, si possono scalare anche le marce. Bisognerebbe abituarsi a pensare che il piccolo contiene tutto, e che rimpicciolirsi non significa diminuirsi».
Baharier, come si salva la Qabbalà dalla banalizzazione in cui l’han trascinata le star col cordino rosso al polso? E, insieme, come farsene guidare in questo mondo fatto di privilegi e povertà?
«Lasci che le parli dell’economia di giustizia. Anche una carenza, una debolezza, può essere una leva per promuovere e chiedere giustizia. Ancora meglio se c’è un orecchio che ascolta e che potrebbe cambiare il corso degli avvenimenti: ma questo concetto è indipendente da qualsiasi concezione trascendentale. Conviene tornare al testo biblico, e ai due luminari».
Il Sole e la Luna, come racconta nel suo libro La Genesi spiegata da mia figlia . .
«La Luna dice al creatore: due sovrani per una corona sola sono di troppo. Il Creatore le risponde che ha ragione. Però poi le dice: vai e rimpicciolisciti. La Luna ripete di essere stata vittima di un’ingiustizia terribile, e che non le interessano le zeppe di consolazione, per esempio di sentirsi dire che è simbolo di crescita. Chi la dura la vince: il Creatore non cambia il corso delle cose, ma riconosce l’ingiustizia. Sta alla Luna giocarsi bene questo riconoscimento».
Ne vogliamo trarre delle implicazioni generali, politiche?
«Il rimpicciolirsi, il cedere spazio all’altro, allo straniero, può svolgersi senza drammi, senza diminuzione di dignità e di possesso. Siamo molto lontani dal buonismo cattolico. La ferita non è esibita, ma è elaborata: perde la sua natura dolorosa e consente all’altro di esistere. Come dice la Bibbia, “prenderete l’obolo per me da colui con un cuore che tende a darlo”. Io non do quello che credo di avere, ma cedo indietro quello di cui sono responsabile. In questo modo, l’altro è legittimato a prendere».
Nella pratica quotidiana?
«Nella mia, devolvo in economia di giustizia quello che mi viene pagato per l’insegnamento e le attività culturali: a istituzioni che si occupano di svantaggiati e di carenti. Cerco sempre di farmi pagare, e a chi ride o protesta dico che quei soldi sono già destinati. Io sono solo un tramite, con una grande responsabilità».
Ma che posto ha, oggi al mondo, l’economia di giustizia? Visto il clima, sembrano discorsi utopistici.
«La esercitano, per esempio, certi piccoli imprenditori che si battono per sopravvivere e far sopravvivere gli altri. O il nostro anziano presidente, che è tornato sui propri passi, dalla poca flessibilità del passato politico, e ora dice cose intelligenti tenendosi sul crinale, al limite del ruolo istituzionale. La grande carenza che si riscontra in tutti i sistemi economici e politici è il mancato lavoro sulla motivazione. Parliamo di conduttori televisivi, attori, predicatori empatici, ma non riusciamo a concepire un economista o un politico empatico».
Usiamo il suo metodo del rimpicciolimento e facciamolo reagire con le cose che ci accadono intorno. Ha qualche suggerimento?
«Nei supermercati israeliani, di venerdì, si fa la spesa e poi si aggiungono due o tre cose che vengono messe a disposizione dei poveri. Mi fa pensare al caffè pagato del Sud dell’Italia. Nel carrello c’è la mia spesa e c’è qualcosa che non è mai stato mio. È la tenerezza del Talmud: dài pane a chi te lo chiede, perché può darsi che i tuoi figli un giorno ne abbiano bisogno»,
E qual è la differenza dalla carità cristiana?
«Io non so se c’è una differenza. Non ho alcun diritto di criticare. Sono convinto che ci siano moltissimi buoni cristiani, ma il Cristianesimo è un’altra storia».
A questo proposito, lei ha espresso un concetto esplosivo. Ha accusato il Cristianesimo di deicidio. Ci spiega?
«Il Dio di Israel è il Dio della memoria, della storia, del percorso di un popolo. Ha un senso rispetto a questo progetto e a questa storia: la costruzione di una società che sia in grado di promuovere l’economia di giustizia. Nulla vieta che ci siano poi degli esploratori in grado di traslare il progetto in altre realtà, con i dovuti cambiamenti. Ma saltare le tappe ed esportare il Dio di Israel verso terre che egli non conosce e non ha frequentato significa trasformarlo in un idolo come tanti: è quello il deicidio, l’esilio dell’assenza dei talmudisti, un concetto che erroneamente è stato considerato come consolatorio, ma che invece è spaventoso».
Occorrerebbero altre ore di conversazione.
«Quando vuole. C’è da parlare, per esempio, della spiritualità scissa dalle religioni, e del carattere sanguinario dei monoteismi. Mi piacerebbe spiegarle che cosa c’entra, al proposito, un certo episodio di Star Trek …».
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