La questione iraniana secondo cinque esperti israeliani
di Shlomo Cesana
(a cura di Giovanni Quer)
Israel Hayom, 12 Aprile 2012
"Ma certo che il nostro programma nucleare è a scopi pacifici, perchè lo chiedi ?"
Il quotidiano Israel Hayom presenta una tavola rotonda cui sono intervenuti cinque esperti del Begin-Sadat Center for Strategic Studies sui seguenti temi: la minaccia nucleare iraniana, il rapporto Israele-USA e la forza attuale della deterrenza statunitense nella regione.
Il professor Efraim Inbar aveva scritto un saggio sette anni fa che appoggiava l’idea di un intervento militare israeliano contro l’Iran per fermare la corsa al nucleare. Inbar, politologo e direttore del Begin-Sadat Center for Strategic Studies dell’Università Bar-Ilan, è convinto che sempre più israeliani siano giunti alla medesima conclusione.
Queste opinioni si basano sul sondaggio commissionato a inizio aprile dal Jerusalem Center for Public Affairs, il think tank diretto da Dore Gold, i cui risultati indicano che il 60% degli israeliani ritiene che l’unico modo per fermare l’Iran sia per via di un attacco militare. Inbar ha accettato la proposta di Israel Hayom e ha invitato quattro studiosi a ridiscutere la questione iraniana.
“Noi siamo realisti, non semplicemente conservatori”, ha precisato Inbar, che ha anche ricordato come le analisi dei suoi colleghi sulla Primavera Araba, la corsa agli armamenti, il processo di pace e sul cambiamento della politica turca si siano rivelate corrette.
Ogni semestre Inbar inizia il suo corso di strategia elencando i due fattori che governano le relazioni tra gli stati: chi può colpire di più l’altro, e chi riesce a sopportare di più il dolore per i colpi inferti. Inbar vuole applicare queste due equazioni alla questione iraniana, chiedendoci "quale obiettivo gli iraniani abbiano scelto di perseguire e quale prezzo siano disposti a pagare”, solo così “saremo capaci di capire cosa vogliono fare domani”.
“La via per fermare l’Iran è l’attacco militare”, sostiene Inbar. “Non credo che le sanzioni serviranno. Le autorità a Teheran vedono la bomba come la polizza assicurativa del regime. E la loro convinzione si è consolidata a fronte comportamento dell’Occidente con il regime libico. L’ex sovrano della Libia, Muammar Gheddafi, ha abbandonato le armi nucleari e poi è stato rimosso. Se avesse sviluppato armi nucleari, sarebbe plausibile ipotizzare che l’Occidente non glielo avrebbe impedito”.
“Se il regime degli ayatollah entrerà in possesso di armi nucleari, sarà molto difficile creare in futuro un livello di deterrenza efficace”, ha affermato Inbar, che ha poi aggiunto: “non condivido le analisi che considerano un secondo attacco sufficientemente efficace poiché si tratta di un processo dinamico che richiede il miglioramento delle capacità di Israele a fronte di quelle del nemico. Lo sviluppo della bomba iraniana farebbe scattare una corsa agli armamenti nucleari e in una regione relativamente omogenea (come il Medio Oriente) i sistemi di deterrenza e le brevi distanze hanno un’importanza critica”.
Non fidarsi di nessuno (Ephraim Inbar, politologo, Università di Bar-Ilan e direttore del Begin-Sadat Center for Strategic Studies)
Efraim Inbar
Senza mezzi termini Inbar afferma che Israele non può fidarsi degli Stati Uniti. È finita l’era della deterrenza statunitense nella regione. Nel breve periodo gli americani sono impegnati con le elezioni. Nel lungo periodo, non è sicuro che vi sarà ancora modo di attaccare. Comunque, anche se quest’opzione dovesse sfumare, gli americani credono ancora che le negoziazioni possano risolvere qualcosa.
Le promesse che gli americani fanno ora non reggeranno il prossimo mese. La storia delle relazioni Israele-USA insegna che vi sono molte promesse che non sono state mantenute; ad esempio, la lettera di Bush del 2004 a Sharon, con cui si garantiva che gli insediamenti sarebbero stati parte di Israele, non è stata rispettata dal Presidente Obama.
“Gli stati agiscono secondo i loro interessi e sono flessibili”, afferma Inbar. “Alla fin fine bisogna esser realisti. Il mondo vuole tranquillità. Il mondo vuole petrolio a un prezzo accettabile. Se Israele disturba questa calma con conseguenze sulla stabilità economica globale, la comunità internazionale farà di tutto per impedirci di procedere a un attacco militare. Un’altra questione riguarda quanti sostengono che gli iraniani siano razionali. Ma se chi sostiene quest’opinione, si sbaglia anche solo del 10%? Non c’è motivo di fidarsi degli iraniani”.
Nonostante le sue forti convinzioni Inbar sa che il nemico può esser imprevedibile con riguardo ad un’eventuale risposta ad un attacco israeliano o americano. “È ragionevole credere che l’Iran risponderebbe con missili e terrorismo”, sostiene Inbar. “Lo abbiamo già visto. La gente dovrebbe ricordarsi sempre il prezzo che dovremmo pagare se non attaccassimo e se non avessimo armi nucleari. C’è anche la possibilità che non facciano nulla e non rispondano del tutto”.
Inbar aggiunge: “d’altra parte credo che il regime iraniano, nell’eventualità in cui non sia al potere un domani, sia comunque capace di fomentare distruzione preferendo uscire di scena per esser ricordato dalla storia come chi ha arrecato danno ad Israele”. “Per questo”, precisa Inbar, “non dobbiamo permettere agli iraniani di avere la bomba nucleare”.
Le sanzioni inutili (Eytan Gilboa, esperto di politica estera statunitense nel Medioriente e diplomazia internazionale, politologo, Università di Bar-Ilan e ricercatore al Begin-Sadat Center for Strategic Studies)
Eytan Gilboa
Gilboa ritiene che gli USA non possano permettersi un Iran nucleare. “Se l’Iran si armerà della bomba nucleare, gli USA perderebbero completamente la loro posizione di influenza nel Medio Oriente e la loro egemonia globale”, spiega Gilboa. “Gli americani conoscono questa possibilità e perciò dichiarano costantemente che non permetteranno che ciò avvenga”.
“Un Iran nucleare significherebbe che l’Iran è l’attore principale che esercita influenza sui governi della regione mediorientale e non gli Stati Uniti”, afferma Gilboa che aggiunge “questo comporterebbe la proliferazione degli estremisti nella regione, con conseguente danno per l’economia globale, per i mercati energetici e per l’abilità degli stati di monitorare la diffusione di bombe atomiche secondo il trattato di non-proliferazione”.
Per sostenere questa tesi, Gilboa fa riferimento ai principi che guidano la politica americana. “L’amministrazione s’impegna solennemente a non permettere l’acquisizione del nucleare da parte dell’Iran”, afferma Gilboa che ricorda però come “si tratti qui della credibilità degli Stati Uniti. Dicono che utilizzeranno ogni mezzo a loro disposizione. A mio avviso questo è più che altro uno slogan vuoto. Molti sia all’interno sia all’esterno dell’amministrazione sostengono che sia impossibile impedire all’Iran di ottenere la bomba nucleare, affermando che il prezzo di un Iran non nucleare sia più alto di quello di un Iran nucleare”.
Gilboa precisa che “di fronte a un Iran con il nucleare ci sono due opzioni: fermare il programma e sostenere la deterrenza o una politica di contenimento e deterrenza. Ufficialmente gli americani dicono che una politica di contenimento non è percorribile, ma in altre occasioni dicono una cosa diversa e fanno sfuggire indiscrezioni su come non appoggino né permettano un attacco israeliano all’Iran. Gli americani non vogliono arrivare al bivio in cui dovranno decidere quale strada prendere: un nucleare iraniano o un’operazione militare”.
“A questo punto, gli americani vogliono esaurire le opzioni diplomatiche con le negoziazoni e gli iraniani per parte loro non escludono il dialogo”, aggiunge Gilboa. “La questione dunque rimane: su che cosa si basano le negoziazioni? Gli iraniani vogliono il dialogo per poter proseguire con il programma nucleare. Gli americani vogliono le negoziazioni per poter fermare il programma nucleare. E poi ci sono persone in Israele e all’estero che dicono ‘date spazio alle negoziazioni’. Ma perché? La Germania, il Regno Unito e la Francia hanno condotto negoziazioni con l’Iran per 5 anni senza arrivare da nessuna parte per poi giungere alla conclusione che l’Iran ha un atteggiamento ingannevole per poter continuare col programma nucleare. Quindi ogni tentativo dell’Occidente di mantenere la linea del dialogo gioca a favore degli iraniani”.
“Le sanzioni e le negoziazioni potrebbero funzionare solo se si minacciasse un attacco militare” sostiene Gilboa. “Poiché gli americani non paventano l’ipotesi di un attacco, gli iraniani capiscono che anche se la vita può esser un po’ più difficile con le sanzioni non hanno molto da perdere, potendo procedere col programma nucleare”.
Gli Stati Uniti si sono persi (professor Joshua Teitelbaum, esperto di Golfo Persico e Arabia Saudita)
Joshua Teitelbaum
Secondo Teitelbaum sia gli Stati Uniti sia Israele sono ben lontani dal comprendere la realtà del Medio Oriente. “Dal 2003, quando gli americani hanno invaso l’Iraq, i sauditi hanno gradualmente perso la fiducia negli USA, storico alleato. I risultati della politica americana nel Golfo si sono rivelati dannosi per i sauditi”, sostiene Teitelbaum. “La situazione è talmente peggiorata in conseguenza alla Primavera Araba che l’Arabia Saudita si trova estremamente indebolita. Riyadh si è comprensibilmente chiesta: è così che gli americani appoggiano gli alleati nella regione? È così che Washington appoggia Hosni Mubarak? È così che appoggiano il presidente tunisino deposto Zine El Abidine Ben Ali?”.
“I sauditi son preoccupati per la questione iraniana, ma capiscono che l’amministrazione attuale al potere negli Stati Uniti è molto limitata quanto a capacità”, dice Teitelbaum. “Una delle conseguenze del fallimento della politica USA nella regione è stata la rivolta sciita in Bahrain, organizzata da solo il 12% della popolazione che vive in una regione ricca di petrolio. L’Arabia Saudita vede il Bahrain come un protettorato, così la massiccia presenza iraniana è paragonabile al dispiegamento di missili sovietici a Cuba”.
“La condotta degli Stati Uniti ha fatto semplicemente comprendere agli attori della regione che devono esser più indipendenti”, sostiene Teiltelbaum.
Una mancanza di comprensione (Ze’ev Maghen, direttore del Dipartimento di Storia del Medio Oriente, Università di Bar-Ilan)
Ze’ev Maghen
Secondo il professor Ze’ev Maghen, esperto di Islam e Iran contemporaneo, l’Occidente soffre di una profonda ignoranza di quanto avviene in Iran e delle sue relazioni con l’Occidente e con Israele. Si è seccato per il discorso di Shimon Peres a Washington il mese scorso, in cui il presidente di Israele ha lanciato un appello al popolo iraniano di tornare al glorioso passato abbandonando l’islamizzazione. “L’ignoranza è evidente anche per quanto attiene alle analisi d’intelligence in Occidente” sostiene Maghen. Dal suo punto di vista, per capire che gli iraniani stanno chiaramente costruendosi la bomba basta semplicemente ascoltare quanto dicono.
“Hanno tutte le ragioni per costruirsi una bomba atomica”, continua Maghen. “Se io fossi il presidente dell’Iran, anch’io mi assicurerei che l’Iran avesse un’arma nucleare. L’Iran è circondato da nemici storici, come la Russia e l’Arabia Saudita dominata dai sunniti. Gli iraniani usano Israele per unire il mondo musulmano e dominarlo”.
“Poiché la Mecca, che appartiene al movimento wahabita, non può esser il punto focale del mondo musulmano, vi è un solo altro posto che unisce le aspirazioni delle diverse sette islamiche, e questo posto è Gerusalemme”, afferma Maghen. “Perciò si spiega il desiderio dei musulmani di conquistarla. Parliamo lingue completamente diverse, e le nostre visioni del mondo sono anche completamente differenti. È difficile per noi capire cosa sia veramente una teocrazia. L’Occidente non comprende questa realtà, in cui la popolazione di un Paese vede il Corano e la sacra scrittura come l’ultima parola”.
“Qui in Israele la gente cerca sempre il significato nascosto dietro alle affermazioni”, prosegue Maghen. “Si chiede: ok, ma cosa sta succedendo veramente? È una questione politica, economica? Ed è proprio qui che continuiamo a sbagliare. Lo stesso si può dire del tentativo di capire cosa accade in Egitto. Qui c’erano le interpretazioni che leggevano negli eventi in Egitto la rivolta di una popolazione oppressa che chiedeva diritti. Ci sono certo masse di popolazione che vogliono protezione dei loro diritti, ma ciò che vogliono veramente è il significato più profondo della vita come predicato dall’Islam. Questo è quanto sta accadendo, ed è ovvio, ma la gente qui fa fatica a comprendere”.
“Dal punto di vista degli egiziani, noi in Israele non abbiamo capito il nocciolo della questione" sostiene Maghen. "Per un certo periodo si riferivano a noi come l'entità sionista; ora ci chiamano l'entità centro commerciale, come se la nostra ragion d'essere fosse fare un giro al centro commerciale. Ci guardano e pensano: hanno perso!"
La forza dell'America (Hillel Frisch, politologo mediorientalista e professore all'università di Bar-Ilan)
Hillel Frisch
Il professor Hillel Frisch ha scritto un libro sulla politica di sicurezza nelle relazioni tra Israele e i palestinesi, sostenendo la tesi secondo cui negli ultimi 20 anni la violenta lotta tra israeliani e palestinesi è stata sostituita da una guerra fredda araba.
C'è una lotta tra il blocco costituito da Iran, Hezbollah, Hamas e Siria contro il blocco dei Paesi arabi moderati. "C'è un ulteriore aspetto che sta acquisendo importanza ed è la contrapposizione tra sunniti e non-sunniti", spiega Frisch.
Secondo la teoria di Frisch gli americani hanno adottato l'idea che gli imperi cadono quando arrivano all'apice del controllo, il che significa che collassano dall'interno. Il sole non tramontava mai sull'impero britannico, ma l'impero britannico si è oscurato dall'interno.
Secondo Frisch gli americani sono impegnati nella lotta contro un altro impero, la Cina. Tuttavia, osserva Frisch, "abbiamo il problema iraniano che minaccia di cambiare la realtà della guerra fredda tra sunniti e sciiti. Gli americani conoscono il profondo divario tra la potenza economica dei paesi arabi alleati e la loro capacità militare, quindi continueranno a preservare la loro superiorità".
Frisch ha un'idea diversa dai suoi colleghi a questo riguardo. "Gli americani hanno un obbligo" afferma Frisch, "si pensa che gli USA stiano allontanandosi dalla possibilità di un attacco, ma non è così".
"Gli Stati Uniti sono un Paese con un potere consolidato nell'era successiva agli attacchi in Iraq e Afghanistan" dice Frisch e prosegue sostenendo "credo che gli USA affronteranno il problema iraniano se necessario e non sarebbe nemmeno una battaglia difficile da combattere per loro. Secondo me gli iraniani capiscono l'equilibrio di potere alla perfezione. Sfortunatamente per noi, sono abbastanza intelligenti da far sì che gli Stati Uniti non procedano ad un attacco militare.