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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Emile Zola, L’affaire Dreyfus 07/05/2012

L’affaire Dreyfus                                     Emile Zola
a cura di Massimo Sestili
Giuntina                                                     Euro 9,90


Per proteggere l’arrivo in tribunale di Zola, accusato di diffamazione per avere difeso il capitano ebreo Dreyfus, a torto accusato di spionaggio, erano state necessarie ingenti forze di polizia. L’aula era rovente per l’affollamento. Marcel Proust arrivava la mattina presto con dei panini e una bottiglia di caffè per resistere fino alla sera.
L'imputato, vestito come un membro dell’alta borghesia – redingote nera, gilet bianco e nastrino della Legion d’Onore – ascoltava attentamente, il mento appoggiato sul manico del bastone. Dopo la sentenza che lo condannava al massimo della pena, si era limitato a replicare alle grida di «A morte!» con un conciso: «Cannibali!»
Il violento «J’accuse» di Zola, fino ad allora poco interessato alla politica se non per un vago progressismo, aveva trasformato un caso giudiziario in una guerra destinata a protrarsi negli anni. La vecchia nazione antisemita, cattolica e militarista si scontrava con quella più aperta, democratica e riformista. «La Francia -scrisse Proust – era divisa in due . Da una parte l’enorme maggioranza di coloro che volevano credere alla menzogna, dall’altra una piccola schiera che si batteva». È da quell'impegno che nacque il termine «intellettuale» . Se l’«Aurore», dopo la pubblicazione dell’attacco di Zola, era passata da trenta a trecentomila copie, i grandi quotidiani e i potentati erano apertamente ostili a Dreyfus , in una vicenda in cui la verità stava perdendo ormai ogni significato. Folle eccitate dalla propaganda saccheggiavano i negozi degli ebrei e urlavano notte e giorno «A morte Zola» sotto la casa dello scrittore.
Era un conflitto destinato a spaccare in due non solo la Francia, ma persino le famiglie. Sarah Bernhardt, ardente dreyfusarda, smise di rivolgere la parola all’amatissimo figlio.  Verne, accanito colpevolista non esitò a rompere col figlio, ardente dreyfusardo, benché monarchico. Il padre di Proust, conservatore a oltranza, non parlò ai figli per otto giorni.
Antiche amicizie finivano o rinascevano bruscamente. Money dimenticava la vecchia freddezza con Zola per applaudirlo. Pissarro, Veuillard, Monet e Sisley erano con l’innocente ufficiale, mentre Degas e Cezanne erano contro. Un giorno Degas, accanito antidreyfusardo, stava dipingendo una delle sue ballerine, quando si era improvvisamente bloccato. Dopo aver fissato a lungo la modella , le aveva chiesto, insospettito: «non sarai mica ebrea?» . «Si, signor Degas». «Va bene!... Guarda, prendi questo ed eccoti pagata…Adesso rivestiti, vattene e non tornare più…».
Persino nei salotti mondani, le dame avevano dovuto rinunciare a un’impossibile neutralità, schierandosi da una delle due parti e perdendo così una parte dei loro frequentatori. Quando un amica aveva chiesto a un’altra: «Che cosa fate dei vostri ebrei? », la signora, felice di vedere la sua casa animata dai litigi tra le due fazioni, aveva risposto trionfalmente: «Butto i piccoli e tengo i grandi». Renoir aveva lasciato il salotto dell’amica, modello di Madame Verdurin per passare a quello della contessa di Loynes. Ansiosa di schierarsi con i perbenisti cancellando definitivamente il suo passato di cortigiana, la contessa si era unita ai conservatori più accesi. Inoltre la riservatezza di Dreyfus non lo agevolava nella mondanità e una salottiera irritata aveva lanciato: «Non si potrebbe cambiare di innocente?».
Solo Proust riuscì, grazie al suo fascino, a evitare di rompere con molti conoscenti. Lui che si credeva distante dalle lotte, si era indignato di fronte all’ingiustizia e commosso per il coraggio di Zola e dei difensori di Dreyfus. Ma la tensione era fortissima. In un ristorante alla moda Proust sentendo un marchese, celebre spadaccino, dire scherzosamente a un amico: «Fuori dai piedi, vecchio dreyfusardo!», impallidì di rabbia, credendo che parlasse a lui. «Forse crede che io abbia paura di lui solo perché sa tenere in mano la spada, ma io non ho paura!». Gli mandò i padrini e il marchese, deliziato, venne a scusarsi di persona: «È un tale piacere incontrare un giovane che sa difendersi!» .
Gli stranieri seguivano attentamente quella guerra civile strisciante. In Italia, Verdi e Carducci si erano schierati dalla parte di Zola, seguiti da Fogazzaro, Lombroso e Pareto. Marinetti ammoniva: «Voi dimenticate e ciò è grave che Zola è un grandissimo scrittore d’origine italiana». Mentre il Vaticano si scagliava contro quella «macchinazione  montata dalla massoneria coll’oro del ghetto».
Checov apprezzava il coraggio di Zola. Era «un anima nobile… il suo slancio mi esalta. La Francia è un paese meraviglioso e ha degli scrittori meravigliosi». Oscar Wilde a Parigi era rimasto affascinato dal maggiore Esterházy , responsabile del falso che aveva fatto condannare Dreyfus . Agli amici perplessi, Oscar replicava: «Esterházy è molto più interessante di Dreyfus che è innocente. È sempre uno sbaglio essere innocenti. Per essere un criminale, ci vogliono immaginazione e  coraggio». A una cena, dopo avere ascoltato un attacco di Esterházy a Dreyfus, Wilde disse: «Gli innocenti soffrono sempre, è il loro mestiere. E poi siamo tutti innocenti finché non ci scoprono…. La cosa più interessante è essere colpevoli e portare come un aureola la seduzione del peccato». A quel punto Esterházy, lusingato, aveva ceduto: «Perché non dovrei confessare la verità? Lo farò. Sono io l’unico colpevole. Ho mandato Dreyfus in prigione e la Francia intera non riesce a farlo uscire». Una risata generale salutò l’ultima frase.

Giuseppe Scaraffia
Il Sole 24 Ore


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